L'arte della provokatsiya

Redazione

Ieri il New York Times ha citato questo articolo del professor John R. Schindler, che spiega la guerra non convenzionale di Putin in Ucraina, già pubblicato e tradotto dal Foglio lo scorso primo aprile. Ve lo riproponiamo.

Uno degli strumenti più potenti nelle mani del Cremlino, nel suo arsenale segreto per la Guerra Speciale, è la provocazione, in russo provokatsiya. Mosca non può vantare di aver inventato questa tecnica, che esiste da quando esistono i servizi segreti, ma non c’è dubbio alcuno sul fatto che i russi abbiano perfezionato quest’arte, portandola a un livello del tutto nuovo di sofisticazione e complessità. A volte, può diventare una strategia a sé stante (non sempre, tenetelo a mente, con risultati edificanti).

di John R. Schindler

    Ieri il New York Times ha citato questo articolo del professor John R. Schindler, che spiega la guerra non convenzionale di Putin in Ucraina, già pubblicato e tradotto dal Foglio lo scorso primo aprile. Ve lo riproponiamo.

    Uno degli strumenti più potenti nelle mani del Cremlino, nel suo arsenale segreto per la Guerra Speciale, è la provocazione, in russo provokatsiya. Mosca non può vantare di aver inventato questa tecnica, che esiste da quando esistono i servizi segreti, ma non c’è dubbio alcuno sul fatto che i russi abbiano perfezionato quest’arte, portandola a un livello del tutto nuovo di sofisticazione e complessità. A volte, può diventare una strategia a sé stante (non sempre, tenetelo a mente, con risultati edificanti).
    Provokatsiya significa “semplicemente” prendere il controllo dei tuoi nemici in segreto, e incoraggiarli a compiere azioni che gettino discredito su di loro e aiutino invece te. Inserisci i tuoi agent provocateur e conquisti gli attivisti legittimi, facendoli venire dalla tua parte. Per iniziare, quando hai a che fare con gli estremisti, far fare loro cose pazze, che li portino a sconfiggere se stessi, non è poi così difficile. In alcuni casi, puoi sempre creare estremisti e terroristi dove prima non c’erano. Questo significa causare problemi per poi poterli risolvere, e dall’èra degli zar l’intelligence russa è nota per fare proprio questo.

    Non è una tecnica particolarmente carina, ma funziona sorprendentemente bene, particolarmente se non tieni in conto le sanguinose e tremende conseguenze che ne scaturiscono. Gli occidentali creduloni sono poi di grande aiuto. Forse il caso più notorio di provokatsiya russa è stata l’operazione “Trust” degli anni Venti. Nel terribile periodo successivo alla Guerra civile russa, il controllo da parte dei bolscevichi non era completo, e Mosca doveva affrontare il problema che un gran numero di Bianchi, i loro recenti nemici, avevano trovato rifugio in Europa, dalla quale complottavano per riconquistare la Santa Russia.

    Ben presto i circoli di emigrati Bianchi presso i caffè di Parigi e Berlino si sentirono rinvigoriti dalle dicerie allettanti sul fatto che esistesse un movimento sotterraneo antibolscevico in Urss, autoproclamatosi l’Unione monarchica della Russia centrale. Ben presto, Bianchi di primo piano dettero a tale gruppo indistinto il loro sostegno politico e finanziario, così come diversi servizi di intelligence occidentali, che desideravano la fine del bolscevismo – o quantomeno una seria minaccia contro di esso. Alcuni emigrati furono addirittura spinti a tornare clandestinamente in Russia, pur di aiutare la resistenza. Fra loro, il famoso rivoluzionario Boris Savinkov, che aveva rotto con i bolscevichi ed era uno dei principali nemici pubblici di Mosca.

    Ma da Savinkov non giunse più alcuna parola dal momento in cui raggiunse la Russia, e lo stesso valse per tutti gli emigrati e le spie che tentarono di entrare in Unione sovietica per cercare di stabilire un contatto con la resistenza sotterranea: erano tutti morti. L’operazione “Trust” era un miraggio; non esisteva alcuna Unione monarchica della Russia centrale, che era in realtà una creazione dell’intelligence sovietica. Attorno al 1926, le intelligence occidentali iniziarono a sospettare la verità, ma a quel punto la polizia segreta sovietica aveva già portato avanti l’operazione sotto copertura per ben cinque anni, durante i quali aveva eliminato o neutralizzato molti fra i suoi principali nemici, e al contempo aveva fatto perdere tempo, soldi ed energia a loro e ai principali servizi di spionaggio occidentali, su un’operazione che in realtà era gestita dal Soviet.

    I russi hanno usato questo scaltro modello innumerevoli volte da allora, così come i tanti servizi di intelligence addestrati nelle arti oscure da Mosca. L’intelligence cubana è notoria – si può ragionevolmente pensare che gran parte dei più tenaci esuli anti Castro siano in realtà sul suo libro paga – mentre negli anni Novanta il servizo di intelligence militare algerino, il temuto Drs, ha messo in atto una versione su scala gigante dell’operazione “Trust” contro i suoi nemici islamici, sconfiggendoli sì, ma al costo di centinaia di vite innocenti.

    Questo modello dovrebbe essere scolpito in mente durante le attuali discussioni sull’Ucraina, quando il Cremlino assicura che il governo di Kiev è “fascista” e programma una conquista di tipo “nazista”. Di certo ci sono esponenti di destra in Ucraina che hanno visioni quantomeno discutibili, ma il loro numero è esagerato da Mosca per ottenere l’effetto voluto, e spesso troppi occidentali lo accettano acriticamente. Inoltre, alcuni dei più convinti nazionalisti ucraini sono segretamente controllati da Mosca, e non c’è nulla di nuovo nel dirlo.

    La polizia segreta sovietica si è infiltrata nei gruppi di emigrati ucraini di estrema destra negli anni Venti e Trenta, portandoli ad atti di autosconfitta e uccidendo i loro leader. Una provocazione simile è stata usata dopo la Seconda guerra mondiale dalla polizia segreta di Stalin per sconfiggere la resistenza nell’Ucraina occidentale, che durò fino agli inizi degli anni Cinquanta, mentre durante tutta la Guerra fredda, i gruppi ucraini di destra all’estero furono oggetto di minacce, sorveglianza e a volte assassinio da parte del Kgb.

    Dal collasso sovietico, provocazioni russe simili in Ucraina sono note ai circoli di sicurezza a Kiev, il che spiega in parte il perché l’Sbu, il servizio di sicurezza ucraino, sta cercando di tenere sotto controllo i gruppi di estrema destra come il Settore Destro (Pravy Sektor): non solo sono potenzialmente pericolosi per la democrazia, potrebbero anche essere sul libro paga di Mosca. Il tutto è venuto a galla a causa della morte questa settimana del notorio attivista di estrema destra Oleksandr Muzychko, noto come Sashko Billy, hater locale schierato contro russi ed ebrei, caduto durante una non molto chiara sparatoria con la polizia a Rivne, città dell’Ucraina occidentale. Muzychko era così estremista da aver combattuto in Cecenia negli anni Novanta con la resistenza locale – Mosca lo ha accusato di crimini di guerra – e il suo funerale si è trasformato in una parata di estrema destra contro il governo di Kiev. Ovviamente tutto questo ha avuto un largo seguito nei media russi, che sono impazienti di dimostrare la natura “fascista” di tutti gli ucraini che non si vogliono far governare dal Cremlino.

    Sfortunatamente ci possiamo aspettare ancor più provocazioni con l’avanzare della crisi. Un esempio direttamente pertinente di ciò che può accadere è una serie di eventi in Croazia nel 1991, un’altra nazione dove la posizione degli ebrei è politicamente sensibile a causa della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. Mentre la Yugoslavia stava collassando, Slobodan Milosevic e i suoi alleati serbi ripetevano costantemente la solfa che il governo della neo indipendente Croazia fosse in realtà “fascista” e che puntasse a far rivivere i crimini dell’èra nazista contro le minoranze, inclusa quella ebraica, e che fosse quindi necessario un intervento “dall’esterno” per prevenire un “genocidio” (se tutto questo vi suona proprio come l’attuale propaganda russa contro l’Ucraina, un motivo c’è). Come in Ucraina oggi, c’erano neofascisti in Croazia nel 1991, ma erano politicamente marginali e considerati una minaccia dal governo.

    Così come l’Unione sovietica, la Yugoslavia comunista manipolò, minacciò e uccise i nazionalisti croati per decenni. Nella versione balcanica del “Trust”, sul finire degli anni Quaranta, la polizia segreta di Tito attirò quelli che avrebbero voluto diventare combattenti di guerriglia – e sapete già cosa state per leggere – per sostenere un esercito ombra della resistenza: ovviamente non esisteva, e servì solo a far uccidere gli infiltrati. Per decenni, la polizia segreta yugoslava ha tenuto sotto stretto controllo gli emigrati croati coinvolti in attività antiregime, utilizzando la provocazione per gettare discredito su di loro in modo tra l’altro particolarmente efficiente. Diverse decine di esuli croati in occidente furono anche uccisi da assassini yugoslavi. I croati capirono che molti dei loro nazionalisti più radicali erano in realtà controllati dalla Yugoslavia.

    Le paure che la Croazia, appena indipendente, potesse essere minacciata dai “fascisti” – così come Belgrado andava dicendo a chiunque ad alta voce – raggiunsero il picco nell’estate del 1991, con una serie di attacchi contro gli ebrei a Zagabria. Quell’agosto, esplosero bombe contro un centro della comunità ebraica e contro il principale cimitero ebraico; anche se non ci furono vittime, le esplosioni portarono il panico nella piccola comunità ebraica croata, in particolare perché contemporaneamente ci furono altre esplosioni su linee ferroviarie di diverse località, che portarono a un senso di anarchia. Presto emersero rapporti non verificati che davano la colpa degli attacchi al governo, puntando esplicitamente al presidente Franjo Tudjman come la persona dietro le bombe.

    Ciò fu negato allo strenuo da Tudjman e dal suo governo, che si mosse velocemente per rassicurare gli ebrei che non correvano alcun pericolo. Tutto questo servì come significativa distrazione, mentre la Croazia in realtà combatteva per la sua stessa esistenza con le truppe yugoslave e serbe che prendevano irregolarmente il possesso di un terzo della nazione, in quell’estate e nel successivo autunno. Le bombe, e la relativa propaganda, misero la Croazia sotto accusa internazionale quando meno ne aveva bisogno, e ben presto gli ebrei iniziarono a considerare un’evacuazione di massa dalla nazione, per ogni evenienza.

    Ovviamente si rivelò tutto una grande provocazione orchestrata dal Servizio di controspionaggio yugoslavo (Kos), che vantava una notevole rete di agenti in Croazia, inclusi diversi esponenti della destra. Le bombe a Zagabria e la relativa propaganda anti Croazia erano state soprannominate dal Kos “Operazione Labrador”’ – che si dimostrò un notevole successo. Subito dopo gli attacchi, i servizi di sicurezza di Zagabria lavorarono duramente per smantellare la rete del Kos in Croazia, ma a quel punto il danno era fatto. Gli attacchi sotto falsa bandiera erano serviti a ricordare al mondo che Zagabria era “davvero” sotto il controllo dei “fascisti” – una bugia che il governo di Tudjman non riuscì mai davvero a superare in certi ambienti.

    La provocazione combinata con la propaganda può essere estremamente efficace nel diffondere Grandi Bugie su persone, posti, e persino su intere nazioni, specialmente in tempi di crisi. Il Cremlino ha affinato questa spiacevole tecnica per più di un secolo. La prossima volta che sentirete parlare di violenza in Ucraina – e, purtroppo, ne sentirete sicuramente parlare – vi farà bene ricordare che la provokatsiya è realtà.

    di John R. Schindler*
    (traduzione di Sarah Marion Tuggey)

    * John R. Schindler è professore di Affari per la sicurezza nazionale al Naval War College, a Newport (Rhode Island) dal 2005. I suoi corsi riguardano sicurezza, intelligence, terrorismo e a volte storia militare americana. Prima di andare al War College, Schindler ha lavorato per dieci anni alla National Security Agency (Nsa) come esperto di intelligence e controintelligence. Gestisce un sito che si chiama XX Committee, da cui è stato preso l’articolo pubblicato in questa pagina. Il blog prende il nome dal XX Committee della Seconda guerra mondiale, il piccolo corpo supersegreto guidato dal professore di Oxford John Masterman che creò e gestì il “Double Cross System”, l’operazione di controintelligence di maggior successo della storia moderna.