Showgirl politics/2
Un'italia a provino di bomba
C'è il modello Luchino Visconti, film “Bellissima”: un provino terribile per trovare una bambina con faccia da cinema. Mamme angosciate e disposte a tutto. Mamme che pagano parrucchieri e truccatori per migliorare la resa della figlia, e affidano le speranze a un manigoldo sfruttatore di talenti immaturi. Leggi la prima puntata
C'è il modello Luchino Visconti, film “Bellissima”: un provino terribile per trovare una bambina con faccia da cinema (nella foto, l'attore James Cagney in uno scatto da giovane). Mamme angosciate e disposte a tutto. Mamme che pagano parrucchieri e truccatori per migliorare la resa della figlia, e affidano le speranze a un manigoldo sfruttatore di talenti immaturi. Giurie che ridono di una piccola candidata piangente, e un ultimo sussulto di saggezza: ritiro mia figlia dall'agone. E c'è il modello “Little Miss Sunshine”, il film del 2006 in cui una sgangheratissima famiglia attraversava l'America su un ancor più sgangherato minivan per portare la piccola Olive a un concorso di bellezza – solo che la piccina, a differenza delle truccatissime e serissime bambine-rivali, non aveva istruttori ma soltanto un nonno burlone a far da coreografo, e non aveva occhi velati d'ombretto e capelli ondulati ad arte, ma soltanto l'ingenuità di un Candide e una deliziosa pancia da bimba che si abboffa di gelati e stravede per le bibite con le bollicine.
Un sistema-casting sospeso a metà tra il modello Visconti e il modello “Little Miss Sunshine” emerge oggi dal racconto di Valentina, diciannovenne romana, modella e aspirante valletta. “Il casting è come fare l'esame di maturità di nuovo e poi ripeterlo una settimana dopo con la stessa ansia”, dice Valentina. Io so che vado bene, so che ho le misure giuste, so che ho la pelle giusta, so che ho fatto la dieta prima di presentarmi, solo ananas e un minestrone per quattro giorni. So che sono alta come le ragazze dell'Est, ma non so se ce la farò. Ogni volta che mi prendono sento una scarica di euforia. Come bere una vodka, ma io posso bere pochissimo perché sennò ingrasso”. In questi giorni Valentina si rammarica di avere i capelli scuri e non schiaribili (probabilmente teme l'effetto “strega punk”): “Ma non so come fare, perché ora gli stilisti vogliono capelli chiari, non biondo platino, molto sottili, dell'Est, appunto”.
La paura delle ragazze dell'Est, soldatini esili con una determinazione al di là dell'immaginabile, adolescenti solo sulla carta d'identità, spaventa chi era cresciuta con il mito della top anni Novanta – Cindy Crawford, Linda Evangelista, Claudia Schiffer: ragazze altissime e bellissime ma “morbide, umane, capricciose, materne”, come racconta un responsabile pubblicità di un grande quotidiano, con una lunga conoscenza del mondo della moda. “Le ragazze dell'Est, polacche, russe, del Baltico”, dice Claudia, impiegata in un'agenzia di viaggi a Roma, e mamma della modella Valentina, “sono abituate a fare sacrifici. Hanno studiato magari matematica, ingegneria. Sono qui da sole. Non piangono. Non si lamentano. Dividono la casa con altre amiche, sono già donne, hanno uno sguardo duro. Mia figlia e le sue amiche hanno l'aria da pulcini, è come se avessero sempre la rete di salvataggio”. Valentina non è d'accordo. Dice che per pagarsi la scuola di portamento ha fatto “la barista in Grecia due anni fa, come tutti. Anche i miei amici che sono all'università fanno i camerieri la sera. Io voglio fare altro, ma faccio più sacrifici di loro, per esempio la dieta. Non vado a bere aperitivi come loro”. Si sente temprata per la vita in generale, Valentina, anche se ora vede solo la moda nel suo futuro, “ma se piangi a un provino sei finito, per cui non piange nessuno, figurati”, ammette ricordando che al primo casting di moda aveva le lacrime in gola perché aveva capito che non sarebbe stata presa, ma ha fatto di tutto “per ingoiarle”. E dice che l'ossessione per la moda è una cosa “che hanno tutti, chi più chi meno, pure mia sorella che ha trent'anni e si specchia nelle vetrine quando cammina e si mette gli occhiali da diva”.
Il ragazzo di Valentina, modello anche lui e velista nel tempo libero, dice di essersi avvicinato alla moda perché non guadagnava abbastanza facendo lo skipper d'estate. Quando Valentina è in stato confusionale, il giorno prima di un casting, il ragazzo dice di avere una frase magica che la risolleva: “Che piangi a fare, non lo sai che non ti regala niente nessuno?”.
Che fosse per sdrammatizzare lo stress da “aspirante modella o velina” o per prendere in giro chi vede nel velinismo l'antitesi del femminismo, gli autori della trasmissione “Scorie” (Raidue) hanno piazzato come vallette le “Quote rosa”, belle ballerine che, sventolando lettere dell'alfabeto e unendole a formare appunto le parole “quote rosa”, riescono nell'impresa di ammiccare e dimenarsi e intanto mostrarsi autoironiche sul proprio “essere velina”.
Senza i parossismi della madre di “Bellissima”, il casting è ancora una storia di mamme e figlie. Mamma che aspetta, mamma che sostiene. Figlia diligente che studia, studia, studia. Mamma che rinuncia a cucinare sughi, figlia che mangia solo pollo scondito e insalata. Francesca Provetti, diciotto anni, milanese, ex allieva (modella) della scuola e agenzia per nuovi talenti New Faces, ex gareggiante a Miss Italia, esce dal liceo classico, supera senza fermarsi i crocchi di compagni vocianti – chi la intervista al telefono li sente, ma lei sembra non curarsene – e, attesa dalla mamma, sale in macchina, si riposa un attimo e poi va a un corso o a un provino o a una sfilata o a uno shot, anche se quest'anno il lavoro deve attendere causa esame di maturità. Francesca insiste molto sul fatto di “fare il liceo classico”, come le ballerine insistono sulla danza classica, che ti insegna il rigore del demi-plié. Spiega di voler fare l'università, anche se non medicina, come aveva pensato, perché poco conciliabile con un lavoro tra moda e spettacolo. “Per me lo studio è fondamentale, ho i voti più alti della scuola”, ripete Francesca, e lo dice con un tono che un diciottenne medio degli anni Novanta avrebbe tacciato di “secchionaggine”. Francesca non si sente secchiona. Alla New Faces è arrivata quasi per gioco, spinta da un fotografo che le ha detto: “Ma perché non fai qualche provino?”. Detto e fatto. “Il riscontro è stato buono”, dice Francesca, “e allora sono cominciate le lezioni di portamento, di trucco, pratiche e teoriche, di storia della moda. Ho fatto un esame di idoneità, l'ho superato, ho fatto un book, delle sfilate, un provino a Sky. Il mio sogno nel cassetto è la recitazione, ma vedremo”. Francesca si sente solidale “e senza pregiudizi” nei confronti delle ragazze “che vengono considerate inadatte alla politica perché hanno fatto televisione: ma se hanno una laurea e sono preparate perché no?”.
“Perché no?”, pensa in effetti chi vede il casting come uno dei meccanismi che sbloccano filiere bloccate. Sembra pensarlo anche Franco Battaglia, titolare della New Faces, la scuola-agenzia dove Francesca ha mosso i primi passi da modella. Anche riguardo ai casi in cui non ci sia, come alle imminenti europee, la preferenza da esprimere (per confermare o affossare il “newcomer” che viene dalla tv), Battaglia non sembra scandalizzato dall'ipotesi di una politica “a caccia di talenti televisivi”. In compenso non risparmia critiche alle mamme ansiose della sezione bambini-modelli della sua agenzia. “Ce ne sono alcune che smettono di lavorare per far fare pubblicità alle bambine, ma quelle lo sentono che non è un gioco, e diventano insopportabili. Ho visto mamme così anche ai provini per modelle adolescenti, per fortuna poche”. Battaglia sa che cosa voglia dire “gavetta” perché l'ha fatta pure lui, prima di vincere l'Ambrogino d'oro per le capacità imprenditoriali. A ventitré anni, hair stylist freelance, ha aperto il primo negozio. Da lui, a curarsi l'immagine, sono passati miti anni Ottanta come i Passengers e Den Harrow, nonché Adriano Celentano e Claudia Mori. Prima di fondare la piccola catena New Faces, la serie di scuole-agenzia per volti nuovi, Battaglia ha fatto in tempo a scrivere libri sulla cura del corpo e la riuscita professionale nella moda. “Qui davanti a me c'è una modella bulgara che ha vinto un importante concorso in Bulgaria, ma il suo agente l'ha portata da noi per la promozione d'immagine”, dice, orgoglioso di avere in agenzia una vincitrice di concorsi nell'Europa dell'Est, come a voler esaltare l'alacre e oscuro lavorio che c'è dietro un “nuovo talento”: “E però quando una mia amica voleva mandare qui la figlia, io l'ho guardata e ho detto: no, lei la modella non la può fare, non ha i requisiti. Qui diciamo la verità. Si presenta chiunque, dalla figlia della portinaia al figlio dell'imprenditore. Chi è idoneo studia, e poi lo lasciamo libero di scegliere un'agenzia – gli diamo la lista delle agenzie – o di affidarsi a noi”.
Il mondo di studio matto e disperatissimo delle allieve di Battaglia – niente lustrini tranne quelli che servono per sfilare, niente foto sui giornali, almeno non durante i corsi – sembra lontanissimo da quello (che fu) di Lele Mora e Fabrizio Corona, anche se i confini sono labili, e chi affronta vittorioso il casting della svolta o il programma della svolta viene quasi sempre avvicinato da un grande agente. “Casadei o Presta”, dicono molti ex concorrenti dei reality quando gli chiedi: da chi sei rappresentato o da chi vorresti essere rappresentato?
Gianna Tani, per vent'anni direttore dell'ufficio casting di Mediaset, di veline, showgirl e modelle ne ha “provinate” tante, e quando ancora erano lontanissime dall'approdo in agenzia. Oggi, da autrice del libro “Come nasce una star” (Piemme), dispensa consigli ai frequentatori di casting, oltre a raccontare “le prime volte di”. Lo sapevi che Simona Ventura ha esordito come concorrente di giochi televisivi?, scrive Tani. E che Emanuela Folliero ha “rischiato di non cogliere la sua occasione per colpa di un numero di telefono sbagliato”? Il manuale di autoaiuto per “provinandi” insegna per esempio a buttare nel cestino prima di entrare la gomma americana – complice inseparabile, pare, di chi vuole lavorare in tv, forse perché, come spiega Barbara, aspirante velina napoletana non ancora passata per selezioni ufficiali, “quel masticare e masticare scarica la tensione, ma in effetti chi mastica gomme sembra maleducata o sguaiata, e io non vorrei mai essere scartata per colpa di un chewing-gum”. Tra i consigli di Gianna Tani – signora del nord che dà del lei a tutti e si esprime con flemma e con una voce roca simile a quella di Anna Finocchiaro – figura l'incredibile massima (per i non addetti): “Vestiti come se andassi al primo appuntamento d'amore”. Cioè non troppo vistosa né troppo sciatta, per le donne, e con la camicia non troppo sbottonata, per gli uomini. Bisogna pure “arrivare in anticipo” (e qui il parallelo con l'appuntamento d'amore non regge, almeno se si ascoltano le nonne: falli attendere, fai attendere tutti). In anticipo “per non ritrovarsi trafelati, sudati e poco concentrati”, dice Tani, che è anche prodiga di dritte su come compilare il curriculum e su come gestire il provino stesso – mai ridere a sproposito, mai camuffarsi nelle foto inviate, mai fare i gradassi, mai fare scena muta, mai gesticolare scomposti, mai dimenticare di incipriarsi il naso due minuti prima della chiamata all'esame.
La candidata velina o modella o concorrente di reality, dice Tani, “deve saper mettere il congiuntivo al posto giusto. Non ho mai fatto passare nessuno capace di uscirsene con un ‘se avrei'”. Ma non sono soltanto i “provinati” a essere una specie di nuova classe sociale. Per Tani i casting per i reality show danno lavoro “anche indirettamente: migliaia di persone che ogni quattro mesi esaminano, dietro le telecamere, i 40-50 mila che provano a sfondare in tv”. Quando si chiede a Gianna Tani se crede che il casting sia un nuovo acceleratore di mobilità sociale, Tani risponde che il mondo dello spettacolo e la routine dei provini “abituano al public speaking di cui si servono anche i politici per trasmettere un pensiero in modo piacevole ed efficace, specie oggi che non ci sono più asettiche tribune ma dibattiti, meno noiosi anche se più disordinati. La bellezza, necessaria in un casting tv, aiuta – e non è un delitto – anche in politica. Qualche anno fa si prendeva in giro Francesco Rutelli per il fatto di essere un bell'uomo. Certo, Rutelli era un politico di professione, le cosiddette veline in politica di oggi magari non ancora, ma diamo tempo al nuovo politico, donna o uomo, di mostrarsi politico”.
La rassegnazione allo stress da casting resta nella mente di chi ce l'ha fatta e ha visibilità, agenti, lavoro. Costantino Vitagliano, famoso ex tronista (cioè impegnato, qualche anno fa, nella trasmissione “Uomini e donne” – nel ruolo di “corteggiato”, dopo esser stato “corteggiatore”), ricorda i tempi di quando era soltanto modello e dice: “E' sempre stato così, ora la televisione sembra amplificare il fenomeno ma le schiere di gente che si accalcano ai provini esistevano pure prima. Forse quello che è cambiato è che adesso, sotto esame, è anche il tuo carattere”. Seppur molto popolare, Costantino a fare politica non ci ha mai pensato: “Non sono adatto. Non sono capace di scendere a compromessi. Penso che in politica sarei soltanto una meteora”.
La giovane sociologa e giornalista Gaia Nanni, in un saggio sul divismo, mette i “Costantini” di oggi, come i concorrenti del Grande Fratello, nella categoria “ribalta dell'uomo comune”. Quella dei divi provenienti dai reality show che le hanno ispirato il paragone con “gli zoo umani dell'Ottocento”: “Se la pubblica esposizione dei selvaggi sembrò, nel XIX secolo, fornire una risposta alle fantasie e alle inquietudini dell'occidente sull'Altrove, dobbiamo domandarci quali sono oggi le motivazioni che ci portano alla visione dell'altro esibito, sezionato, spettacolarizzato”, scrive Nanni. Chi invece fa l'attore, di fiction o film, guarda con distacco l'ansia da provino (e l'anelare alla celebrità) dell'uomo comune. “A me non interessa la televisione di Andy Warhol, i quindici minuti di celebrità”, dice Giusy Frallonardo, giovane attrice di fiction, e aggiunge che per un attore, a differenza che per il concorrente che tenta il tutto per tutto, “il provino è istituzionale come la precarietà, fa parte della formazione. Certo, è comunque una roulette: devi essere quello che il regista ha in mente”.
A vedere, oggi, le masse di teste bionde e brune e le migliaia di occhi con eye-liner che si mettono ordinatamente in fila ai casting di Cinecittà, viene da pensare che un contrappasso benigno stia premiando Gianni Boncompagni, che dei casting di ragazzine (per “Non è la Rai”) è stato dominus e animatore negli anni Ottanta-Novanta. “Ambra non sa dire nulla di testa sua, è Boncompagni che parla in cuffia”, dicevano, allora, gli scandalizzati spettatori dello show in cui si facevano le ossa le antesignane delle odierne veline e showgirl. E oggi che Ambra è una giovane donna intelligente, una brava attrice, una con le sue idee, Boncompagni, ridacchiando, ricorda “quel manifesto parodia del ‘I want you' dello Zio Sam con la faccia di Ambra, quello con cui richiamavamo le ragazze ai provini: arrivavano a gruppetti di amiche, con i genitori, con il ragazzo. A me pareva di avere il sesto senso. Vedevo subito se una ce la poteva fare, ma erano tutte simpatiche, spigliate, allegre. Ma quali mummie! Più in là ho fatto un programma con Chiambretti, e prendemmo tutte laureate e laureande”.
Boncompagni vede che il casting tv dilaga in altri campi, ma non si allarma: “Anzi, sto più tranquillo se vedo una donna che decide di fare politica piuttosto che un uomo, anche se viene dalla televisione. La donna è seria, si prepara. L'uomo non sempre. E il mio assioma è: gli uomini rubano, la donna no, a meno che non sia la gazza ladra”. E sorride, da uomo del casting, all'idea di un mondo governato dalla legge del casting.
Il Foglio sportivo - in corpore sano