Acrobazie di un Cav. scissionista

Salvatore Merlo

Confessa che la scissione è una sua idea, ribaldo asseconda il retropensiero d’un caos organizzato, del suo ennesimo infallibile magheggio, poi telefona ancora affettuoso ad Angelino Alfano e alimenta così il malumore, il broncio, la confusione dei pretoriani che lo hanno seguito dentro la sua ri-Forza Italia e che adesso, da giorni, si sentono sospesi in una dimensione senza tempo, non riescono a darsi un caprogruppo in Senato, a tratti fanno baruffa, stravolti dall’inafferrabilità del Sovrano, lui che di piroetta in piroetta, con un sorriso li ha spinti allo svenimento, “potrei essere io stesso il prossimo capogruppo di Forza Italia”.

    Confessa che la scissione è una sua idea, ribaldo asseconda il retropensiero d’un caos organizzato, del suo ennesimo infallibile magheggio, poi telefona ancora affettuoso ad Angelino Alfano e alimenta così il malumore, il broncio, la confusione dei pretoriani che lo hanno seguito dentro la sua ri-Forza Italia e che adesso, da giorni, si sentono sospesi in una dimensione senza tempo, non riescono a darsi un caprogruppo in Senato, a tratti fanno baruffa, stravolti dall’inafferrabilità del Sovrano, lui che di piroetta in piroetta, con un sorriso li ha spinti allo svenimento, “potrei essere io stesso il prossimo capogruppo di Forza Italia”. Sbuffa Raffaele Fitto, si dispera Mariastella Gelmini e persino Daniela Santanchè, la Pitonessa, si abbandona ogni tanto al brivido dissacrante del dubbio, lo sguardo malinconico e ostinato: “Ma che sta combinando il mio Cavaliere?”.

    A Villa Gernetto, nell’ultimo casting delle nuove leve del nuovo partito, Silvio Berlusconi ha candidamente rivelato che “la scissione con Alfano è una mia idea”, e chissà se è vero che il Cavaliere, nella notte dei lunghi tormenti, sprofondato su un divano del Castello, accanto ad Alfano e Maurizio Lupi, ha improvvisamente estratto dal cilindro l’inverosimile immagine di due partiti, separati ma alleati, diversi ma uniti, uno di lotta e uno di governo, entrambi suoi. Chissà. Forse è solo l’innocente spacconeria d’un uomo che ama stupire e stordire, una cosmesi, lo slancio ottimistico di chi ritiene possibile un altro rinvio alla temuta decadenza del 27 novembre, o forse è solo una battuta, lo spasimo pubblicitario del Cavaliere mai pervaso né persuaso dalla realtà.

    “Con lui tutto è possibile”, sussurrano, disfatti e stupefatti, nei corridoi di Forza Italia. Per Santanchè e Verdini, per Fitto e Brunetta, la scissione è stata la fuga dall’aridità del governo verso la sorgente della vita, dalla gravità responsabile del lettismo verso l’ebbrezza del movimentismo ribelle. Ma per il Cavaliere cos’e stata la scissione? Una manovra per gonfiare il consenso, per recuperare Cl, i cattolici, Casini, e tutto un mondo che lo aveva abbandonato? Macerati dal dubbio, gli uomini di Forza Italia ora spingono la loro dissipazione fino al piccolo ma significativo conflitto di potere per l’incarico vacante di capogruppo al Senato.

    Mercoledì sera, accompagnato da Francesca Pascale, fidanzata, Berlusconi ha cenato con Sophia Loren. E chissà quale spicchio di verità avrà offerto il Cavaliere “alla donna che ammiro di più al mondo”, perché ieri pomeriggio, nella sede del partito in Piazza San Lorenzo in Lucina, Berlusconi è apparso una sfinge agli occhioni spalancati dei suoi deputati e senatori che lo hanno osservato selezionare ancora ragazzi e ragazze, destinati forse a sostituire alcuni di loro in Parlamento. E lo hanno visto lavorare, scherzare, intervistare, parlare per tutto il giorno, prima scortato da Marcello Dell’Utri e poi, in serata, dalla giovanissima deputata Annagrazia Calabria. E’ così che Berlusconi dispiega i suoi poteri ottundenti, il suo fiorire, il suo crescere nel loro soffrire smarriti. “Berlusconi ci ha ordinato di restare al governo. A me lo ha detto lui stesso, nel giorno in cui abbiamo sciolto il Pdl e rilanciato Forza Italia”, racconta Jole Santelli, lei che è rimasta con il Cavaliere, lei che nel governo di Enrico Letta e Angelino Alfano è sottosegretario al Lavoro.

    Chiusi nelle loro stanze di partito, imprigionati nella turbinosa stasi imposta dal Cavaliere, gli uomini del berlusconismo sognano a occhi aperti: la soglia della loro coscienza si abbassa, sebbene i loro riflessi rimangano vigili. E pensieri affannati si visualizzano, le rivelazioni scendono in loro, fallaci o veritiere che siano: “Ma che pasticcio è questo?”, “cosa ha davvero in mente il Capo?”, si chiedono. Batti e ribatti, ecco l’incudine sprizzare scintille. Berlusconi adesso ha lo strumento per mettersi all’opposizione e abbattere il governo, adesso che anche Matteo Renzi scalpita vistosamente, ma cosa aspetta? La Legge di stabilità? La decadenza? O che altro? E forse si tratta di una sola scintilla, di un primo dubbio destinato a generarne altri, e più gravi persino: a che gli servono i ragazzi di Villa Gernetto? “Berlusconi ha la stessa considerazione umana dei sottoposti che doveva avere il generale Cadorna sull’Isonzo”, dice con un lampo d’ironia maliziosa Fabrizio Cicchitto, osservatore interessato, alleato-avversario di Forza Italia, ma vecchio amico del Cavaliere.

    La logica, con la sua tranquilla lucidità, lo condurrebbe a disperare del mondo, dunque Berlusconi “ricostruisce la logica a sua misura”, dice il senatore Augello, “sviluppa un rapporto candidamente alternativo con la verità”, suggerisce Mario Landolfi. E dunque ecco le carte miracolose che dall’America riapriranno il caso Mediaset, e poi la scissione amichevole con Alfano, la doppia identità del Cavaliere di lotta e di governo, capace di modulare nei confronti della grande coalizione tutto l’arcobaleno degli accenti, dal nero “la Legge di stabilità è orrenda”, al bianco “siamo al governo per responsabilità”. E in definitiva Berlusconi pasticcia e costringe la politica, la maggioranza e l’opposizione, i pretoriani di Forza Italia e i ministeriali di Alfano, dentro le sue inafferrabili fantasmagorie. E ciò appare straziante, o consolante, a seconda dei punti di vista, perché la fede in quest’uomo impossibile, mago e circense, è infinita e miracolistica sia negli amici sia negli avversari.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.