La violenza non è più un tabù
In un pamphlet intitolato “Dio è violent” (Nottetempo) la filosofa e femminista Luisa Muraro sostiene che il contratto sociale “è un’idea morta”, e che per questo va ripensato il tema dell’uso della forza: “Qui si tratta di trovare vedute alte e larghe sull’uso della violenza”, scrive Muraro. Critica “l’abdicazione ad agire, se necessario, con tutta la forza necessaria”, se si vuole “sollevare le giuste pretese e abbassare l’arroganza dei potenti”.
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In un pamphlet intitolato “Dio è violent” (Nottetempo) la filosofa e femminista Luisa Muraro sostiene che il contratto sociale “è un’idea morta”, e che per questo va ripensato il tema dell’uso della forza: “Qui si tratta di trovare vedute alte e larghe sull’uso della violenza”, scrive Muraro. Critica “l’abdicazione ad agire, se necessario, con tutta la forza necessaria”, se si vuole “sollevare le giuste pretese e abbassare l’arroganza dei potenti”. Elogia la “strada breve e diretta. Che non è l’azione violenta, ma l’azione possibile ed efficace”, che “comporta a volte una certa violenza” (vedi il Foglio di martedì e giovedì scorsi e, ieri, l’intervista al ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, la quale auspica che non si ritorni “alla clava”).
Le tesi della Muraro “invitano a riflettere anche chi, come me, viene dall’esperienza della nonviolenza”, dice al Foglio Angela Azzaro, vicedirettrice del giornale on line Gli Altri. “La nonviolenza non ha certo esaurito il proprio ruolo ma non la vedo come un dogma, una verità da tenere in tasca. Oggi questa verità vacilla di fronte a ciò che vediamo accadere. Quando scrive che ‘dell’agire efficace bisogna dire che esso comporta a volte una certa violenza’, Muraro vuole costringerci a guardare un mondo in cui un patto si è rotto. E ha ragione”.
Il giornalista Massimo Fini, che nel 2004 ha pubblicato “Sudditi. Manifesto contro la democrazia” (Marsilio), osserva che “più che morto, il contratto sociale non è mai esistito. La democrazia rappresentativa è una truffa ben congegnata per metterlo in quel posto alla gente con il suo consenso. Un sistema di lobby, oligarchie, partiti che schiacciano l’individuo (per inciso: i teorici della democrazia – Stuart Mill, Locke – non nominano mai i partiti, e nemmeno, fino al 1920, li nominavano le costituzioni liberal-democratiche. Il pensiero liberale vuole valorizzare l’individuo singolo, è antitetico a ogni lobby). Quanto alla violenza, la democrazia, nata su bagni di sangue, si è messa al sicuro perché non accetta nemmeno concettualmente che possa esserle resa la pariglia. Sono d’accordo con Muraro: siccome non abbiamo difesa, una forma di violenza – che non sia terroristica, ovviamente, ma nella forma tunisina di rivolta violenta e non armata – la ritengo giusta”. La giornalista e femminista Ida Dominijanni considera il pamphlet di Luisa Muraro “un gesto politico magistrale, perché affronta un tema tabù, la violenza, diventato tale con gli anni di piombo. Un tema decisivo proprio per l’incrocio tra quella ‘tabuizzazione’ e il farsi sempre più violento dell’agire istituzionale. Muraro dice, senza ipocrisie, che come ogni tema rimosso la violenza può tornare, e ce lo insegna la storia di questo paese: penso all’attentato al dirigente dell’Ansaldo, penso all’episodio di Brindisi. Può tornare il terrorismo brigatista, può tornare Piazza Fontana. Questo libro esce in un momento molto scomodo che però coincide con il momento giusto. Ma non va preso come un’autorizzazione all’azione violenta. E’ un tentativo per dire: riparliamone, sia perché le donne sono nella posizione giusta per parlarne, sia perché dobbiamo riuscire a elaborare la violenza e a tradurla in forza, mentre spesso la paura della violenza ci fa rinunciare alla forza. L’obiettivo politico non è praticare il travalicamento della forza in violenza ma riportare la violenza a forza”. Sulle tesi di Luisa Muraro – che lunedì alle 21, a Roma, partecipa al Festival delle Letterature – abbiamo chiesto anche il parere di Mario Tronti e Toni Negri, filosofi, e dell’economista Guido Viale. Tutti e tre hanno preferito, almeno per ora, non pronunciarsi.
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