Così, tra Renzi e Letta, il triumviro Franceschini vive di vecchia rendita

Salvatore Merlo

L'uno vorrebbe andare avanti a cannonate, l'altro a rimbalzi d'inerzia, l'uno è avido di futuro e non coltiva diplomazie, l'altro è tutto una diplomazia e vive al condizionale. In mezzo, tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, segretario del Pd e presidente del Consiglio, fraterni duellanti, c'è lui, Dario Franceschini detto Tarzan, ministro dei Rapporti col Parlamento, sovrano dei gruppi parlamentari del Pd, agilissimo nel saltare da una liana all'altra nell'intricato sistema di correnti che compone la misteriosa foresta del Partito democratico.

    L’uno vorrebbe andare avanti a cannonate, l’altro a rimbalzi d’inerzia, l’uno è avido di futuro e non coltiva diplomazie, l’altro è tutto una diplomazia e vive al condizionale. In mezzo, tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, segretario del Pd e presidente del Consiglio, fraterni duellanti, c’è lui, Dario Franceschini detto Tarzan, ministro dei Rapporti col Parlamento, sovrano dei gruppi parlamentari del Pd, agilissimo nel saltare da una liana all’altra nell’intricato sistema di correnti che compone la misteriosa foresta del Partito democratico. “Deve ancora capire chi è più forte tra i due, per adesso sta al centro”, mormorano maligni nei corridoi di Montecitorio, laddove Franceschini, Richelieu in sedicesimo, allievo doroteo di Franco Marini, con il suo fisico donchisciottesco, la barba da attore belloccio e gli abiti comprati a peso all’Oviesse, sta con Renzi, ha piazzato cinque dei suoi uomini nella nuova segreteria del partito, ma sta pure con Letta, e dicono che “non voterà mai contro il governo”. E ovviamente né Renzi né Letta si fidano di questo spento giocoliere della trama di Palazzo che assieme a Pier Ferdinando Casini ha imparato l’arte estenuante della trattativa nelle giovanili della Dc (“la sua vera qualità”), ma neppure possono farne a meno.

    Franceschini, rabdomante del piccolo potere, dissipatamente geniale nell’abbandonare sempre la casa un minuto prima che prenda fuoco, ha compilato con Pier Luigi Bersani le liste elettorali di febbraio 2013, e dunque, noto vicedisastro, è a lui che risponde la stragrande maggioranza dei deputati e senatori nominati col sistema delle liste bloccate. E insomma questo emiliano dall’apparenza dolente e dal moralismo consueto per Renzi e Letta è l’infido necessario, senza di lui non si può fare nulla: non si governa e non si riforma, non si va alle elezioni e non si approvano le leggi, figurarsi quella elettorale.

    A maggio, Franceschini, nell’ombra, aveva chiuso un accordo con Gaetano Quagliariello, contegnoso portavoce d’ogni potere purché sia parruccone e clericale, per tornare alla nera pozza del proporzionale, stessa legge, stesso acquitrino, prodotta qualche settimana fa dalla nota sentenza della Consulta. Potenza strisciante, monocorde, dunque, ma dotato di magica permanenza nell’Italia politica, vecchia storia democristiana. E basterebbe chiedere al generoso Roberto Giachetti, il deputato amico di Pannella e Renzi che in quei giorni di maggio, mentre Franceschini tramava e tesseva per il proporzionale, già tentava l’implausibile ritorno alla semplicità democratica del maggioritario. E insomma altro che Alfano, è Franceschini il terzo opportunista elemento del triumvirato di governo, l’oscuro padrone d’un potere che incide di preoccupazione la fronte del compassato e avvolgente presidente del Consiglio Letta. E’ lui il padroncino rispettato persino da quella birba irrispettosa che risponde al nome di Renzi, il sindaco segretario che lo teme, e dunque sempre lo tratta con aggressivo buonumore. Renzi è un rodomonte, ma di fronte a lui, dicono, diventa Leporello.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.