Come si sarebbe potuta evitare (forse) l'alluvione in Sardegna. Parla Prodi
Non vuole più sentir parlare di “bombe d'acqua” ed “eventi imprevedibili”, Franco Prodi. Sa che la storia del riscaldamento globale che aumenta la forza degli eventi estremi è “un discorso strumentalizzato per coprire inefficienze di fondo”. Conosce troppo bene le nuvole e l'atmosfera per credere a chi dice che tutto quello che si poteva fare per prevedere il ciclone di lunedì sulla Sardegna è stato fatto.
Non vuole più sentir parlare di “bombe d’acqua” ed “eventi imprevedibili”, Franco Prodi. Sa che la storia del riscaldamento globale che aumenta la forza degli eventi estremi è “un discorso strumentalizzato per coprire inefficienze di fondo”. Conosce troppo bene le nuvole e l’atmosfera per credere a chi dice che tutto quello che si poteva fare per prevedere il ciclone di lunedì sulla Sardegna è stato fatto. Fisico italiano esperto di climatologia tra i più apprezzati al mondo, tra le altre cose dal 2007 al 2010 Prodi è stato a capo di un progetto italiano di nowcasting, Prosa, che oggi giace abbandonato al quarto piano del Cnr, presso cui è ricercatore dal 1967. Dal suo studio al quinto piano prova a spiegare al Foglio di che cosa si tratta: “Le previsioni meteo si fanno solitamente con modelli numerici, utili a darci informazioni dalle 24 ore fino agli undici-dodici giorni. Quando però si deve prevedere con precisione un evento atmosferico entro le dodici-sei ore questi modelli non possono dire né la quantità precisa di precipitazioni né il luogo esatto in cui esse avverranno”. E’ qui che interviene, o almeno dovrebbe, il nowcasting (previsioni istantanee): ai modelli numerici si sommano i dati dei radar che guardano dentro le nubi, più quelli che arrivano dai satelliti. “Il radar ci dice le precipitazioni in atto – prosegue Prodi – il satellite quelle stimate. Sono previsioni di carattere osservativo, con una precisione a cui i modelli numerici non possono arrivare. Ogni venti minuti il sistema di nowcasting ‘aggiusta’ le altre previsioni, che vengono così inserite nei modelli idrologici, diversi da fiume a fiume, arrivando a dirci con precisione se, quando e quanto un corso d’acqua esonderà. L’allarme viene così inviato alle autorità le quali prendono decisioni e lanciano eventualmente l’allerta. Bene, tutto questo in Sardegna non è avvenuto”.
C’è chi accusa l’assenza di un centro funzionale, la struttura regionale della Protezione civile che dovrebbe occuparsi di raccogliere i dati meteo e allertare in caso di emergenza. Ma qui si apre un altro problema, secondo Prodi: “In Italia ci sono 12-13 centri funzionali veramente operativi – spiega – e quasi mai i radar vengono utilizzati. Per questo chiedo: in Sardegna ci sono i radar? Se sì, perché non erano attivi? L’allarme domenica è stato dato basandosi solo sui modelli numerici, grazie ai quali si arriva a dire che in una zona ci sarà, per esempio, bassa pressione e che quindi potranno esserci certi fenomeni atmosferici. Ma si capisce che un sindaco ribatta: ‘Ma come, me lo dite venti volte l’anno, come faccio a sapere che questa è la volta buona?’. E’ qui che dovrebbe scattare il nowcasting”.
Prodi sa bene di cosa parla, avendo coordinato dal 1996 al 1999 il progetto europeo di previsioni meteo per le alluvioni denominato Meffe. All’epoca lui propose l’istituzione di un centro rischio alluvioni europeo di nowcasting per concentrare in un unico punto il massimo dei dati in tempo reale: “Altro che centri regionali. Un temporale mica chiede il permesso quando passa da una regione all’altra”. Non se ne fece nulla, ma oggi esiste comunque un sistema di mosaicatura dei radar europei, prosegue il professore, “peccato che quando si arriva sull’Italia c’è il vuoto assoluto. Gli unici dati sul Tirreno arrivano dalla Corsica”. Ammesso che ce li abbia, “l’Italia non dà i dati raccolti dai suoi radar a questo progetto europeo” né li rende facilmente consultabili. Come in altri campi, anche in questo la politica negli anni ha moltiplicato gli enti, sovrapponendoli, senza semplificare mai: “Certe mancanze c’erano già quando la responsabilità di questi servizi era della sola Aeronautica militare”, spiega Prodi, ma nel tempo la creazione della Protezione civile e poi dei centri funzionali regionali ha complicato le cose senza risolvere le criticità. In molti casi, poi, questi centri duplicano quanto già a livello europeo viene raccolto dal dipartimento di meteorologia di Reading, nel Regno Unito. “Sono le previsioni avanzate che non vengono fatte dai centri funzionali”, denuncia Prodi. Che aggiunge, a mero titolo esemplificativo: “A Catania c’è un radar meteorologico da due anni. Ancora spento”.
E qui si torna al progetto da lui guidato fino al 2010, quel Prosa i cui computer restano inutilizzati al quarto piano dell’istituto Isac del Cnr a Bologna. “Perché la Protezione civile non se ne serve?”, si chiede amareggiato il professore. Qui si intuisce che anche dietro le previsioni del tempo in Italia ci siano guerre di potere. Per questo Prodi dice che “ci vorrebbe una politica che desse ascolto alla scienza titolata”. Su tv e giornali nel nostro paese spesso vengono spacciati per climatologi esperti dei semplici dilettanti, oppure agronomi che per Prodi “non passerebbero nemmeno la prima parte dell’esame di Fisica dell’atmosfera”. Eppure non sono gli scienziati ad avere più voce in capitolo in Italia, anzi. “Negli anni – sottolinea Prodi – gli ingegneri idraulici hanno fatto cordata e ‘scippato’, con la Protezione civile, ai fisici dell’atmosfera l’esclusività dei rapporti tra meteorologia e politica”. Il caso è squisitamente italiano, anche se “non è che in altri paesi non ci siano conflitti. Semplicemente a un certo punto prevale l’interesse nazionale. In Inghilterra il fisico John Mason è stato fatto baronetto dalla regina e direttore del prestigioso Met Office. E sa che cosa ha fatto Mason? Ha chiuso tutti i centri regionali. Mente noi li creavamo, loro li tagliavano”. Il Met Office è uno dei migliori istituti di previsioni meteo al mondo.
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