Carlo Cottarelli (foto LaPresse)

Le pensioni impresentabili

Luciano Capone

Il debito ignorato. Cottarelli spiega la grande balla che minaccia l’Italia

Roma. L’Italia è sotto le lenti di Bruxelles. La commissione – nello specifico il vicepresidente Vladis Dombrovskis e il commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici – hanno inviato una lettera al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan per dire che la legge di Bilancio è sotto osservazione rispetto agli obiettivi di riduzione del deficit e del debito. I punti di preoccupazione sono il debito pubblico molto elevato e le retromarce sulla riforma delle pensioni. “Il fatto che siamo sotto osservazione non è una novità, ed è normale visto che il debito rimane alto – dice al Foglio Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review e ora direttore del nuovo Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica – Non siamo riusciti a farlo scendere se non in maniera marginale. Se guardiamo agli ultimi 5 anni, abbiamo sempre rivisto gli obiettivi di finanza pubblica, l’avanzo primario verso il basso e il debito verso l’alto. Secondo i dati del 2014 l’avanzo primario avrebbe dovuto essere al 4,6 per cento ed è all’1,7 mentre il debito rispetto al 2012 doveva scendere e invece è aumentato”. Eppure sindacati e politica propongono controriforme delle pensioni: “Non vedo spazi per rivedere le riforme passate, si può fare qualche piccolo aggiustamento, purché si dica come viene finanziato”.

 

Dopo aver lasciato il Fondo monetario internazionale, Cottarelli ha dato vita all’Osservatorio sui conti pubblici italiani – che ripercorre il suo lavoro a Washington come direttore del dipartimento Affari fiscali del Fmi – e ora viene invitato nei talk politici come guastafeste proprio sul tema delle pensioni. Tutti sono d’accordo sullo spendere di più e lui è l’unico a dire che non si può fare, uno smantellamento della riforma Fornero non è sostenibile. “Le stime ufficiali prevedono che, se non si toccano le riforme fatte nei prossimi 30 anni, la spesa sul pil rimarrà costante”. Quindi non abbiamo problemi sulla spesa previdenziale. “In realtà la spesa per pensioni potrebbe essere superiore alle previsioni ufficiali anche con la normativa corrente, perché queste previsioni si basano su ipotesi ottimistiche sulle tendenze demografiche, sulla crescita dell’occupazione e della produttività”. Quali sono queste ipotesi favorevoli? “Ad esempio le ipotesi demografiche sono più ottimistiche di quelle utilizzate dalle Nazioni unite e prevedono, fra l’altro, una dinamica dell’immigrazione più forte che negli altri paesi in termini di arrivi e di stabilizzazione. Per l’occupazione è previsto un aumento rapido con un tasso di disoccupazione che scende al 5,5 per cento, la metà di quello attuale e molto al di sotto del 9 per cento che è il tasso medio dal 1980. Infine si prevede una crescita della produttività e del pil pro capite a un tasso medio dell’1,75 per cento nei prossimi 30 anni, quando nei 30 anni passati è stato inferiore all’1 per cento”. Vuol dire che non sono ipotesi realistiche? “Ci si può riuscire, ma facendo le riforme, non rivedendo quelle passate. E le nuove riforme consentirebbero solo di mantenere la spesa per pensioni costante rispetto al pil. Per realizzare le previsioni dobbiamo essere bravi e fortunati, ma questo richiede uno sforzo per aumentare la produttività che negli ultimi 30 anni ha praticamente avuto una crescita vicino allo zero”. Forse i sindacati e la politica dovrebbero occuparsi di questo, di come far crescere la produttività, e invece richiedono di aumentare la spesa per pensioni che già cresce da sola. “La domanda generale che sostengono è l’abbassamento dell’età di pensionamento – dice Cottarelli – ma nessuno spiega come finanziarla. Alla fine si può fare in tre modi: tagliando le pensioni, tagliando la spesa o aumentando le tasse sui giovani”. In realtà c’è sempre il deficit, che è sempre la soluzione più gettonata. “Significa prendere soldi a prestito, in termini finanziari la sostanza è questa”.

 

Questo si lega al debito pubblico, che nel suo ultimo libro Cottarelli ha definito come “Il macigno” che schiaccia l’economia. Ebbene, il debito pubblico, che preoccupa l’Europa e che forse dovrebbe inquietare gli italiani, è salito molto dopo la crisi e non scende. Perché? “In parte è dovuto all’economia che è andata più piano – risponde Cottarelli – ma anche per le risorse messe per detassare e aumentare la spesa”. Come si può ridurre il debito? “Come ha detto il governatore Visco serve un avanzo primario del 4-4,5 per cento, che in una situazione di crescita non è difficile. Non servono sangue, sudore e lacrime: se congelassimo la spesa, nel 2020 pareggiamo il bilancio senza tagliare la spesa. Se vogliamo anche tagliare le tasse, bisogna ridurre la spesa”. Un freno alla riduzione del debito è anche la bassa inflazione degli ultimi anni. “Questo dovrebbe preoccupare anche per il futuro, perché nelle stime del governo si prevede un aumento dell’inflazione. E se questo aumento non ci sarà, nel 2020 il debito non sarà del 124 per cento ma del 129, in pratica svanirà quasi tutta la riduzione del debito ipotizzata”. Anche in questo caso le stime sono troppo ottimistiche? “Si prevede uno scenario che non si è visto negli ultimi 20 anni, tra l’altro in una situazione di disoccupazione alta in cui i salari crescono meno. Bisogna capire quanto l’aumento dell’inflazione sia un’aspettativa realistica e quanto possa essere un artificio per fare vedere che il debito scende”. Alla fine ha ragione Katainen che bisogna dire la verità sui conti? In Italia c’è stata una sollevazione per le sue dichiarazioni, ma anche il presidente della Bce Mario Draghi con parole più misurate ha detto che bisogna mettere i conti a posto adesso che l’economia cresce, prima che arrivino tempi più difficili. “E’ chiaro che il tono usato da Katainen dia fastidio a chiunque, mi sento stufo dell’Italia trattata sempre come se fosse l’ultima della classe. Fatto sta che dobbiamo fare parecchio e nella sostanza ha ragione Draghi”.
Quindi l’Europa fa bene a intervenire? “I problemi ci sono ancora ed è chiaro che siamo tenuti sotto osservazione – dice il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici – ma prima delle elezioni sentiremo l’Europa fare la voce grossa per paura che vincano i partiti antieuropeisti”. Ma nel 2018, dopo le elezioni... “beh, è probabile che arriverà il conto da pagare”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali