Non c'è nessuna spina da staccare

Sentenza di morte

Redazione

Attorno a Eluana Englaro si affolla la compagnia della pessima morte. Perché è orribile la morte per fame per sete alla quale la ragazza in stato vegetativo dal 1992 è stata condannata con la sentenza emessa ieri dalla prima sezione civile della Corte d'appello di Milano. La sentenza autorizza, “con effetto immediato”, la sospensione della nutrizione e dell'idratazione con sondino della ragazza.

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    Attorno a Eluana Englaro si affolla la compagnia della pessima morte. Perché è orribile la morte per fame per sete alla quale la ragazza in stato vegetativo dal 1992 è stata condannata con la sentenza emessa ieri dalla prima sezione civile della Corte d'appello di Milano. La sentenza autorizza, “con effetto immediato”, la sospensione della nutrizione e dell'idratazione con sondino della ragazza, per la quale il padre Beppino da tempo chiede di “staccare la spina”. Anche se non c'è nessuna spina da staccare. Eluana respira da sola, vive, forse sogna, nessuno può sapere cosa. C'è ancora, il suo stato è stabile. Vive, e la concretezza di quella vita è insopportabile per chi la considera già morta. Nessuna spina da staccare, dunque, ma interruzione di semplici attività di sostentamento (“sostentamento ordinario di base”, lo aveva definito il Comitato nazionale di bioetica) e cioè della somministrazione di acqua e di cibo: non un atto terapeutico (dunque nessun accanimento) ma semplice cura.

    Il nostro ordinamento non prevede la pena di morte per chi non è in grado di mangiare e bere autonomamente. Poi, nello scorso ottobre, una sentenza della Cassazione ha stabilito che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l'interruzione della nutrizione quando “la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione”. E, insieme, quando “sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”. Per chi non può esprimersi, vale quindi l'interpretazione, la suggestione, la sensazione di altri. Alla faccia del consenso informato, che viene chiesto per i più banali atti medici ma che pare si possa tranquillamente saltare se si tratta di comminare la morte per fame e per sete.

    Il costituzionalista Aldo Loiodice, docente a Bari e a Roma, dice al Foglio che la sentenza di Milano “è abnorme, perché nega il principio primario del diritto alla vita. Non siamo di fronte al diritto di rifiutare le terapie e anche la nutrizione, attraverso una volontà liberamente espressa. In questo caso non c'è nessuna volontà, se non quella dei tutori della Englaro. E' un fatto moralmente e giuridicamente inaccettabile. Viene invocato il diritto a uccidere una persona attraverso la negazione dei supporti minimi per la sua sopravvivenza. Quello di Eluana non è un corpo privo di valore, ‘è' Eluana. E il suo tutore non può intervenire su diritti personalissimi, che non ammettono rappresentanza”.

    Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, il ragazzo che si è svegliato dopo due anni di stato vegetativo, racconta al Foglio di aver commentato con Bobby Schindler, fratello di Terri Schiavo, “questa assurda sentenza. Siamo preoccupati per una decisione ingiusta che si basa su dichiarazioni non verificabili e che apre scenari neri per tutti coloro che si trovano nelle condizioni in cui si è trovato mio fratello”. Che ci sia da preoccuparsi lo conferma un commento del legale della famiglia Englaro, il quale giudica “paradossale che venga riconosciuto il diritto di rifiutare un trattamento medico a tutti tranne che a chi non può rifiutarsi proprio perché in stato vegetativo”. “Invasiva”, secondo questa logica grottesca, sarebbe la somministrazione di cibo e acqua a Eluana, mentre non sarebbe invasiva la decisione – presa da altri – di negarglieli.

    Significa, secondo il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, che “la decisione di porre fine a una vita umana non richiede dunque nemmeno quelle cautele che riguardano le normali volontà testamentarie su beni materiali”, mentre il Centro di Bioetica della Cattolica di Milano sottolinea che la sentenza della Corte d'appello “introduce un serio e grave problema deontologico nella medicina: sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un paziente in stato vegetativo a motivo di una decisione che non ha fondamento clinico, significa di fatto scardinare il dovere fondamentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere”.

    L'associazione Scienza & Vita parla di “deriva culturale: che si consideri come criterio fondamentale l'esercizio dell'autonomia, anche laddove questa non possa più essere esercitata. E che, in nome di questa falsa autonomia, si metta in gioco anche quel rispetto per la dignità umana che proprio nella vita fisica trova la sua ragion d'essere”. Mentre Medicina e Persona accusa: “Questa decisione su Eluana è una condanna a morte perpetrata per legge in nome della pietà. La decisione della Corte d'appello di Milano è gravissima ed è la dimostrazione del modo scorretto di operare in questi ultimi decenni di una parte della magistratura italiana, che si arroga il diritto di stravolgere le leggi, addirittura di crearle”. Eloquente, a questo proposito, il commento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia pro vita, il quale si chiede “come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta, al legislatore”. Mentre sottolinea che “Eluana è ancora una ragazza in vita. Il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale”.

    I giudici milanesi fanno di più. Si spingono fino a dettare le procedure mediche che devono accompagnare Eluana alla morte (“occorrerà fare in modo che l'interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale con sondino naso-gastrico la sospensione dell'erogazione di presidi medici collaterali o di altre procedure di assistenza strumentale avvengano in hospice o altro luogo di ricovero confacente…”). Estrema beffa: il padre di Eluana può già ottenere la sospensione dell'alimentazione, mentre il procuratore generale ha due mesi per presentare appello. Per quella data, però, Eluana potrebbe essere già morta.

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