“L'Europa è in crisi perché non ha leader”. Il j'accuse del Papa e la sferzata di Scola
“Guardare alle radici non basta più”, ha detto l'arcivescovo di Milano in occasione dei Primi vespri di Sant’Ambrogio
Roma. L’Europa è in declino perché mancano i leader adeguati a portare avanti il disegno della triade Schuman-De Gasperi-Adenauer. Non si salva nessuno nell’analisi breve e netta del Papa, che conversando con il settimanale belga Tertio ha osservato che “l’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti”. Mai era stato così duro, Francesco, riguardo allo stato di salute del Vecchio continente. Accusato spesso di guardare più alle periferie che al cuore dell’occidente, Bergoglio non ha aggiunto altro, rimandando ai tre discorsi che all’Europa ha dedicato. Il primo dinanzi al Parlamento europeo e il secondo al Consiglio d’Europa, nel novembre del 2014. Il terzo è più recente e risale allo scorso 6 maggio, quando ricevette in Vaticano il Premio Carlo Magno.
In quest’ultima occasione riprese la definizione di “Europa nonna” che aveva illustrato agli eurodeputati, cui aveva detto “che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata dal voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va trincerando invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società”. Non c’è bisogno d’aggiungere altro, fa sapere oggi.
La diagnosi resta la stessa, confermata dagli ultimi accadimenti che hanno reso più sbiadito il progetto originario dei Padri fondatori: dall’avanzata dei cosiddetti populismi (non solo nell’Europa orientale), ai muri innalzati a protezione dei flussi migratori, fino ai referendum che hanno minato la solidità dei governi in carica. La sfida, osservava Francesco, è quella di “aggiornare l’idea di Europa”. Il nuovo umanesimo deve fondarsi su tre capacità: “La capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”. Da qui passa la salvezza del continente, altrimenti è condannato al declino inesorabile.
C’è una consonanza chiara, sul tema, con quanto ha detto martedì pomeriggio il cardinale Angelo Scola nel consueto discorso alla città di Milano in occasione dei Primi vespri di Sant’Ambrogio. Scola ha riflettuto sulla città di cui è arcivescovo in rapporto all’Europa. Per salvare quest’ultima dalla “fine inesorabile”, ha detto il porporato, “è necessaria una nuova visione dell’Europa che, da una parte, valorizzi quella molteplicità culturale che da sempre la caratterizza e, dall’altra, permetta agli stessi stati di ritrovare la necessaria unità per rispondere alle sfide dei tempi, prime fra tutte l’immigrazione e la sicurezza”. In quest’ottica, ha aggiunto Scola, “non basta, anche se è necessario, guardare alle radici dell’Europa che conosciamo bene”. Certo, la strada è irta d’ostacoli, “questo non significa che l’Europa possa, in modo quasi indolore, trovare facili accomodamenti tra i diversi soggetti in campo. Il ‘meticciato di civiltà’ è un processo e non un programma prescrittivo; ma gli europei, oserei dire soprattutto i cristiani, hanno tutti gli strumenti culturali per raccogliere la sfida della pluralità. Si tratta – ha proseguito l’arcivescovo di Milano – di ripensare gli assiomi su cui poggiano le nostre democrazie procedurali e il principio di laicità sul quale intendono reggersi. In una società plurale, per sua natura tendenzialmente conflittuale, la laicità è tale solo se crea le condizioni per garantire la narrazione di tutti i soggetti personali e sociali che la abitano, in vista del reciproco riconoscimento”. L’obiettivo da raggiungere può essere così uno soltanto, e cioè “un’Europa famiglia di popoli” che non è “un superstato né una raffinata tecnocrazia, ma una convivenza delle diversità, capace di farle collaborare e di integrarle nell’orizzonte di senso proprio di un umanesimo personalista”.
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