Renzizzarsi un po'

Salvatore Merlo

A sconvolgerli è il dubbio dell’insensatezza, l’idea d’essere tante macchinette umane che stanno al mondo senza una ragione d’esserci, supremamente facoltative. Silvio Berlusconi sta imponendo alla sua galassia politica una renzizzazione a tappe forzate, volti nuovi e un tempo afoni come Annagrazia Calabria e Alessandro Cattaneo, la deputata e il sindaco trentenni, spuntano come gramigna a ogni angolo del Castello Grazioli, i club Forza Silvio, affidati a Marcello Fiori, si gonfiano di ragazzini, giovani professionisti, facce imberbi, anche l’Esercito di Silvio, con il suo arruffato e simpatico comandante Simone Furlan, conquista la prima fila e persino il sacro diritto d’accesso allo studio privato del Presidente.

    A sconvolgerli è il dubbio dell’insensatezza, l’idea d’essere tante macchinette umane che stanno al mondo senza una ragione d’esserci, supremamente facoltative. Silvio Berlusconi sta imponendo alla sua galassia politica una renzizzazione a tappe forzate, volti nuovi e un tempo afoni come Annagrazia Calabria e Alessandro Cattaneo, la deputata e il sindaco trentenni, spuntano come gramigna a ogni angolo del Castello Grazioli, i club Forza Silvio, affidati a Marcello Fiori, si gonfiano di ragazzini, giovani professionisti, facce imberbi, anche l’Esercito di Silvio, con il suo arruffato e simpatico comandante Simone Furlan, conquista la prima fila e persino il sacro diritto d’accesso allo studio privato del Presidente. E così la vecchia guardia, la corte del Cavaliere sadico, è raggiunta, come di contrabbando, dalla contundente parola “rinnovamento”, anticamera della pensione, segno d’un distacco estetico e anagrafico per gli uomini che pure il Cavaliere, gran presenza oscura e vivace che guida il suo partito con una mano sola, lo hanno seguito e senza obiezioni in ognuna delle sue temerarie curve politiche, dalla baruffa con Gianfranco Fini allo strano divorzio con Angelino Alfano. “La verità è che Berlusconi ci odia”, sussurra al Foglio uno dei suoi più antichi cortigiani, amico di Fedele Confalonieri, gran gerarca parlamentare. Rassegnato a non essere amato, ma rabbioso che il Cavaliere ami qualcun altro.

    Berlusconi è tornato a Roma lunedì sera, e ieri, tra i salottini e le anticamere del Castello sempre affollato di svolazzanti individui, questuanti, collaboratori e segretarie, si è immerso in quello strano rituale che sono le riunioni di partito alla sua gommosa presenza. Gli si chiede di decidere sugli incarichi nella nuova Forza Italia, che non ha coordinatori né segretari politici, ma lui nicchia, sguscia, e siccome ha il capriccio di rovesciare i valori, trattando leggermente le cose gravi e seriamente quelle frivole, ieri ha cominciato dalla provincia dell’impero, tralasciando con meticolosa impazienza le questioni del potere vero e romano, per dedicarsi alla remota Sicilia. E il suo è un gioco elusivo che dissimula la crudeltà d’una decisione che in molti sospettano abbia già preso: il gruppo dirigente sarà radicalmente rinnovato. Berlusconi non cela sino in fondo la desolazione che scaturisce dall’osservare Renzi, implume sterminatore di D’Alema e Bersani, Bindi e Veltroni, gli avversari della sua vita. E così in televisione – lo ha stabilito lui – adesso vanno soprattutto le ragazze giovani di Forza Italia, Lara Comi, Annagrazia Calabria, e poi la bella e brava Annamaria Bernini, mentre anche Giovanni Toti, direttore unico di Studio Aperto e Tg4, scatena oscure vibrazioni nella vecchia corte. Il Cavaliere è arrivato all’inverosimile perfidia di chiedere a cena, presente Marina, ad Arcore, “che ne pensate di Toti? Potrebbe essere candidato premier”, fino al sublime “altrimenti potremmo recuperare Alfano”. Ovvi gli svenimenti, collettivi e abbondanti nella vecchia guardia. E questa renzizzazione, questa compulsiva ricerca del rinnovamento, è per Berlusconi come una discesa lungo la vertiginosa parete del tempo fino a un passato senza memoria, sino alla felicità e all’innocenza, che per lui ovviamente corrispondono alla vittoria elettorale e al consenso. Ma è inutile anticipare decisioni, almeno finché le elezioni appaiono un orizzonte nebbioso. Nel frattempo ascolta tutti: le sofferenze del fedele e forte Verdini, l’impazienza di Santanchè, le rimostranze trattenute di Fitto, le fisime e le fantasime di Brunetta, le caute gelosie di Gelmini; ma loro gli parlano, quando gli parlano, come uno parla alla luna, sentendola assente. E in loro c’è il dramma non del dolore, ma dell’indifferenza. Alcuni si lamentano, certo, “con l’ideologia giovanilistica alla Renzi mai avremmo avuto Benedetto Croce nella costituente”, mormora Gianfranco Rotondi. Ma i più accolgono con affranta rassegnazione le ubriacanti fantasmagorie della Suprema Volontà (“com’è caldo e buono questo minuto di gioventù”), con lo stesso fatalismo che si deve ai fenomeni atmosferici. Maurizio Gasparri, che ne ha viste tante, è difeso da un’ironica armatura, “vuol dire che lo chiameremo Mao Tze Cav.”, ed è come un distacco relativista che lo ripari dai tormenti del sospetto. Forse soltanto Sandro Bondi accetta il martirio e il castigo con la gioia inebriante della fede, con la gratitudine per gli anni belli e ormai sfumati, una condiscendenza che deriva “dal fiuto esatto del Dottore per i misteri del marketing politico”, ma forse anche da un cupo senso di rovina provocato dal “tradimento di Alfano” e dalle dissipazioni pettegole della corte di Palazzo Grazioli. “Bisogna cambiare tutto”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.