l'intervista

"La Trattativa è stata solo uno storytelling multimediale", dice Fiandaca

Luciano Capone

“Un teorema giuridicamente fragile, senza riscontri probatori e che rasenta il ridicolo dal punto di vista storico. Ma questa narrazione che ha acriticamente veicolato le tesi dell'accusa avrà un effetto disorientante sui cittadini. Come si spiega, dopo dieci anni, che era un'inchiesta sbagliata?”. Parla il professore che nel 2012 smontò l'inchiesta

Il professore Giovanni Fiandaca è un’autorità del diritto penale. Nel 2012 scrisse un saggio su una rivista giuridica (con dedica a Loris D’Ambrosio), poi pubblicato dal Foglio con il titolo “Il processo sulla Trattativa è una boiata pazzesca”, in cui smontava l’impianto giuridico dell’inchiesta della procura di Palermo. In questi anni è stato pesantemente attaccato e offeso per la sua posizione, ora che la Corte d’assise di Palermo ha ribaltato il giudizio di primo grado assolvendo Dell’Utri, Mori, De Donno, Subranni vuol dire che aveva ragione lei? “Vuol dire che ha ragione Leonardo Sciascia, il quale non si stancava di ripetere che una credibile lotta alla mafia va fatta attraverso un serio garantismo”, dice Fiandaca. 

 

Sentenza sulla Trattativa stato mafia, Fiandaca: "È storytelling multimediale"

Cosa ci insegna questo lungo processo? “Il caso Trattativa è l’esemplificazione di una patologia del nostro sistema. Una vicenda giudiziaria che diventa uno storytelling multimediale, fatto di articoli di giornale, talk-show, libri di magistrati a due mani, di magistrati e giornalisti a quattro mani, pièce teatrali, film... che ha acriticamente veicolato le tesi d’accusa”. Alla fine si può dire che però i giudici non si sono fatti influenzare. “Certamente. Ma questa narrazione avrà un effetto disorientante per i cittadini. Nessuno dei grandi giornali ha sollevato quantomeno un’obiezione critica all’accusa e ora come si spiega, dopo dieci anni, che si è trattato di un’inchiesta sbagliata? Questa vicenda deve essere un’occasione di riflessione per tutti i protagonisti del circo mediatico-giudiziario, a partire dai media”. Ma le si può obiettare che i media hanno semplicemente raccontato le indagini dei magistrati. “Ecco perché bisogna cambiare lo stile di fare informazione giudiziaria. E’ un pezzo fondamentale della riforma della giustizia, sotto alcuni aspetti ancora più importate della riforma normativa Cartabia. Serve un riorientamento socio-culturale dell’informazione, perché evitare l’appoggio incondizionato alle indagini antimafia non significa indebolire la lotta alla mafia. Anzi”. 

 

E’ come se a fianco al processo reale ci sia stato un processo mediatico parallelo. “Non è semplicemente parallelo – dice il prof. Fiandaca –. Il processo mediatico che ha prevalso in questi anni è stato anche convergente, perché in certe fasi è servito a supportare un processo giudiziario che aveva un’impostazione giuridica debole e un’impalcatura probatoria fragile”. E perché? “I magistrati muovevano da una sorta di legge storica, la tendenza compromissoria tra stato e mafia che ha caratterizzato l’Italia dall’Ottocento, e da questo hanno automaticamente dedotto che la stessa ricerca di compromesso sia stata alla base della ricerca di contatto dei Ros con Ciancimino. Ma la chiave di lettura non era supportata da elementi fattuali sufficienti e adeguati. Era una ricostruzione pregiudiziale fatta muovendo da presunte leggi storico-sociologiche senza verificare sul terreno investigativo l’esistenza di riscontri concreti”. Insomma, un teorema. “Sì, una ricostruzione teoremistica. A cui si è aggiunta la debolezza giuridica del ricorso all’art. 338 del codice penale”.

 

Perché la trattativa stato mafia non è reato

Violenza o minaccia a un corpo politico-amministrativo. “La ‘trattativa’ di per sé non è un reato e l’ipotesi della minaccia si basava su interpretazioni discutibili di fatti che hanno tante interpretazioni alternative”. Anche sul piano storico la teoria non è che funzioni molto. Lei con lo storico Salvatore Lupo ha scritto il libro “La mafia non ha vinto”. Cosa ha ottenuto la mafia? Davvero è possibile credere che Dell’Utri minacciasse Berlusconi per conto della mafia? E che lo stato si sia piegato a Riina e compari? “Rasenta il ridicolo. Quali sono i vantaggi conseguiti da Cosa nostra? L’azione repressiva non è venuta meno, il 416bis e il 41bis sono lì, tutti i capimafia sono in galera. L’unico a piede libero è Messina Denaro. E davvero crediamo che i vertici dello stato collusi siano Amato, Scalfaro, Ciampi e Conso? Come ha rilevato il mio compianto amico Emanuele Macaluso, che tutta l’impostazione del processo trattativa sia sbagliata lo si capisce dal fatto che sono stati di fatto additati come collusi con la mafia alcuni dei migliori e più credibili uomini delle istituzioni del nostro paese”.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali