Perché il caso Rixi (ieri si è dimesso) trascina M5s e Lega nella fase del cerino
Di Maio vince su Rousseau
Roma. Il canovaccio della giornata era talmente scontato che già a ora di pranzo i deputati grillini lo sintetizzavano così: “La testa di Rixi sui binari della Tav”. D'altronde, che l'esito dell'udienza del tribunale di Genova fosse attesa, lo dimostrava anche il tono disilluso con cui il viceministro leghista ai Trasporti rispondeva a chi in mattinata, una mattinata resa ancora più tribolata da un lutto famigliare, gli faceva l'in bocca al lupo per la giornata: “Grazie, ma i lupi li vedo affamati”. La sorpresa sta semmai nella durezza – quella sì, inattesa – della condanna: tre anni e cinque mesi, un mese in più rispetto alla richiesta dell'accusa. E a quel punto c'è tempo appena per una telefonata col “capo e fratello” di partito per fare una mossa concordata in precedenza: “Le mie dimissioni sono già nelle mani di Matteo Salvini”. Claudio Durigon non ha neppure bisogno di leggerla, la nota: “Mi dispiace per Edoardo”, dice il sottosegretario al Lavoro, che sorride al rivedere una foto che lo ritrae col compagno leghista sotto uno stand della Sampdoria, a Genova, nel corso della campagna elettorale. “Un sacrificio necessario – dice Durigon – anche per sottrarlo al tritacarne mediatico: sarebbe stato meschino, umanamente, aprire una contrattazione sulla sua pelle. Così Salvini lo tutela, e in più toglie un'arma negoziale ai grillini”. Che sembrano recepire il messaggio, almeno stando alle dichiarazioni dei lombardi Giovanni Currò e Riccardo Olgiati: “Certo che sulla Tav arriverà il nostro sì. Del resto, dovremmo impiccarci noi sull'alta velocità, quando non ci sono neppure più gli elettori No Tav. Li hai visti i risultati, in Valsusa?”. Li ha visti Alberto Cirio, neo presidente del Piemonte che arriva alla Camera per celebrare il suo trionfo: “Sommando i miei voti con quelli di Chiamparino, il Sì alla tav è stato un plebiscito, quasi l'80 per cento”.
E insomma, seppure non esplicitati, i termini del compromesso appaiono chiari. Sennonché, mentre Luigi Di Maio è ancora a pranzo con Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, succede l'impensabile. Succede che Manlio Di Stefano se ne esce con un post tagliente su Facebook, dicendo che “il tempo di Rixi nel governo è scaduto”, e non contendo tagga pure Salvini, gli intima di “risparmiare agli italiani un nuovo caso Siri”. Ed è un attimo, e il malumore sopito deflagra: “Toglietegli Facebbok”, sbotta in Transatlantico Davide Tripiedi. Emanuela Corda, la deputata sarda che ha per assistente la fidanzata di Di Maio, sbuffa ancora più dura: “Non è una gaffe, se fai così è perché sei proprio str….”. “C'era un accordo”, sbraita Andrea Crippa. Sì, perché in effetti lo stato maggiore del M5s aveva garantito al carroccio che dalle truppe grilline non sarebbero arrivati attacchi a Rixi. “Nessun commento”, era stato l'ordine fatto arrivare a tutti i parlamentari via chat, poco dopo le 13. E invece, di lì a pochi minuti, quando Rixi ha già comunicato via WhatsApp le sue dimissioni a Giuseppe Conte, e si appresta a formalizzarle anche via mail alla segreteria del premier, arriva il post di Di Stefano. “Tutte scuse”, si difende il sottosegretario agli Esteri. “Quel post non può certo essere motivo di tensioni”. E forse avrà ragione, ma sta di fatto che proprio in quel momento scatta il blitz leghista al Senato. In conferenza di capigruppo Stefano Patuanelli, del M5s, si vede consegnare dal collega del Carroccio Massimiliano Romeo la riformulazione di un emendamento allo “sblocca-cantieri” fatto firmare in tutta fretta, qualche decina di minuti prima, alla relatrice Simona Pergreffi. Ed è una bordata. Perché, oltre a prevedere lo sblocco dei termovalorizzatori, si sospende di fatto per due anni il codice degli appalti: e dunque ecco il ritorno all'appalto integrato, alla possibilità di subappaltare fino al 100 per cento dei lavori in accordo con la normativa europea, alle commissioni di gara scelte direttamente dalle amministrazioni locali. Il tutto con tempi strettissimi: martedì si vota in Aula. “Sei qui in spirito”, scrivono i leghisti a Rixi. E lui se la ride: perché, voluta o meno che sia, la regia dell'imboscata è perfetta, quelli sono gli emendamenti per i quali il viceministro si era speso. Toninelli si riunisce nel conclave del Mit: “Nessuna dichiarazione, stiamo studiando il testo”. Agguato? “Macché”, dice Durigon. “Salvini sta dando a Di Maio un'occasione unica per rilanciarsi”. “Basta che ci dica che vuole governare davvero”, insiste Crippa. E alla fine Di Maio lo fa: la consultazione su Rousseau si è risolta nel plebiscito atteso, l'80 per cento degli scritti è con lui. E lui ingoia tutto e conferma: “Ripartiremo più forti di prima. Per il M5s e per il governo italiano che sosteniamo”.
Valerio Valentini
Il Foglio sportivo - in corpore sano