Italia sempre più scristianizzata. Così numeri e dati raccontano un cattolicesimo malconcio
Intendiamoci, l’osservazione è immediata. Ma i numeri vi aggiungono qualcosa, ed è un qualcosa che deve preoccupare un poco tutti.
L’osservazione immediata è quella di una partecipazione non solo scarsa alla celebrazione della messa della domenica ma anche costituita a grande maggioranza da persone di una certa età, e diciamo pure della terza età. Si entra in chiesa la domenica, durante la messa, e balza all’occhio l’estrema esiguità della presenza di giovani, specialmente maschi. I numeri sono impietosi. Tra i 18 e i 24 anni si reca in chiesa almeno una volta alla settimana, secondo i dati del 2014, il 16 per cento degli abitanti di questa fascia d’età, contro una media generale del 28,8. Tra i maschi la proporzione sprofonda tra il 12 e il 13 per cento.
Attenzione, perché il quesito relativo alla frequenza con cui ci si reca in chiesa è meno stringente, più lasco di quello che sarebbe se si fosse domandato della frequenza alla messa della domenica. In altre parole, quest’ultima frequenza è senza dubbio ancora più bassa di quella cui si riferiscono le cifre di cui sopra. Cifre comunque peggio che esplicite. Intanto perché testimoniano di una feroce caduta della frequenza con cui ci si reca in chiesa nelle giovani e giovanissime età: si passa dal 50 per cento tra i 6-13 anni al 27 per cento tra i 14-17, per finire al 16 per cento tra 18-24 anni: quasi un dimezzamento della frequenza in chiesa da una classe d’età alla successiva. In secondo luogo perché tra i 18-24 anni, quelli dell’esplosione della vitalità e della coscienza di sé nel mondo e tra gli altri, la frequenza in chiesa raggiunge il minimo assoluto. In terzo luogo perché la contrazione della frequenza in chiesa a queste età è stata tra il 2007 e il 2014 più netta che in tutte le altre età, attestandosi tra un quinto e un quarto della sua consistenza. E infine perché la frequenza, specie quella maschile, è letteralmente da de profundis: entra in chiesa almeno una volta alla settimana un maschio su otto dell’età di 18-24 anni. Dei restanti sette, 2-3 non ci entrano mai e 4-5 ci entrano da una volta al mese a una volta l’anno. Con questo non si deve credere che le femmine brillino, i loro dati sono piuttosto simili.
Questo è il quadro fornito dalle cifre. Cosicché viene da pensare a dove vadano a finire tutti quei giovani che cantano e inneggiano e agitano bandierine e striscioni quando il santo padre si reca a un qualche raduno dei loro. Ecco, diversamente dall’interno delle chiese, dove le distese non sono per niente oceaniche, son tutte di giovani nel fiore dell’età e della vita. Rovesceranno il mondo, uno si dice, osservandole. Forse. Non so però se rovesceranno, nel senso di rivitalizzare, la chiesa, perché assai più della chiesa sembrano preferire le piazze antistanti le chiese, le spianate e gli stadi dove si celebrano i riti dei loro incontri religiosi. Trascorsi i quali, nel silenzio delle chiese ritroviamo il (quasi) deserto dei giovani – e non solo di quelli di 18-24 anni, dal momento che fino ai 35 anni non cambia quasi nulla, dello scenario tratteggiato.
[**Video_box_2**]Diciotto anni, ed ecco che con la maggiore età si entra in un mondo e in un’ottica, in una logica, una visione della vita, che tutto d’un tratto sembrano dimentichi della chiesa e della religione. Che ricompariranno, quando ricompariranno, trenta o cinquanta anni dopo. Non fanno a tempo a prendere i sacramenti che già in certo senso ne escono, i nostri giovani: ecco la la realtà con cui non possono non fare i conti chiesa e famiglie, preti ed educatori cattolici. Com’è possibile che il senso religioso, della religione cattolica, e oserei dire più in generale del sacro, svanisca in un lasso di tempo tanto risicato: alcuni, pochi, pochissimi anni che stanno tra l’infanzia e l’adolescenza? Visto che la stragrande maggioranza di giovani non va in chiesa, se non del tutto sporadicamente, dove vanno a finire gli appuntamenti di massa e gli evviva, i catechismi e le educazioni cattoliche, le chitarre e i canti? Tutto al servizio di una prolusione veloce, istantanea quasi, al salto nell’odierna scristianizzazione?
Sì, c’è molto da interrogarsi. Perfino da parte dei laici. Perché anche per i laici questi dati dovrebbero suonare come un campanello. D’allarme, s’intende.