A Kiev, dentro la testa dei C14
Yevhen Karas è il leader dell’ala d’azione del partito ucraino di destra Svoboda che si chiama C14 e secondo il sito German Foreign Policy è fuorilegge. Attraverso un contatto dentro il partito Svoboda nella capitale Kiev è possibile ottenere un appuntamento con lui e un altro membro del gruppo: alle sei di sera in piazza Kontraktova, vicino a un camion con i fiori.
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Yevhen Karas è il leader dell’ala d’azione del partito ucraino di destra Svoboda che si chiama C14 e secondo il sito German Foreign Policy è fuorilegge. Attraverso un contatto dentro il partito Svoboda nella capitale Kiev è possibile ottenere un appuntamento con lui e un altro membro del gruppo: alle sei di sera in piazza Kontraktova, vicino a un camion con i fiori.
Il nome C14 potrebbe essere un flirt semantico con una sigla neonazista internazionale molto più grande, la C18, che sta per “Combat 18” (dove 1 è la A di Adolf e 8 è la H di Hitler), ed era attiva (ora lo è meno) in Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti e anche in Italia, ma non in Ucraina. Il numero 14 potrebbe essere un rimando alle 14 parole che esprimono in inglese il credo fondamentale dei suprematisti bianchi, "We must secure the existence of our people and a future for white children” – come fissato da David Lane, uno dei leader americani del movimento morto in prigione. Il 14 tra i suprematisti ora è usato come un’abbreviazione in codice ovvia per tanti, un po’ come è accaduto con il numero 88 che significa “Heil Hitler”. La questione non è per nulla chiara perché in realtà gli uomini del C14 come si vedrà più avanti danno una spiegazione totalmente differente del nome e c’è un problema di classificazione tra chi da fuori li definisce “neonazisti” e loro che parlano da ucraini nazionalisti di destra.
Nelle manifestazioni e poi negli scontri antigovernativi del Maidan c’erano anche volontarie anziane che servivano bevande calde, associazioni studentesche e sindacati. Ma la presenza dei circa 200 membri del C14 (questa cifra viene da un servizio della Bbc), assieme al Praviy Sektor, il Settore di Destra, ha scatenato l’allarme sulla natura della rivolta in Ucraina – che per i suoi oppositori è un golpe tinto di neonazsimo. Questo concetto, che si tratta di una sommossa di estrema destra, è molto ripetuto sui media russi ed è stato citato dal presidente Vladimir Putin. L’esperto di destre nei paesi dell’est Anton Shekhovtsov scrive che il partito Svoboda “e specialmente la sua ala paramilitare C14 sotto la leadership del noto neonazista Yevhen Karas si è fatto coinvolgere in una serie di azioni divisive. Appendere striscioni razzisti nel palazzo municipale di Kiev occupato, aggredire giornalisti e infermieri volontari, buttare giù la statua di Lenin – tutto questo ha danneggiato l’immagine della piazza”.
L’adorazione per i cosacchi - Yevhen Karas e l’altro del C14 arrivano con giacconi, anfibi e pantaloni militari (ma qui non è una cosa insolita, a Maidan i volontari indossano pure i giubbotti antiproiettile sopra la mimetica) e hanno i capelli corti ma senza i tagli efferati da naziskin. Timur ha vent’anni e sembra essere incaricato soltanto di osservare l’intervista e Karas ne ha 26 ed è quello che parla. Sarà il declino postadrenalinico perché ormai siamo lontani dal culmine degli scontri, oppure sarà il tepore di questa caffetteria così in contrasto con la pioggia fuori in piazza Kontraktova, fatto sta che dopo due ore passate ad ascoltare domande e risposte in inglese la testa silenziosa di Timur si appoggia al petto e lui s’addormenta.
Yevhen invece parla veloce, è agitato, come se ci fosse urgenza estrema di dire quello che sta dicendo. Spiega che il nome del gruppo viene dalla sua somiglianza con la scritta in cirillico “sich” (appare così: ), che era il centro fortificato e mobile deelle comunità di cosacchi, la stirpe militare slava. Quando i cosacchi decidevano di fermarsi, aprivano una radura nella selva e usavano il legno per costruire un comando centrale, che avrebbe fatto da centro di ogni attività, soprattutto quando era tempo di fare la guerra e gli uomini lasciavano i loro lavori e rispondevano alla necessità delle armi. Ricreare e rilanciare questo spirito cosacco, con il suo codice cavalleresco e il coraggio davanti ai nemici, è la priorità per i membri del C14. A giudicare dalle parole di Yevhen, che sull’argomento è incontenibile, lui e i compagni si ispirano genuinamente al Medioevo slavo, alle sue tradizioni militari ferree e all’onnipresente orgoglio nazionalista ucraino. Non sono i soli evidentemente, perché al Maidan i cosacchi vanno fortissimo: ci sono le magliette e gli adesivi dei cosacchi baffuti in posa da romanzo fantasy, con scimitarre e costumi antichi quando proprio non ci sono loro in carne e ossa, con i capelli rasati sui lati e i baffi, a bere zuppa da bicchieri di plastica.
Rapida digressione: dopo l’indipendenza dall’Unione sovietica nel 1991, il nazionalismo ucraino compresso per decenni si è sentito finalmente libero di dare sfogo alle proprie fissazioni. Sulle bancarelle al Maidan si trovano raccolte di poesie patriottiche e libri che spiegano come tutte le lingue derivino dall’ucraino. La rivista ufficiale del Parlamento, La voce dell’Ucraina, ha parlato della possibilità che Gesù Cristo e Buddha fossero di origine ucraine. Fine digressione.
Le virtù della classe militare cosacca esercitano un fascino che è come una possessione per i C14, e come i guerrieri della steppa sono organizzati anche loro in centurie, anche se prima degli scontri rivoluzionari del Maidan le loro battaglie erano assai più modeste. Si trattava perlopiù di proteste dure contro la speculazione edilizia – “in un caso ci siamo opposti a un progetto che avrebbe arricchito il figlio del presidente Yanukovich” – contro la cementificazione incontrollata intrapresa dai grandi costruttori vicini al potere, a protezione dei parchi cittadini (“Quindi anche voi come in Turchia, a Istanbul? – Non lo so ante– Gli scontri per Gezi Park dell’estate scorsa – ah, sì”), battaglie contro “la polizia mafiosa” accusata di essere brutale, disprezzo per la classe politica corrotta. Gli ultranazionalisti ucraini quando scendevano in strada assomigliavano più ai No Tav che agli skinhead.
Poi il C14 aggiunge: facciamo anche vigilanza contro la mafia dei migranti. Di cosa si tratta? “Della mafia caucasica, sono ceceni, sono molto violenti, da noi non si vedrebbero certe cose se non fosse per loro. A Odessa hanno fatto cinque morti tra di loro, in una sparatoria”. Karas non ne parla, ma tra le attività risultano anche aggressioni a militanti della sinistra.
L’eroe Bandera (e la guerra che verrà) - L’eroe di riferimento del gruppo e non solo del gruppo è più recente dei cosacchi: Stepan Bandera, leader dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, autore di massacri di polacchi e collaboratore della Wehrmacht nazista (da notare però che la Polonia non è preoccupata da questi emuli di Bandera ed è invece la più dura contro Putin nello schieramento europeo). La foto di Bandera, un volto normale in bianco e nero, è un po’ dappertutto. In piazza c’è un suo ritratto gigante con i colori – rossoblu – del Praviy Sektor. Anche l’uomo di Svoboda che ha procurato questo appuntamento con i C14 aveva la foto appesa alle sue spalle. “Bandera ha combattuto sia contro l’Asse tedesco sia contro i sovietici – dice il giovane – Si è alleato con i nazisti soltanto per garantire l’indipendenza ucraina. I russi ce lo rinfacciano, ma fino al 1941 anche Mosca è stata alleata con Hitler per spartirsi la Polonia. A Bandera è rimasta appiccicata l’etichetta di nazista per sempre però, perché la propaganda sovietica questo voleva e ha vinto”. La storia andò così: Bandera con il suo gruppo di irriducibili ucraini (Oun, Organizzazione degli ucraini nazionalisti) negli anni Trenta si era lanciato in una pulizia etnica dei gruppi rivali in Ucraina, e questo voleva dire soprattutto polacchi. Dopo un arresto e cinque anni in prigione, fu liberato nel 1939, anno dell’invasione sovietica nel paese. Lui e il suo gruppo videro gli ebrei festeggiare l’arrivo dei russi e ottenere posti nel nuovo governo filo russo e quindi decisero di farne bersagli. Quando il 30 giugno 1941 i nazisti invasero Leopoli, i nazionalisti dell’Oun di Bandera si unirono agli Einsatzgruppen tedeschi che eliminavano gli ebrei e gli oppositori politici con un colpo alla nuca davanti a fosse comuni. Bandera non era fisicamente lì, era a Cracovia. Quel giorno stesso dichiarò l’indipendenza dell’Ucraina, ma Hitler non accettò di riconoscere il nuovo stato, lui rifiutò di rimangiarsi la dichiarazione, fu imprigionato e passò il resto della guerra a Sachsenhausen. Migliaia di ucraini continuarono a combattere e a morire in nome suo e dell’indipendenza. Per questo, oggi, a seconda di chi sta parlando è un collaboratore della soluzione finale delle Waffen SS o un Garibaldi slavo in tempi di scelte obbligate.
Come in ogni discorso ideologicamente carico, anche nella lingua di questi C14 ci sono formule definitive per indicare il nemico di oggi: il governo russo è “la dittatura dell’Fsb” (l’Fsb sono i servizi di sicurezza eredi del Kgb), o “il Sistema della corruzione”, comandato dal “despota asiatico”, oppure “despota orientale”. “Siamo pronti a combattere – dice Yevhen – perdere la Crimea così, senza fare nulla, è un errore gravissimo, perché stiamo dimostrando di essere deboli e quindi che possono invaderci quando vogliono”. Bisogna resistere: “Giù a Sebastopoli il comandante di una nave accerchiata da unità russe ha risposto così alla richiesta di resa: ‘Io sono di etnia russa e i russi non si arrendono mai, quindi neanch’io mi arrenderò anche se combatto con la divisa ucraina’”. “Putin ha preso la Crimea perché vuole le sue risorse naturali. E poi vuole reclutare i giovani nel suo esercito per mandarli a combattere. Ma quella è una parte di Ucraina. Inoltre, Putin sa che se non fa la guerra allora a Mosca ci sarà una rivoluzione come da noi. Già alcuni russi vengono a chiederci come ci siamo organizzati, come abbiamo fatto, vengono al Maidan a imparare”.
Qui la conversazione rallenta nello scetticismo. La guerra non è una prospettiva intelligente: se scoppiasse ci sarebbero morti, distruzione. Giusto? “Al Maidan ci sono anche dei veterani della guerra in Afghanistan, facevano parte dell’Armata rossa negli anni Ottanta, ci hanno detto che in certi giorni lo scontro è stato proprio come quello che hanno vissuto in guerra”. Avete perso uomini? “La centuria a cui appartengo, la centuria del Cavaliere Sviatoslav, no. Soltanto feriti. Ma la centuria del Cavaliere Yar ha avuto due morti, uno per le ferite negli scontri e un altro ucciso dai cecchini”. Nota di costume a margine: a volte nel Maidan si vedono signori anziani in divisa con in testa il pakol, il copricapo tradizionale afghano. Sono i veterani afghani. Lo usano anche i jihadisti in Siria, per significare la stessa cosa, però sul versante opposto: veniamo da quell’esperienza, ci siamo passati e ci ha segnato per sempre. La guerra in Afghanistan è finita nel 1989.
Gli ebrei e le bombe nucleari - I due C14 ordinano: due caffellatte e una fetta di torta alle mele.
Cosa pensate degli ebrei in Ucraina? “In Ucraina ci sono gruppi sovrarappresentati rispetto agli ucraini. Per esempio, a ovest ci sono troppi ungheresi nei governi locali, hanno troppo potere nella Subcarpazia. Anche gli ebrei sono sovrarappresentati in certe parti del paese”. E cosa pensate dell’occidente? Avete combattuto anche perché volevate entrare in Europa? O forse perché vi sentite più vicini all’America che alla Russia? “Sentiamo quello che ci viene detto da chi va all’estero a lavorare. La diaspora ucraina è grande, c’è chi lavora negli stati dell’Unione europea e chi lavora in Russia. Quando tornano a casa ci raccontano e da quello che sentiamo scegliamo l’ovest, non l’est”. Cosa ne pensate del sostegno di Washington alla rivoluzione? “Che siamo stati traditi. Nel 1991 quando l’Unione sovietica è collassata noi ucraini eravamo la seconda potenza nucleare del mondo [in realtà la terza, con circa 1.800 bombe atomiche, inclusi alcuni ordigni tattici a corto raggio e missili balistici] e avremmo potuto restare così. Invece abbiamo accettato di consegnare le bombe nucleari in cambio della garanzia da parte di americani, inglesi e russi che nessuno avrebbe violato i nostri confini nazionali. Dov’è finito ora quell’impegno? C’è stato un tradimento”. La denuncia del nazionalista assomiglia molto a un editoriale pubblicato il giorno dopo sul Wall Street Journal, che mette in guardia: tra le conseguenze dell’annessione della Crimea ci sarà un’accelerazione della proliferazione atomica. Il governo di Kiev firmò i memorandum di Budapest nel 1994 e consegnò tutte le armi atomiche entro il 1996 perché si illuse che il paese sarebbe stato protetto nella sua integrità territoriale, come specificava l’accordo: la garanzia non è durata nemmeno vent’anni. Il giornale americano chiosa: capita la lezione che ne trarranno tutti quanti nel mondo? Se l’Ucraina avesse ancora avuto il suo arsenale, Putin ci avrebbe pensato più a lungo, chi cede le armi atomiche si mette alla mercé delle giravolte della Storia. Fra tre mesi c’è il negoziato per convincere l’Iran a rinunciare al programma atomico militare. Che sia già morto definitivamente in Crimea? Ora c’è anche chi dice che nel ’94 i negoziatori americani furono chiari e usarono la parola “assurances” e non “guarantees” proprio per evitare di essere costretti a far scattare una risposta militare automatica. Di questa distinzione lessicale non sembra il caso fare menzione qui e ora, in questa caffetteria di Kiev.
Svoboda, CasaPound e le Nazioni Unite - I C14 “sich” sono considerati l’ala paramilitare del partito Svoboda, o meglio: Svoboda è accusata di averli come ala militare. Yevhen tiene distinti i due gruppi, dicendo che non necessariamente chi appartiene all’uno appartiene anche all’altro, non c’è un legame operativo (quest’intervista però nasce grazie alla visita fatta a un membro del partito Svoboda, che ha dato il contatto necessario).
Sulla manica sinistra i due hanno il tridente – il Trazyb – simbolo dell’Ucraina e carico di significato per i nazionalisti. Dmitri Yarosh, l’attuale leader del Settore di Destra, ha militato in un gruppo ancora più duro che si chiamava “Tridente”. Il simbolo, spiega Karas, contiene stilizzate le lettere che formano la parola ucraina “libertà”. Sulla manica destra invece sfoggiano il simbolo azzurro e bianco delle Nazioni Unite. “E’ una specie di scherzo, perché ci chiamano le Nazioni Unite a causa dei volontari stranieri che arrivano da altri paesi. Molti canadesi, quando ci siamo trovati in difficoltà durante gli scontri alcuni di noi hanno trovato rifugio nell’ambasciata canadese, altri dai paesi baltici, dalla Norvegia. Uno veniva anche dall’Italia, da CasaPound. Si chiama Taras. Però era convinto che gli scontri ormai erano finiti ed è tornato in Italia prima della battaglia finale e della cacciata di Yanukovich”.
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