“I nostri dieci punti sono per un'alleanza col Pd”. Parla Michele Dell'Orco
Roma. “Diciamo che la via più agevole è quella che porta al Pd”. Luigi Di Maio ha terminato da appena pochi minuti di elencare i suoi “dieci punti”, dal Quirinale, e Michele Dell'Orco, sottosegretario grillino ai Trasporti, li analizza con cognizione di causa. “In quel decalogo individuo almeno due temi, per noi prioritari, che vanno in direzione di un accordo col Pd. Mi riferisco al ‘green new deal', al salario minimo, su cui con la Lega non siamo riusciti a trovare un'intesa”.
Col Carroccio avete chiuso? “Una riedizione del governo gialloverde mi sembra molto, molto più in salita”.
Matteo Salvini però ha rilanciato su un possibile nuovo accordo. “E' la sua ennesima giravolta. La retromarcia di chi uno che si è accorto di avere fatto un errore strategico”.
E però al primo punto, tra quelli indicati da Di Maio, c'è il taglio dei parlamentari su cui il Pd è contrario. “Per noi è fondamentale farlo entro questa legislatura”.
Ma come può, il Pd, votare in quarta lettura una riforma su cui si è opposto nelle tre letture precedenti? “Col Pd si può trovare una formula giusta, inserendo anche una revisione proporzionale del sistema di voto”.
Ma passare dalla Lega al Pd non è un po' un'abiura di quanto avete fatto nell'ultimo anno e mezzo? “No, direi che un eventuale accordo col Pd ci permetterebbe di fare un piano di riforme complementari a quelle già realizzate. Potremmo redigere un nuovo contratto per quelle cose su cui con la Lega non è stato possibile trovare un accordo”.
Serva dunque un contratto? “Non vedo altre soluzioni. Si è detto che quel contratto ci ha portato a litigare spesso con la Lega. Ma senza saremmo durati assai meno”.
E il premier del nuovo governo giallorosso? “Qualora si trovasse un accordo col Pd, il candidato naturale dovrebbe essere Giuseppe Conte. Non solo perché è il leader più apprezzato di tutti, nei sondaggi, ma anche perché ormai, dopo il discorso dell'altro giorno in Senato, si è dimostrato l'antagonista migliore di Salvini”.
Un antisalvinismo tardivo, diciamo. “Per oltre un anno è stato il premier del governo gialloverde, e se fosse intervenuto con più durezza contro Salvini sarebbe venuto meno alla sua terzietà di garante del contratto”.
Il Pd chiede discontinuità, non solo nei programmi ma anche nei ministri. “Non cominciamo col valzer delle poltrone, ora. Anzi, si deve cercare prima un accordo sui temi, il che ci permetterebbe anche di spiegare ai nostri elettori il motivo di un eventuale cambio di maggioranza”.
Il “suo” ministro, Danilo Toninelli, è di nuovo uno dei più bersagliati. Dovrà lasciare? “Deciderà il capo politico, come su tutti noi che rivestiamo incarichi di governo. Ma non è ancora all'ordine del giorno”.
Il Pd parla già con più voci, come al solito. La preoccupa questo, in prospettiva? “Mi spaventa moltissimo. Se il verticismo della Lega ci costringeva a continue attese per il via libera del capo, l'eccessivo frazionamento del Pd potrebbe portare incertezza. Ma il nostro interlocutore deve essere solo e soltanto uno: il segretario Nicola Zingaretti”.
Che però sembra essere il meno convinto su questa nuova avventura. “Ah be', se Zingaretti non è convinto, lo dica subito così si andrà al voto. Noi non abbiamo paura. Il balletto delle correnti del Pd non può durare in eterno”.
E Renzi? La sua figura la inquieta? “Degli equilibri interni al Pd lascio che si occupi il Pd. Per noi, l'unica pregiudiziale riguarda gli esponenti del futuro governo: non ci potranno essere né i Renzi né le Boschi, per capirci”.
Valerio Valentini
Il Foglio sportivo - in corpore sano