Prima dell'alba

Il Cav. apre le gabbie del Pdl, falchi e colombe volano ognuno per sé

Salvatore Merlo

Il notturno berlusconiano è sempre una terra incognita, ma s’intuisce che la separazione si consumerà dall’alba in poi, all’Eur, nell’assenza di Angelino Alfano e dei ministri al Consiglio nazionale con il quale verrà sciolto il Pdl e lanciata Forza Italia. Silvio Berlusconi ha già trasformato il suo atto di forza, la crudele resa dei conti con la ribellione ministeriale, in un problema dei suoi spaesati subalterni, una dialettica tra Alfano e Raffaele Fitto, inconsapevolmente dotati di un’autonomia di toni e caratteri che origina nella cangiante, caotica volontà del Sovrano.

    Il notturno berlusconiano è sempre una terra incognita, ma s’intuisce che la separazione si consumerà dall’alba in poi, all’Eur, nell’assenza di Angelino Alfano e dei ministri al Consiglio nazionale con il quale verrà sciolto il Pdl e lanciata Forza Italia. Silvio Berlusconi ha già trasformato il suo atto di forza, la crudele resa dei conti con la ribellione ministeriale, in un problema dei suoi spaesati subalterni, una dialettica tra Alfano e Raffaele Fitto, inconsapevolmente dotati di un’autonomia di toni e caratteri che origina nella cangiante, caotica volontà del Sovrano. E già all’orizzonte s’intravede il profilo di due strani partiti, uno di lotta e uno di governo, e alle loro spalle l’immagine sfocata di un unico leader, chissà, magico e solipsista, inafferrabile, incapace di perdere se non contro se stesso, un padrone che non licenzia mai nessuno, non partecipa a funerali e nemmeno asseconda cruente separazioni politiche che pure è stato lui a pretendere. “Questi litigano, e io vorrei andare ad Antigua”. Il Cavaliere si è messo al centro, al di sopra (o al di sotto) dei contendenti, e a tarda sera, mentre Alfano e Maurizio Lupi lo osservavano sgranando gli occhi nello studio di Palazzo Grazioli, a un certo punto, con una capriola, ha riaperto ancora una volta i giochi, ribaltato la scena, “potremmo fare un ufficio di presidenza stanotte e metterci d’accordo”, ha detto loro. E per qualche ora li ha ubriacati, come al solito, falchi e colombe, ministeriali e crisaioli, forzisti e pidiellini, avvolti nel suo caos, la materia di cui il Cavaliere si nutre, la sostanza inafferrabile sulla quale soltanto lui riesce a stare a galla. Ma fedele a una sceneggiatura incongrua e sfibrante, Berlusconi ha poi consultato al telefono l’altra fazione, quella guidata da Fitto e animata dalla Pitonessa Santanchè – “adesso Angelino mi fa i diktat, vi rendete conto?”– e da loro si è fatto dire che non c’è niente da fare, che non si può cedere alle richieste di Alfano, al giuramento di fedeltà al governo, al meccanismo consolare dei due coordinatori alla testa del nuovo partito. “Così è saltato tutto”, dice Roberto Formigoni, l’ex potentissimo presidente della Lombardia, con l’aria di chi sa cosa significa essere autore e vittima di un abile raggiro illusionista. “Il gioco tra Alfano e Berlusconi rischia di continuare comunque, all’infinito”, suggerisce il senatore Andrea Augello. E sempre Berlusconi ha tiranneggiato una società sulla quale imperava grazie a uno spirito d’iniziativa senza riscontri, a un fiuto esatto e sadico delle debolezze dei suoi cortigiani.

    “Pretendevano un giuramento scritto”
    E dunque è vero, in assenza di controprova: si separeranno, stamattina alle 10. “Hanno bestemmiato Berlusconi”, dice Mariastella Gelmini. E l’ex ministro dell’Istruzione indica un punto nell’aria, come fossero lì, a un centimetro da lei, il profilo ribelle di Alfano, di Lupi, di Lorenzin, di Quagliariello, di Cicchitto… “Pretendevano un giuramento scritto, la sicurezza che il governo sarebbe andato avanti comunque, anche in caso di decadenza di Berlusconi. E’ un’eresia”. Ma l’eresia implica comunque la fede, legioni di eretici hanno affrontato il martirio nella certezza di conseguire premi celesti. E difatti Alfano si contorce, insiste, non rinnega la fede, “noi siamo e resteremo berlusconiani”, dice l’ex Delfino, che pure ha già organizzato i suoi gruppi autonomi, il germoglio del suo partito (si chiama Nuovo centrodestra): trentasette senatori e ventitré deputati. L’eresia, insomma, non scalfisce la fede, si limita a bestemmiarla, a distorcerla. E dunque nel Pdl la scissione è già avvenuta, si è consumata nelle parole di ieri (“chi non condivide i valori di Forza Italia è libero di andarsene”, ha detto Berlusconi), ma l’aria di guerra rimanda a una speranza di pace, a un divorzio sempre reversibile, alle mille inebrianti acrobazie di cui è capace il Sultano di Arcore. Sono berlusconiani i falchi e sono berlusconiani gli uomini del governo, e l’uovo della politica italiana, per Berlusconi, può sempre rompersi dall’interno (con Alfano) o dall’esterno (con Fitto). “Questi del partito giocano al tiro alla fune. Io lavoro a evitare la maledetta scissione”, confessava ieri sera, sincero e birbante, capo di un partito in cui tutti fanno baruffa e simulano la pace a nome suo. Ed è una sintesi così semplice e insieme quasi vertiginosa. L’inconoscibile creatore dà per inteso che il futuro del centrodestra è una verità schiusa a misteriose promesse, tutto in questo strano partito, per sua volontà, per cinismo ludico, per equivoco sulla natura della politica, è congettura, speranza, rappresentazione opinabile.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.