La notte dei tormenti

Negli specchi avvelenati del voto su Cancellieri il Pd litiga con se stesso

Salvatore Merlo

E’ una platea, l’assemblea dei deputati del Pd, che gusta i drammi compressi nella liturgia di partito, ama le sofferenze imprigionate dentro una cerimonia. “Questa sera valuteremo se c’è coerenza nei comportamenti”, dice Pippo Civati. E il candidato alle primarie si libera come di un grumo che gli rode il petto, “voglio vedere come respingono la mia mozione di sfiducia”. Nel momento del pericolo il Pd è pieno di segreti, di risposte latenti, di un furore e di una rapidità biologiche, come un corpo, come un organismo che si muove e respira.

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    E’ una platea, l’assemblea dei deputati del Pd, che gusta i drammi compressi nella liturgia di partito, ama le sofferenze imprigionate dentro una cerimonia. “Questa sera valuteremo se c’è coerenza nei comportamenti”, dice Pippo Civati. E il candidato alle primarie si libera come di un grumo che gli rode il petto, “voglio vedere come respingono la mia mozione di sfiducia”. Nel momento del pericolo il Pd è pieno di segreti, di risposte latenti, di un furore e di una rapidità biologiche, come un corpo, come un organismo che si muove e respira. Enrico Letta lo conosce come conosce se stesso, e perciò ieri lo ha cullato sino a farlo addormentare. A tarda sera si è presentato alla lunga, tesa e notturna riunione d’un partito che ancora, al momento in cui il Foglio va in stampa, non sa bene cosa succederà questa mattina in Parlamento, ma che per tutto il giorno è sembrato provare uno speciale godimento, quasi una febbre, un gioioso delirio nel tormentarsi.

    Sfiduciare o no Annamaria Cancellieri? Votare o non votare la mozione contro il ministro della Giustizia assieme al Movimento 5 stelle? “Se fossi Letta non ci metterei la faccia. Questa della Cancellieri rischia di essere una vicenda sulla quale il Pd resta immolato sull’altare del politicamente corretto”, dice Matteo Renzi. E si capisce che il sindaco ragazzino parla di politicamente corretto per non dire quirinalmente corretto, “perché qui la battaglia non riguarda solo i rancori congressuali”, dice un deputato amico di Dario Franceschini, “ma è una puntata dello scontro tra una parte di noi e Giorgio Napolitano”, il presidente della Repubblica, il protettore di Letta, il fondatore del governo, l’uomo che persino Bersani considera colpevole di qualcosa, di non aver creduto in lui, di non averlo mandato a Palazzo Chigi. E così, mentre Beppe Grillo li investe tutti con i suoi soliti lazzi, “questi sono da ricoverare, si credono Machiavelli e sono solo dei politicanti”, i deputati del Pd s’immergono in un teatro della crudeltà che poco sembra aver a che fare ormai con il caso del ministro Cancellieri, con la sua telefonata ad Antonino Ligresti, con le sue amicizie chiacchierate. Nel Pd tutto ormai si attorciglia in una trama confusa e stordente, il congresso vinto per poco da Renzi, le primarie da vincere, l’ossessione per l’ingombrante padrinato di Napolitano, le ambizioni di Letta, le ubbie di D’Alema, i rancori del passato e quelli del presente, il futuro di ciascuno dei padroni e padroncini d’un partito che vorrebbe resistere o concedersi con lascivia alla scalata del maghetto fiorentino. E davvero Renzi è diviso in due, la guerra che gli fa e che egli fa a D’Alema e all’apparato è afosa, pesante, senza fine, a tratti forse persino miserabile, ma la sua prosa politica è invece fresca, serena, semplice. “Annamaria Cancellieri è una persona per bene”, dice, “e proprio per questo dovrebbe dimettersi, da donna di stato, da prefetto. Se cambia il ministro della Giustizia il governo Letta è più forte, non più debole”. E dunque Paolo Gentiloni si presenta di fronte ai colleghi con un documento che chiede le dimissioni del ministro, raccoglie il sostegno di Maria Elena Boschi e di tutto il gruppo di Renzi. Ma qualcuno spinge il rancore sino a denunciare un presunto complotto: “E’ ovvio che Renzi vuole fare cadere il governo, è tutto pronto, l’assedio a Cancellieri è il primo passo, vedrete che succede dopo l’8 dicembre”. Ma Gianni Cuperlo rassicura, con lui c’è l’apparato, e ci sono anche i governisti, gruppo trasversale e torturatissimo. “Noi stiamo con Letta”, dice Cuperlo. “E faremo quello che ci chiede”. Niente sfiducia contro Cancellieri.

    Delrio e il doppio passaporto
    E forse è vero che al Nazzareno si odiano, ma con uno stile minuzioso e ambiguo. Tra loro si trattano con una creanza da incubo, e procedono con un furioso cerimoniale dalle regole compassate. “Ma non possiamo che respingere la mozione”, sussurra Marina Sereni, scuotendo la testa come quando si è costretti ad agire contro coscienza. E lei che sta con Franceschini, e dunque anche con Renzi, rivela così il gioco di specchi vertiginoso che nelle ultime ore, com’era già accaduto per la mozione contro Angelino Alfano, costringe molti parlamentari del Pd a ricombinare d’improvviso l’ordine delle loro tormentate fedeltà. E ci si deve chiedere se esistano le crudeltà inconsapevoli. Persino Graziano Delrio quasi si sdoppia, si scinde da se stesso, “Renzi ha espresso solo un parere”, dice lui che ha in tasca un doppio passaporto, perché è ministro di Letta e Napolitano, ma è pure uno degli uomini di Renzi, cioè di quello che tutti indicano come il vero nemico del governo; uno, nessuno e centomila Pd.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.