Le forze speciali della polizia britannica a Manchester (foto LaPresse)

Il bombarolo di Manchester ha seguito il modello Ansbach o il modello Parigi 2015?

Daniele Raineri

L’intelligence contava su un meccanismo locale per tenere d’occhio i sospetti, è saltato

[Articolo aggiornato alle 17:00 del 24 maggio 2017]

Ieri ci chiedevamo in questo pezzo se lo stragista di Manchester apparteneva a un network terrorista impiantato in Gran Bretagna o se aveva fatto tutto da solo. La domanda era, quindi: ci troviamo davanti a un modello Parigi, dove un gruppo di attentatori dello Stato islamico arrivò dalla Siria per fare un massacro, oppure a un modello Ansbach, dal nome della piccola città tedesca dove la scorsa estate un siriano ha preparato da solo un attentato che poi è fallito? Ora la polizia inglese dice che sta investigando un network, quindi si va in direzione della prima risposta: più persone coinvolte. E questo spiega perché l’allerta è stata alzata, c’è il rischio che gli altri membri del gruppo escano allo scoperto per colpire.


 

Roma. Quando nel luglio 2015 Mohamed Abrini andò in perlustrazione a Birmingham e in altre città inglesi era piuttosto sconsolato: “L’intelligence inglese è migliore di quella francese o belga, non c’è la possibilità di fare operazioni qui”, dirà ai giudici in Belgio. Abrini è un sopravvissuto dell’unico grande network dello Stato islamico in Europa scoperto fino a oggi, quello che ha fatto le stragi di Parigi a novembre 2015 e di Bruxelles cinque mesi dopo e che pianificava di fare attentati anche in Gran Bretagna, senza però un piano d’azione concreto . L’ordine di andare a scattare fotografie dello stadio di Manchester lo ebbe dal capo della rete, Abdelhamid Abaaoud, quando andò a trovarlo in Siria a inizio 2015. Nel frattempo le capacità dell’intelligence inglese si sono allentate, perché lunedì sera un inglese di famiglia libica, Salman Abedi, 23 anni, si è fatto saltare in aria all’uscita di un concerto della popstar Ariana Grande. Era un pubblico di ragazzini, tra i ventidue morti e i feriti ci sono bambini (ma il comunicato dello Stato islamico non fa differenze, chiama tutte le vittime salibiyin, i crociati, da as salib, la croce, ed è lo stesso termine usato per i soldati americani in Iraq).

 

Le capacità si sono allentate perché l’intelligence è spiazzata da una mutazione epocale: invece che scovare una spia cinese che ruba segreti commerciali, deve identificare, sorvegliare e classificare in ordine di pericolosità centinaia di adolescenti musulmani a rischio di terrorismo. Richard Barrett, ex capo dell’antiterrorismo dei servizi segreti inglesi, dice al New York Times che ci sono 400 persone tornate dal medio oriente da monitorare, e altre seicento che volevano partire ma sono state fermate prima. “In totale mille, e poi ci sono da aggiungere i simpatizzanti”, come Abedi, che era conosciuto dai servizi ma che era stato classificato come non pericoloso. 

  

Gli amici e i vicini di Abedi dicono ai giornali inglesi che il comportamento di Abedi non era proprio il cliché del bravo ragazzo che salutava sempre: era cambiato in modo repentino negli ultimi tempi (la velocità è sempre un segnale d’allarme), si era fatto crescere la barba come prescritto dalla Sunna maomettana e cantava inni islamici ad alta voce in mezzo alla strada – che non sono gesti pericolosi ma che in potenza potevano fare tornare su Abedi l’attenzione dei servizi, ormai trasformati loro malgrado in una gigantesca operazione di monitoraggio del fanatismo religioso giovanile. Nel 2016 Richard Walton, capo dell’antiterrorismo della polizia di Londra, una unità colossale da millesettecento agenti, spiegò che il motto era: “Le comunità sconfiggono il terrorismo”, per dire che le operazioni di sorveglianza sono efficaci, ma anche la sorveglianza naturale fatta da circoli locali, servizi sanitari e scuole è importante. Nel caso di Manchester, quel meccanismo di collaborazione con le comunità musulmane che era diventato uno dei fattori di sicurezza in altre situazioni è saltato: nessuno ha capito in tempo, se qualcuno ha visto non ha dato l’allarme.

 

Venerdì comincia il Ramadan

 

Ora i servizi di sicurezza inglesi e quelli dei paesi alleati – da cui martedì trapelavano allegramente tutte le informazioni, dando vita allo spettacolo grottesco dei media americani o comunque non inglesi che battevano sul tempo i colleghi inglesi perché le loro fonti passavano le informazioni che erano state condivise con riservatezza da Londra (è successo prima con la conferma della presenza di un attentatore suicida sulla scena della strage e poi con la sua identità, qualche ora dopo) – lavorano sulla grande domanda: la strage di Manchester segue il modello Ansbach o il modello Parigi? Nel luglio 2016 ad Ansbach, in Germania, appena fuori dai cancelli di un concerto all’aperto un attentatore saltò in aria perché la bomba nascosta nel suo zaino esplose prima del previsto. Succede con l’esplosivo a base di perossido di acetone, che se da un lato è facile da preparare con ingredienti legali che si trovano sul mercato dall’alto è molto instabile e può detonare per urti o per la vicinanza a fonti di calore. L’attentatore, Mohammed Daal, era un rifugiato siriano che aveva giurato fedeltà al capo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, e aveva imparato da solo come preparare le bombe (non alla perfezione, come si è visto). Daal era già entrato in contatto con lo Stato islamico, a cui aveva mandato la sua dichiarazione di fedeltà – da pubblicare dopo la morte. I terroristi come Daal sono difficili da individuare, perché sono isolati, non fanno parte di un network, fanno tutto da soli. Tuttavia uno studio dell’antiterrorismo norvegese dice che il settantacinque per cento dei piani per fare attentati in Europa sono diretti o direttamente organizzati dallo Stato islamico e che quindi parlare di lupi solitari è spesso un errore. In 42 piani d’attacco tra il 2014 e il 2016, tre quarti degli attentatori erano in contatto con lo Stato islamico, in persona oppure via internet. In dodici casi erano stati mandati direttamente dallo Stato islamico, dalle basi in Siria e in Iraq. Soltanto in sei casi si trattava di gente ispirata dalla propaganda che aveva deciso di prendere l’iniziativa. Se non è un bis di Ansbach, allora potrebbe seguire il modello Parigi: quindi essere il risultato dell’azione di un gruppo, che è riuscito a fare quello che la sezione belga-francese dello Stato islamico in Europa non pensava fosse possibile, superare la sorveglianza e gli arresti continui da parte dei servizi di sicurezza inglesi. Non c’è alcun elemento a corroborare questa ipotesi, soltanto precedenti statistici. Oltre alla ricerca già citata, c’è che di solito chi prepara esplosivi non produce mai una singola bomba, ma molte bombe, per massimizzare i danni. Se c’è un artificiere, quindi qualcuno che è capace di costruire congegni esplosivi così letali come quello usato alla Manchester Arena, allora potrebbe essere considerato un asset del gruppo, e quindi non mandato a farsi esplodere. Abedi potrebbe essere il volontario suicida di una rete che prepara altro, come minaccia il gruppo nel comunicato. Lo Stato islamico che di solito è preciso nelle rivendicazioni ha prima parlato di attentatori al plurale, poi si è corretto e ha detto che ad agire è stato un solo “soldato del Califfato” (come sono definiti nel gergo del gruppo gli individui che fanno strage di “crociati”, quindi bambini, civili disarmati, spettatori di concerti). Ma non è un indizio di nulla. La polizia martedì ha effettuato un paio di arresti, uno è il fratello di Abedi, ma succede sempre.

 

C’è da notare che venerdì comincia il mese sacro di Ramadan per i musulmani, e che i predicatori dello Stato islamico hanno sempre esortato ad aumentare il numero degli attacchi durante questo periodo, perché sostengono che le benedizioni per i martiri sono più numerose e l’accesso al paradiso più facile. Giovedì, venerdì e sabato ci sono tre concerti del gruppo Take That nello stesso posto, l’Arena, e sarebbe bastato aspettare quattro giorni per far coincidere l’attacco con l’inizio del Ramadan. Hanno commesso uno sbaglio? Erano sotto pressione? Volevano colpire un pubblico di ragazzini? C’è chi fa notare che il 22 maggio era il quarto anniversario dell’uccisione in strada a Londra del soldato Lee Rigby, uno dei primi attacchi a inaugurare l’età dell’incertezza in Europa.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)