FRANTZ

Mariarosa Mancuso

C’era una volta – nel 1932 per essere precisi – un film di Ernst Lubitsch intitolato “Broken Lullaby”: uscito in Italia con il titolo “L’uomo che ho ucciso”, ricupera il titolo originale nei DVD per collezionisti. La storia di un soldato francese che aveva ucciso nella Grande guerra un soldato tedesco e non riusciva a darsi pace. Andava in Germania per chiedere scusa ai genitori del defunto – un giovanotto che come lui amava la commedia musicale – e veniva cacciato in malo modo. Non il Lubitsch più smagliante (il copione veniva da una pièce di Maurice Rostand). Ma in 76 minuti il regista scappato da Berlino verso Hollywood  sapeva far dichiarazione di pacifismo – che allora non aveva le bandiere arcobaleno come oggi, da far scolorire ai balconi – senza scriverlo a lettere maiuscole su ogni scena. E la storia d’amore tra due che non si sarebbero mai dovuti incontrare era raccontata con tocco leggero. François Ozon espande il minutaggio a due ore piene. Siccome le dimensioni contano, la prima cosa da controllare è come li abbia occupati, visto che nell’originale c’era già tutto il necessario. Li ha occupati mostrando allo spettatore i mezzi di trasporto dell’epoca – sempre dopo la Prima guerra mondiale siamo – e il loro utilizzo da parte di una fanciulla che da un paesello della Germania va a Parigi. Con la fanciullesca meraviglia di chi non ha mai visto un treno, il regista inquadra la locomotiva, i binari, la biglietteria, il controllore, i passeggeri, l’arrivo in stazione. Somiglia a certi romanzieri convinti che il mestiere consista nel descrivere l’ovvio per filo e per segno (“versò la bustina di zucchero nel caffè, girò il cucchiaino, lo sorseggiò lentamente e disse…”). Sbagliato, il mestiere consiste nel descrivere – possibilmente in maniera originale – il non ovvio: se uno nel caffè ci mette il sale, già fa un passetto nella giusta direzione. Va in Francia la tedeschina che era fidanzata con Frantz, e aveva visto il soldato chino sulla di lui tomba (è lì che tutti, conoscendo Ozon e i suoi film precedenti, abbiamo pensato alla pista gay, sbagliando di grosso). L’attrice è Paula Beer, coppa Volpi alla Mostra di Venezia come migliore attrice. Resta il mistero delle sequenze a colori, mentre il resto è “in rigoroso bianco e nero”. Mai che sia allegro, o sbracato: sempre “rigoroso”.

 

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