Il pm Spataro si fa intellettuale e politico, e distribuisce ordini agli stati
Quel che ho scritto lunedì scorso, prendendomi una gentile rampogna nel Foglio di giovedì dal magistrato oggi più influente e combattivo di Milano, Armando Spataro, era discutibile ma chiaro: il trattamento riservato da Cia e alleati all’imam di Milano Abu Omar nel 2003 andava molto oltre le consuete regole dello stato di diritto per tempi ordinari, era diritto d’eccezione, comunque la si pensi di questa eternamente reincarnata Ragion di stato.
Quel che ho scritto lunedì scorso, prendendomi una gentile rampogna nel Foglio di giovedì dal magistrato oggi più influente e combattivo di Milano, Armando Spataro, era discutibile ma chiaro: il trattamento riservato da Cia e alleati all’imam di Milano Abu Omar nel 2003 andava molto oltre le consuete regole dello stato di diritto per tempi ordinari, era diritto d’eccezione, comunque la si pensi di questa eternamente reincarnata Ragion di stato; tanto è vero che le renditions ovvero rapimenti e deportazioni a fini di indagine speciale, i droni che uccidono anonimamente, Guantanamo dove si risiede in quanto combattenti illegali, interrogatori violenti, robusti, ai limiti della tortura, e molto altro, erano e restano tragico patrimonio politico, giuridico e militare dell’amministrazione americana, con Bush e con Obama, con Clinton, Kennedy, Johnson, Nixon e con chiunque altro (e in quasi tutti gli stati, forse escluso il Costarica). Siamo alleati degli Stati Uniti, e la nostra stessa sicurezza dipende dalla “iniziativa” (la parola “guerra” dispiace, comprensibilmente) contro il terrorismo internazionale, divenuta seria e responsabile dopo l’11 settembre del 2001. A me sembrava e sembra, anche dopo la replica del magistrato, che l’accanimento particolare nel distruggere, o tentare di distruggere, il segreto di stato opposto da ogni governo italiano; e di liquidare le persone e le carriere di spie professionali italiane, alle quali si rimproverava di aver collaborato con Bob Seldon Lady e altri professionisti della nostra libertà, sia indizio censurabile di follia, e anche indizio grottesco quando le condanne contro i generali del Sismi poi arrivano a dieci anni di galera e i mandati di cattura internazionali raggiungono interi plotoni operativi della Cia. Dieci anni di carcere per aver rispettato le alleanze del Paese e aver cercato di eliminare il terrorismo: indagini estreme di Spataro, sentenza monstre del Tribunale di Milano contro Niccolò Pollari e i suoi collaboratori, nonostante e contro il segreto di stato. Non è un violento paradosso?
Il dottor Spataro non mi risponde nell’unico modo possibile, a lume di naso, per un magistrato che ha vinto un concorso e per carriera deve applicare la legge. Non mi oppone, cioè, l’obbligatorietà dell’azione penale, principio cardine del nostro ordinamento giurisdizionale, in base al quale, se rapiscono un tizio nel centro di Milano e lo portano in Egitto, è un sequestro come un altro, anche se è la terza guerra mondiale in atto. Fiat iustitia, pereat mundus. Etica dell’intenzione: faccio quel che devo per legge, e al diavolo le conseguenze. No, Armando Spataro non si serve né dei brocardi latini né di Max Weber né dell’ordinamento penale di cui è guardiano, esclude esplicitamente che questo sia l’orizzonte specifico del suo mestiere o della sua vocazione, preferisce servirsi della sua libertà d’opinione e d’azione in quanto intellettuale, politico, legislatore, uomo di governo, leader degli apparati di sicurezza in Italia e nel mondo: altro che giudice, altro che vincitore di concorso.
Gentile dottor Spataro, le sue considerazioni molto critiche sulla guerra al terrorismo e i suoi metodi sono magari interessanti, non lo nego, e comunque libere espressioni della sua personale lettura della nostra storia recente. Va bene. Non è che lei mi abbia spiegato con sufficiente chiarezza come hanno fatto Bush e Obama e gli apparati di sicurezza occidentali a impiccare Saddam liquidando il suo regime assassino di 34 anni, a uccidere Osama protetto dai pakistani senza far deflagrare il Pakistan, a catturare gli assassini di Daniel Pearl, a proteggere la vita e gli interessi dei nostri compatrioti di varie lingue europee ed americane in giro per il mondo, a tutelare il diritto all’esistenza di Israele e a garantire la sopravvivenza degli islamici non votati al jihad, a umiliare il terrorismo sciita e sunnita, e per soprammercato a risvegliare la cosiddetta primavera araba, a mettere come doveroso a ferro e fuoco il campo del nemico, per poi cedere purtroppo alla finzione irenista della mano tesa, ma con Guantanamo in funzione.
Lei non ha dato conto della realtà di fatto, gentile dottore, ha dato conto dei suoi giudizi di valore (e dei suoi pregiudizi politici contro i governi occidentali e le loro strategie), che sono altra cosa. Lei però non è un esperto, un politico, un ambasciatore, un funzionario dei servizi d’intelligence, un leader popolare suffragato dalla sovranità; il suo ruolo non è affatto modesto, ma è circoscritto, sebbene creativo: lei deve applicare la legge, punto. E, come ha recentemente detto il capo della magistratura, cioè il presidente della Repubblica, lei è responsabile delle conseguenze delle sue azioni come chiunque eserciti un ruolo pubblico di rilievo. Potrebbe tenere conto di tutto ciò quando mette a ferro e fuoco giudiziario Milano in nome dei diritti civili dei sospetti di terrorismo e contro il dovere di tutela della sicurezza degli apparati dell’intelligence?
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