Gli alieni son tornati
Dagli studiosi alla fantascienza, tutti cercano la vita fuori dalla Terra. Ma siamo sicuri che ci convenga?
Ecco un elenco non esaustivo dei messaggi che l’umanità ha inviato nello spazio affinché una civiltà aliena li ascolti per capire qualcosa di noi: una pubblicità delle patatine Doritos al gusto piccante; i suoni emessi dalla vagina in contrazione di una ballerina; una canzone dei Beatles (“Across the Universe”); un’intera opera lirica in klingon (il linguaggio inventato degli alieni di “Star Trek”); delle canzoni suonate con il theremin mandate da un gruppo di teenager russi; l’intero catalogo di Craigslist, il celebre sito americano di annunci che spaziano dalla vendita del divano vecchio a profferte di tipo sessuale.
Qualsiasi alieno dovesse mai captare questi messaggi, è facile immaginare che la sua opinione della razza umana non sarebbe troppo alta. Lo stesso alieno, poi, potrebbe ricevere altri messaggi, quelli seri, inviati da scienziati con pedigree che hanno trascorso anni a immaginare il miglior modo di comunicare con altre razze fuori da quella umana. Il più famoso e primo di essi è il messaggio di Arecibo, dal nome del radiotelescopio da cui è stato inviato nel 1974. E’ composto da una serie di pulsazioni elettromagnetiche che, una volta messe in forma grafica, forniscono informazioni sugli elementi costitutivi della vita sulla Terra, sulla razza umana e sulle coordinate del nostro Sistema solare. Il nostro alieno potrebbe ricevere una terza categoria di messaggi, quelli che abbiamo inviato involontariamente: anni e anni di trasmissioni della radio e della tv, che a partire dall’inizio del secolo scorso sono stati rilasciati senza volerlo fuori dall’atmosfera e da decenni viaggiano nello spazio alla velocità della luce. In “Contact”, celebre romanzo di Carl Sagan, è così che gli alieni scoprono la Terra: vedendo con 40 anni di ritardo i discorsi di Adolf Hitler in tv durante le Olimpiadi di Berlino del 1936.
Ora mettetevi nei panni del nostro alieno, che puntando per caso i radioricevitori del suo pianeta verso la nostra parte di galassia ha iniziato a ricevere pubblicità di patatine, annunci a luci rosse, discorsi di Hitler e le coordinate del Sistema solare. Davanti a questa moltitudine di messaggi, può pensare due cose. Che la nostra è una razza buffa e peculiare, divertente da studiare e osservare. Oppure che la nostra è una razza depravata e pericolosa, che merita di essere invasa e sterminata.
Abbiamo mandato nello spazio annunci a luci rosse, canzoni dei Beatles, opere liriche in klingon e canzoni suonate con il theremin
Da che l’umanità ha iniziato a guardare lo spazio, ha sempre immaginato che lì fuori ci siano altre razze in ascolto, e ha cercato di contattarle. Ma, ecco: siamo proprio sicuri che sia una buona idea?
Prima di chiudere questa pagina con sdegno aspettate ancora un attimo e sentite quello che ha da dire a riguardo il professor Stelio Montebugnoli. Montebugnoli è uno scienziato serio e rispettato nell’ambiente, non un ufologo. Fa parte dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica, e collabora con la stazione radioastronomica di Medicina, vicino a Bologna, uno dei centri più importanti d’Italia. Al Foglio dice quello che la stragrande maggioranza degli scienziati dice: per gli esperti, per chi ha studiato la materia, il fatto che ci sia vita nell’universo è banale. Un eventuale contatto con gli alieni sarebbe una notizia epocale, ma attesa. Il vero choc non sarebbe per gli scienziati, ma per tutti gli altri, che ancora prendono la cosa come uno scherzo. Per questo è bene occuparsi della questione prima che sia troppo tardi.
Ultimamente lo hanno fatto in tanti. Il tema non è affatto nuovo, ma per qualche ragione sembra tornato in auge. Il magazine del New York Times ha dedicato ai contatti con gli alieni la copertina della settimana scorsa, alcune famose trasmissioni radio americane (per esempio: “This American Life”) hanno parlato del tema, e molti sostengono che negli ultimi anni si è verificato un importante revival della letteratura di fantascienza. Forse è finita la crisi e gli uomini sono tornati a pensare oltre i loro problemi – Donald Trump permettendo –, forse è semplicemente un caso, ma abbiamo ricominciato a guardare allo spazio, e a chi eventualmente lo abita. Per noi comuni mortali risulta difficile prendere la questione sul serio, ma conviene provarci, iniziando dalla prima domanda: gli alieni ci sono?
Nel 1950 Enrico Fermi era in visita a Los Alamos, il centro di ricerca americano in cui fu sviluppata la bomba atomica. Durante una pausa, lui e alcuni colleghi scherzavano su una vignetta del New Yorker che raffigurava navicelle aliene. Si narra che a un certo punto Fermi si sia fatto tutto serio e abbia detto: ma allora dove sono? Parlava degli alieni. Se nell’universo ci sono miliardi di miliardi di stelle e ancor più pianeti, dove maledizione è la vita aliena che statisticamente dovrebbe esserci? Perché non si fanno sentire? E’ il paradosso di Fermi, che ancora oggi non ha trovato risposta, anche se qualcuno ci ha provato. L’equazione di Drake – da Frank Drake, lo studioso che elaborò il messaggio di Arecibo – è il miglior tentativo mai fatto dagli scienziati per calcolare la presenza della vita intelligente nell’universo, e considera parametri come il tasso di formazione delle stelle nella galassia, le probabilità di sviluppo della vita e della vita intelligente, il tasso medio di durata di una civiltà. Un calcolo celebre dell’equazione di Drake vuole che solo nella nostra galassia ci siano 156 milioni di civiltà intelligenti. Centocinquantasei milioni. Contate che nell’universo osservabile ci sono tra mille e duemila miliardi di galassie, e che parliamo solo di una porzione di universo, fatevi due conti e impallidite. Ma come in tutte le equazioni, anche in quella di Drake il risultato cambia al variare dei parametri: se si considerano delle stime basse sulla durata una civiltà o sulla probabilità di formazione della vita, allora il risultato diventa un numero così piccolo da equivalere allo zero, e improvvisamente ci troviamo soli nell’immensità del tutto. Dunque la risposta alla domanda: gli alieni ci sono? è: probabile, ma non possiamo esserne sicuri.
Da qui discende la seconda domanda: posto che gli alieni ci siano, è possibile comunicare con loro?
E' già successo con gli aztechi e Cortés. Pensarono che gli spagnoli fossero divinità scese dal cielo, e furono conquistati e sterminati
Di questo si occupa il Seti, quel campo di ricerca scientifica (si badi bene: ricerca scientifica, non ufologia) che ha il compito di cercare intelligenze extraterrestri (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Di recente le attività di Seti più note hanno riguardato gli esopianeti, quei corpi celesti che, in base ai calcoli degli scienziati, si trovano nelle giuste condizioni per ospitare la vita. Il problema è questo: cercare gli alieni è un conto, comunicare con loro è tutt’altro. “Se anche puntassimo dei trasmettitori verso Andromeda, che è a oltre due milioni di anni luce da noi, e trovassimo il modo per formulare un messaggio comprensibile a civiltà extraterrestri, ci metterebbe due milioni di anni ad arrivare. Per avere una risposta, sarebbero quattro milioni di anni – questo sempre che da Andromeda ci siano antenne puntate verso la Terra”, dice il professor Montebugnoli. “Le distanze e il tempo sono ostacoli quasi insormontabili”. Ci sono altri problemi. L’umanità, per esempio, emette onde radio solo da pochi decenni, e presto smetterà, visto che la maggior parte dei servizi di comunicazione e trasmissione terrestre sarà cablato. “Se un eventuale ET guardasse la nostra Terra da duecento anni luce di distanza la vedrebbe ancora priva di emissioni radio, spenta”, dice Montebugnoli. Tra altri duecento anni, con tutto cablato, sarà spenta di nuovo, dunque non più individuabile. Ultimo problema: da terra possiamo captare solo segnali ottici e segnali radio. Per ricevere altre bande come raggi x o raggi gamma dovremmo installare osservatori su satelliti, ma non ci sono i soldi o la volontà politica per farlo. Dunque comunicare con gli alieni è molto difficile, almeno per le nostre tecnologie. Ma appunto, mettiamo che le nostre tecnologie si sviluppino in maniera inattesa, o che altre civiltà abbiano sistemi di comunicazione che superino le barriere tecniche attuali. Vale ancora la pena farsi la prossima domanda: posto che gli alieni ci siano e sia possibile comunicare con loro, ci conviene farlo?
“Immaginate che l’universo sia una foresta oscura attraversata da infiniti predatori senza nome. In questa foresta, rimanere nascosti significa sopravvivere, e ogni civiltà che riveli la sua posizione diventa una preda. La Terra lo ha fatto. E ora i predatori stanno arrivando”. Questo non è il brano di un testo scientifico, ovviamente, ma di un romanzo di fantascienza di Cixin Liu, autore cinese che con la sua trilogia “The Three Body Problem” è diventato un caso letterario mondiale: ha vinto tutti i premi disponibili nel settore, è stato letto ed elogiato perfino da Obama, sarà tradotto presto in italiano da Mondadori (la citazione viene dalla quarta di copertina di uno dei volumi, nessuno spoiler). Il signor Cixin ha prodotto un’opera di ingegno, ma esprime una preoccupazione che esiste fin da quando gli uomini pensano all’esistenza di altre civiltà: e se gli alieni non fossero benevoli?
Il paradosso di Fermi: se è statisticamente probabile che ci siano moltissime civiltà aliene nella galassia, dove maledizione sono?
Poniamo la questione a parti inverse. Mettiamo che tra cent’anni gli scienziati umani trovino un pianeta abitato da una civiltà ancora all’età della pietra. Magari questo pianeta è incontaminato, ricco di risorse e raggiungibile con navicelle che per allora avremo inventato. Cosa fare? Lasciarlo stare? Stabilire un contatto amichevole? Oppure conquistarlo? L’ultima volta che è successo qualcosa di simile è stato quando Hernán Cortés sbarcò sulle coste del Messico ed entrò in contatto con la civiltà azteca. Secondo gli storici, è plausibile che, almeno per un momento, gli aztechi abbiano pensato che gli spagnoli fossero divinità scese dal cielo. Cortés se ne approfittò e li sterminò tutti conquistando le loro città. Se ci dovesse ricapitare una situazione simile, questa volta noi saremmo in grado di contenerci? E se una civiltà superiore individuasse la nostra Terra, sarebbe a sua volta in grado di contenersi?
Queste non sono questioni di filosofia astratta. Se ne occupano già le migliori menti della nostra generazione, e il paragone con Cortés e gli aztechi, per esempio, è stato fatto niente meno che da Stephen Hawking. Quando, nel 2015, il miliardario russo Yuri Milner ha finanziato con 100 milioni di dollari il più vasto programma di Seti mai esistito, indicendo tra l’altro un concorso per trovare il miglior messaggio da spedire agli alieni, visionari come Elon Musk si sono opposti al progetto, dicendo che segnalare intenzionalmente la nostra posizione nella galassia era una follia da evitare a tutti i costi – è teoria della foresta oscura di Cixin Liu, dove se non sei predatore sei preda.
Abbiamo chiesto al prof. Montebugnoli cosa succederebbe se nel suo osservatorio di Medicina si scoprissero tracce di vita extraterrestre. Medicina non ha un programma di Seti specifico (“Attualmente in Italia non c’è nessun programma osservativo Seti attivo, speriamo di farne ripartire uno l’anno prossimo”), ma compie comunque osservazioni alla ricerca di segnali monocromatici, vale a dire di segnali che è plausibile siano usati da altre civiltà per le comunicazioni in quanto estremamente efficienti dal punto di vista energetico e riconoscibili con un’analisi di spettro.
“Se questa sera osservassimo un segnale monocromatico della giusta frequenza” – dunque: un segnale alieno – “ci sarebbe un protocollo internazionale da rispettare. Prima dovremmo confermare la frequenza per un certo numero di volte, poi dovremmo comunicare al Seti institute in America le coordinate e la frequenza del segnale, per farlo confermare ad altri radiotelescopi in tutto il mondo. Solo a quel punto, quando c’è la sicurezza del segnale, la notizia sarebbe data al mondo dall’Ufficio stampa delle Nazioni Unite”. Immaginate la scena: il segretario generale dell’Onu, davanti all’Assemblea generale riunita in seduta plenaria e in diretta globale, annuncia alla razza umana che altre forme di vita nell’universo ci stanno cercando. Chiediamo a Montebugnoli se la reazione sarebbe di panico. “Eh, sì”, sospira lui. “Personalmente penso che la notizia avrebbe un impatto più sulla società che nella comunità scientifica: gli studiosi già si aspettano che possano esistere altre forme di vita, ma pensiamo ai risvolti filosofici, sociologici, perfino teologici”. Il fatto è che forse inconsciamente lo sappiamo già: tutti vogliamo vedere ET, ma se alla fine ET si palesa davvero rischia di non essere una cosa buona. La storia dei contatti tra popoli lontani qui sulla Terra ce lo ha insegnato: c’è sempre una fase di scontro, a volte perfino di dissoluzione.
Ci sono teorie meno negative. C’è chi ritiene che gli alieni ci salveranno, perché se esistono civiltà più sviluppate della nostra, è probabile che abbiano trovato delle soluzioni alle catastrofi che oggi ci minacciano – la devastazione ambientale, l’olocausto nucleare, la catastrofe delle armi biologiche –, che si siano evolute in civiltà benevole e che ci insegneranno a sopravvivere a noi stessi. Infine c’è la teoria meno sognante, ma più pratica, di Montebugnoli: “Se davvero esistono civiltà che sono più avanti o più indietro di noi, è probabile che di noi non gliene importi niente”. Per ora siamo salvi, ma basta mandare annunci porno agli alieni.
Il Foglio sportivo - in corpore sano