Cancellieri si difende

Quanto costa (e nel caso a chi giova) sfiduciare il ministro-prefetto

Salvatore Merlo

Oggi pomeriggio Annamaria Cancellieri riferirà al Parlamento su come sono andate davvero le cose. Corazzata nella sua rassicurante rotondità, nella sua durezza matronale di prefetto (“io non cedo e trovo inaccettabili i sospetti e le falsità che mi circondano”), il ministro della Giustizia racconterà, prima alla Camera e poi al Senato, dei suoi centonove interventi su anonimi detenuti in difficoltà, centonove telefonate, centonove segnalazioni anche dirette, casi di sofferenza umana – come ha rivelato sull’Unità Luigi Manconi – ai quali il ministro si è interessato personalmente “per dare umanità al sistema carcerario”.

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    Oggi pomeriggio Annamaria Cancellieri riferirà al Parlamento su come sono andate davvero le cose. Corazzata nella sua rassicurante rotondità, nella sua durezza matronale di prefetto (“io non cedo e trovo inaccettabili i sospetti e le falsità che mi circondano”), il ministro della Giustizia racconterà, prima alla Camera e poi al Senato, dei suoi centonove interventi su anonimi detenuti in difficoltà, centonove telefonate, centonove segnalazioni anche dirette, casi di sofferenza umana – come ha rivelato sull’Unità Luigi Manconi – ai quali il ministro si è interessato personalmente “per dare umanità al sistema carcerario”, lo stesso impegno, politico e civile, umano e amministrativo, che ieri l’ha portata a Strasburgo, di fronte al Consiglio d’Europa, per presentare i piani del governo italiano sul sovraffollamento delle carceri e l’eccessiva durata dei procedimenti. E dunque, senza enfasi né retorici tremolii, oggi Cancellieri ripercorrerà, di fronte a deputati e senatori d’un Parlamento incerto, neghittoso e tentato da acrobazie sotterranee, la lunga teoria dei centonove casi di carcerati cui si è interessato il ministero della Giustizia negli ultimi tre mesi, fino all’inciampo fatale sul centodecimo intervento, quello che riguarda i ricchi, potenti e chiacchierati Ligresti, famiglia cui Cancellieri – dirà il ministro – non è legata da un’alleanza mondana o da gran giochi di familismo all’italiana, ma soltanto da antica, insospettabile e privata amicizia: “Non sono mai venuta meno ai miei doveri istituzionali per un amico, e non lo farei neppure per un fratello”.

    Mentre il Pdl si schiera a difesa del ministro – “ma la usano come foglia di fico per difendere Berlusconi nel caso Ruby”, dice Paolo Gentiloni – ad accogliere in Parlamento Annamaria Cancellieri sarà una mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle, una tentazione, un richiamo pavloviano per una parte del Pd, sempre incline – nel dubbio – a sofferenze e contorsioni, baruffe, urletti e singhiozzi. Ed è con una certa preoccupazione che Enrico Letta, e il silente Giorgio Napolitano, adesso ascoltano il mormorìo ombroso che si leva dai corridoi del Parlamento: la sfiducia potrebbe votarsi – è quasi certo – a scrutinio segreto, tra qualche giorno, e allora sulla testa del ministro si giocherebbero d’un tratto tutti i giochi, e tutti insieme, in un intreccio pericoloso e forse incontrollabile, che anticipa il voto sulla decadenza di Berlusconi (la data sarà decisa oggi) e anche il dibattito esplosivo sulla Legge di stabilità. S’incrociano i bisticci del Pdl, diviso tra ministeriali e crisaioli, tra gli uomini di Alfano che ora reclama le primarie e il resto del suo partito, con la debolezza irritabile d’un Pd impastato di protesta e assenso, già inebetito dalla lotta congressuale, pronto ad andare in ordine sparso sul caso Cancellieri, sospeso tra la lagna contundente di Pina Picierno e la tosta difesa di Alfredo Bazoli. E’ la mobilità la qualità predominante nel Pd, un colorato e pittoresco mosaico in cui la disinvoltura e la leggerezza dei gesti, assieme a una certa crudeltà nei giudizi – “la Cancellieri si è messa a disposizione dei Ligresti, ha compiuto atti gravi”, dice Casson – diventano quasi autorità nelle parole seriose e vaghe del segretario Epifani: “Abbiamo assunto una posizione, che è quella di attendere i chiarimenti in Parlamento. Ascolteremo e valuteremo”. Così che il tutto diventa una specie di travolgente festival barocco della parola.

    Conti e costi della sfiducia
    “Se fossi d’ostacolo al governo mi dimetterei immediatamente”, ha detto ieri il ministro. Ma costa di più sacrificare o difendere la signora Cancellieri? Letta, negli ultimi giorni, ha respinto per due volte le dimissioni del suo ministro della Giustizia e l’ha difeso pubblicamente, “chiarirà tutto in Parlamento”, ha detto. Letta è abituato a vivere nell’incertezza del domani sin dal primo giorno passato a Palazzo Chigi, gran navigatore nella palude non è tipo da impressionarsi per una mozione individuale di sfiducia (ha vissuto il batticuore della conta il 2 ottobre in Senato contro il Cavaliere di bronzo). Ma il capo dello stato, che pure si era sbilanciato, a suo tempo, per Angelino Alfano nel caso Shalabayeva, adesso tace, e non perché ritenga inopportuna la difesa di Cancellieri. Se il voto di sfiducia al ministro dovesse diventare sul serio un pericolo, l’occasione – a scrutinio segreto – per dare sfogo in Parlamento all’insofferenza che serpeggia nei confronti delle larghe intese, allora Napolitano non sarebbe affatto contrario a raccogliere la disponibilità alle dimissioni manifestata dal Guardasigilli. La signora Cancellieri lo ha già detto, “se mi rendessi conto di essere un ostacolo o un peso me ne andrei”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.