(Diciamo)

L'arte di Renzi nel riciclare i cari nemici dopo averli rottamati

Salvatore Merlo

A volte la vita nella politica italiana somiglia a un film di Sergio Leone: sono tranquillo perché il mio peggior nemico sta vegliando su di me. E dunque Matteo Renzi presenterà l’ultimo libro di Massimo D’Alema, la settimana prossima, a Roma. E già da un po’ è tornato a stringergli la mano e a scambiarsi sorrisi con questa vecchia volpe un po’ tarlata. E molto presto – “è cosa fatta”, dicono – lo manderà persino in Europa, laddove il carissimo nemico D’Alema vuole andare, e non da oggi.

    A volte la vita nella politica italiana somiglia a un film di Sergio Leone: sono tranquillo perché il mio peggior nemico sta vegliando su di me. E dunque Matteo Renzi presenterà l’ultimo libro di Massimo D’Alema, la settimana prossima, a Roma. E già da un po’ è tornato a stringergli la mano e a scambiarsi sorrisi con questa vecchia volpe un po’ tarlata. E molto presto – “è cosa fatta”, dicono – lo manderà persino in Europa, laddove il carissimo nemico D’Alema vuole andare, e non da oggi. E per Renzi tutto ciò è forse la misura dei suoi primi pantaloni lunghi, da uomo adulto: prima rottamava e smaltiva in discarica, adesso rottama e ricicla. Ma non tutti. Avido di presente, Renzi si adegua alle spire contraddittorie della politica con un soffio di giocosa crudeltà, tende a un’ambiguità suggestiva, a un gioco cinico e paradossale di amori oscuri. E dunque usa e protegge i suoi nemici quando possono tornargli utili, li abbatte e li recupera, li abbandona e li blandisce con una monotona, indifferente pendolarità. D’Alema gli serve per sopire i mugugni dei Fassina e dei Cuperlo, così come Maurizio Landini, il capo della Fiom ed ex compare di Michele Santoro, adesso gli è utile per indebolire la Cgil e sopire gli ardori di Susanna Camusso. Persino Silvio Berlusconi è uno dei suoi carissimi nemici, cioè l’alterna sponda che gli consente la libertà fin troppo spavalda di farsi le maggioranze che vuole a seconda di come sorge il sole.

    Dunque Renzi rottama D’Alema, gli sfila dalle mani il partito, lo tritura, lo impacchetta e lo accantona tra le ragnatele, nel sottoscala del Pd, tra i libri vecchi e i busti di Lenin, lì dove l’ex presidente del Consiglio è rimasto fino a ieri sognando paziente – almeno così dicono – di poter un giorno far vendetta degli sgarbi subiti: “Ci mettessi vent’anni, io quello lo batto”, gli è stato sentito dire. Ma poi, con gran fiuto da rigattiere, il premier ragazzino ridiscende nelle cantine, intuisce le possibilità del riuso e del riciclo. Abituato a considerare D’Alema un nemico, Renzi ne ha recentemente scoperto la resa ma anche l’immortale pericolo – “è pur sempre un uomo di straordinaria intelligenza”, gli ha ricordato spesso Walter Veltroni. “Intelligenza distruttiva, sì, ma pur sempre intelligenza” – e questa doppia scoperta è stata per Renzi una constatazione tra lo spaventevole e l’inebriante. Pur impacchettato come le famose eco-balle di Napoli, come uno scarto industriale, un rifiuto solido urbano, D’Alema rimane temibile. “Occhio a D’Alema”, “guardati da D’Alema”, “sta’ attento a D’Alema”. Così il ragazzino di Firenze ne ha ricomposto alla meglio le fattezze baffute, lo ha incontrato, festeggerà con lui l’uscita di questo suo ultimo saggio europeista e infine lo invierà verso nord. E non lo spedirà da semplice europarlamentare, ma lo invierà con gli onori e i pennacchi, con le mostrine e i gradi di commissario, a sedere fierissimo sul piccolo trono che è (o che ormai fu) di Antonio Tajani.

    E dunque D’Alema, Landini e Berlusconi. La mano di Renzi, ribalda, li designa, sottraendoli allo stato di oggetti posati, al caos di un’attesa indistinta. La loro condizione, per questo bullesco presidente del Consiglio, è di strumenti, strumenti musicali in un’ orchestra o strumenti meccanici in un’officina. Il sindacalista con la felpa, Landini, è per Renzi poco più di una spadina con la quale minacciare lo stato laicale della Cgil, il partito-sindacato che borbotta malmostoso di scioperi e sfraceli. Oggi lo abbraccia, domani lo molla, dopodomani chissà. E non è diverso il destino del Cavaliere, che Renzi tiene teneramente al laccio, manifestandogli una deferenza epidermica e disinvolta. Sono tutti come dei ponti, sui quali si passa e si va oltre. E quella di Renzi è forse la famosa doppiezza italiana, che tante fortune ha vendemmiato in politica. Con i due forni, per esempio, Andreotti usava due opportunità che teoricamente si escludevano, traeva vantaggi sia dalla destra sia dalla sinistra. Il comunista repubblicano Togliatti sconfiggeva il fascismo con i partigiani della monarchia, e poi, con tutti i partigiani, sconfiggeva la monarchia. Cavour, che è l’esempio sovrano di doppiezza, usava sia Garibaldi e sia l’esercito regio. Insomma usando gli avversari e raddoppiando i vantaggi, Togliatti, Andreotti e Cavour ottenevano meglio e più rapidamente quello che volevano. Proprio come Renzi. Anche lui, come in un film di Sergio Leone, ora veglia sui suoi carissimi nemici.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.