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Fare la guerra ispirati dalla pace: la dottrina di Agostino che resiste

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Whatever it pandors.
Giuseppe De Filippi


Al direttore - Dall’inizio del suo pontificato non si contano gli appelli di Papa Francesco perché la pace, cioè per lui il “bene assoluto”, prevalga sulla guerra, cioè sempre per lui il “male assoluto”. Nonostante il suo alto e nobile magistero, questo male assoluto non sembra però sradicabile dalla storia umana. Ciò ripropone anche a un non credente come chi scrive, ma che si considera crocianamente cristiano, una questione che fu avanzata per primo, nella sua formulazione più radicale, da Epicuro (341-270 a. C.) con la sua famosa “equazione”: “La divinità o vuole abolire il male e non può; o può e non vuole; o non vuole né può; o vuole e può. Se vuole e non può, dobbiamo ammettere che sia impotente, il che è in contrasto con la nozione di divinità; se può e non vuole, che sia invidiosa, il che è ugualmente estraneo all’essenza divina; se non vuole e non può, che sia insieme impotente e invidiosa; se poi vuole e può, la sola che conviene alla sua essenza, da dove dunque provengono i mali e perché non li abolisce?”. È nota la risposta a queste obiezioni che ha finito col prevalere nella teologia cristiana, nella versione di Origene come in quella di Agostino: il male non è altro che assenza di bene (“privatio boni”). Ma è stato soprattutto Agostino a insistere sulla corruzione congenita che deriva, per trasmissione, dal peccato originale dei “protoplasti” (ossia dei “progenitori”, Adamo ed Eva). Corruzione congenita che è madre di un male morale da cui soltanto la grazia insondabile del Signore libera i predestinati. L’età moderna conosce tre grandi teodicee: quella di Leibniz, di Spinoza e di Malebranche. Pur partendo da presupposti diversi, giungono a un identico risultato: Dio non avrebbe potuto creare un mondo diverso da quello attuale. Le teodicee moderne pretendevano, dunque, di rendere il male pienamente intellegibile e giustificabile. In un breve scritto pubblicato nel 1791, “Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in teodicea”, Kant considera esecrabile che Dio giudichi con regole diverse da quelle degli uomini, e che quel che appare male a noi sia per lui legittimo. Secondo l’autore delle tre “Critiche”, sono la sofferenza e l’indignazione di Giobbe che emozionano; le “parole in difesa di Dio”, invece, irritano e non consolano. La demolizione kantiana della teodicea e gli orrori del “Secolo breve” hanno contribuito alla crisi della dottrina agostiniana che nega la realtà del male.
Michele Magno


“La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace. Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi” (sant’Agostino nella sua lettera numero 189).

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