Lettere di un italiano cardinale

Giacomo Biffi

“La nostra epoca è post tutto, ma nient’affatto post cristiana”. L’allegro umorismo di Giacomo Biffi in un carteggio durato più di mezzo secolo

Cinquantatré anni di corrispondenza epistolare, lettere lunghe e brevi bigliettini. Il tutto, ora, riversato in “Lettere a una carmelitana scalza”, il volume edito da Itaca che pubblica (con commento) il carteggio tra Giacomo Biffi (1928-2015) e suor Emanuela Ghini nel periodo 1960-2013. Incontri, pareri ironici e fulminanti, discussioni aperte e senza riserve. L’amicizia con Giussani e Bettazzi, il dolore per le scelte di Dossetti, le “perplessità” verso don Turoldo e “le nuove correnti di pensiero”. Pubblichiamo alcuni stralci dell’epistolario tra questa “corrispondente indocile e mai arresa al fatto cristiano” e (autodefinizione di Biffi) “un amico reazionario, che è abbastanza amante della verità e della giustizia, ma insieme ha un po’ troppo il gusto donchisciottesco di assalire i mulini a vento”

 


 

I vuoti di bellezza

Ormai la differenza teologica più forte tra noi sta nel fatto che tu scrivi “chiesa” con la minuscola. Ci ho riflesso [sic!] ancora molto e mi pare proprio un uso inaccettabile perché non solo lascia nell’ombra la “personalità mistica” della Chiesa, di cui ha parlato con tanta passione Maritain nei suoi ultimi libri, ma anche le “personificazioni” di Paolo e di Giovanni, i quali parlano della Chiesa in termini di “sposa” e di “donna”.

Naturalmente la vera ragione è un’altra, ed è che a me sinceramente la Chiesa è apparsa come la realtà dove è radunata più verità, più giustizia, più bellezza, più libertà in tutto il mondo, soprattutto più bellezza. I “vuoti di bellezza” ci sono solo dove la Chiesa assomiglia non a se stessa, ma al mondo e a quello che sarei io stesso senza di lei.

Capisco di essere nella Cristianità odierna una bestia rara, ma non posso farci niente: la bellezza è una rivelazione e non c’è niente da fare.

Per un secondo motivo sono una bestia rara: ed è che mi sono a poco a poco convinto che solo superficialmente si può dire che l’antipatia per la Chiesa è la fonte dell’incredulità. Con più verità, va riconosciuta in Cristo, unigenito di Dio, la grande difficoltà per la fede. Ma il vero grande ostacolo è il Padre: agli uomini gli secca di avere un Padre di troppo. Ormai di gente che accetta il Padre senza accettare Cristo, o accetta Cristo (e non l’arruola sotto le proprie bandiere) veramente e totalmente, senza accettare la Chiesa, ce n’è sempre meno.

Se nella linea della “risposta” alla richiesta comune, bisogna incontrare la Chiesa per incontrare Cristo; e accogliere Cristo per riuscire a continuare a credere in Dio, nella linea della “domanda” (e senza domanda, ogni risposta è irrilevante) prima bisogna riconoscere di aver bisogno di un Padre, poi si capisce che per avere un Padre c’è bisogno di un Redentore, e infine si è costretti ad ammettere la necessità di una Chiesa, dove questo Redentore ci sia. In questa prospettiva, ci sono alcuni temi che mi sembrano di una comicità irresistibile: quello della “preevangelizzazione”, a meno che con questa parola si voglia intendere l’aiuto dato per il riconoscimento dell’assurdità della condizione umana considerata in se stessa; quello della Chiesa che deve essere “credibile”: la Chiesa – come del resto tutta la realtà creaturale – è credibile solo per chi crede. La Chiesa non deve essere credibile, deve essere credente; allora sarà anche credibile. Perché Dio ha sottoposto tutto all’incredulità (anche la realtà creaturale), perché tutti credano, cioè facciano il salto della fede; quello del “dialogo” tra il credente e l’incredulo, a meno che si tratti o di un incredulo apparente (c’è più fede di quel che si pensa) o di un credente apparente (c’è più incredulità di quel che appare).

20 dicembre 1974

 

I giovani e l’esperienza cristiana

Quel che mi scrivi su Cl mi conferma quanto bene funzioni in Italia il filtro dell’informazione e come si sia sempre indotti a fare a metà dei torti e delle ragioni, anche nella discussione tra il lupo e l’agnello.

In realtà la faccenda è molto meglio. Sono ragazzi convinti di avere il diritto di fare un’esperienza di vita associata alla luce della loro fede, nel pieno rispetto dei diritti altrui, che non hanno mai tentato di violare una sola volta. In forza di quel gruppo che – con la sua sola esistenza – contesta la cultura egèmone che ritiene di essere l’unica. Perciò sono insopportabili, perciò sono picchiati a morte. All’infuori di quello di esistere, non hanno mai compiuto nessuna provocazione; ma è la loro esistenza a essere provocatoria.

In una società ormai arresa e impaziente di rendere omaggio al nuovo “principe”, sono gli unici a ritenere che la salvezza dell’uomo arrivi da un’altra parte e la sua promozione vada cercata in un’altra direzione.

Don Giussani – che non si è mai sognato di occuparsi di politica – da molte settimane vive randagio, dormendo sempre in posti diversi, perché la polizia l’ha avvisato che esiste un progetto preciso di fargli la pelle. Quando gliela faranno, si troverà modo di dimostrare che è stata colpa sua.

Del resto, non è Cl in gioco, è il fatto cristiano.

Contro il fatto cristiano, sta egregiamente funzionando lo “schiaccianoci”, con le sue due “branche”: 1° il cristianesimo che si occupa del Regno dei cieli è alienante e dannoso per l’uomo, perché lo distrae dai veri problemi; 2° il cristianesimo che si occupa dei problemi umani e sa dare soluzioni proprie commette un’indebita ingerenza in campo politico.

Il comico è che ci sono molti cristiani tra i sostenitori della prima e della seconda accusa o di tutte e due insieme. Non ci resta che affidare la voce alla Provvidenza; ma non possiamo che esprimere la solidarietà e l’ammirazione per coloro che nella vita, senza guadagni e con molto pericolo, dimostrano la falsità di tutte e due le argomentazioni.

Ho finito il mio Pinocchio. Spero possa essere pubblicato per il prossimo novembre. Se l’editore accetterà, vorrei dargli un titolo conforme alla mia natura polemica: Contro maestro Ciliegia. Anche i grande teologi medievali scrivevano sempre qualcosa contro qualcuno.

15 aprile 1977

 

L’impietoso giudizio su Küng

Di Küng ho letto con grande attenzione solo La Chiesa. Devo dire che è tra i pochissimi teologi contemporanei che riescono a farsi capire da me. E così mi sento anche di dare un giudizio: non è una ecclesiologia; e appena una “sinagogologia”. Ho anche l’impressione che sia un assetato di successo, e l’ha avuto.

Poiché la “cultura” non mi interessa niente, mentre ho estremo bisogno di verità, ho deciso di non leggere altri libri di Küng.

A sentir parlare tanti della comunità primitiva e dell’impossibilità di risalire da essa al Cristo storico, si ha l’impressione che il giorno dell’Ascensione siano saliti al cielo tutti i testimoni della sua vita. Sicché tutto è dovuto ripartire da zero.

Mi pare che ciò che manchi ai grandi teologi di oggi sia l’intelligenza. Sono tutti molto bravi, dottissimi, aperti alle moderne correnti di pensiero, ma forse non sono troppo intelligenti. O forse lo sono troppo, tanto che io non capisco niente di quello che scrivono.

Perciò non saprei indicarti dei nomi. L’ultimo teologo davvero di buon senso è stato il Journet, ma è finito cardinale e adesso è morto. Dei viventi, quello che stimo di più è von Balthasar, ma più che un teologo è un’alluvione teologica, senza la grazia della limpidità e della misura. Se già non l’hai letta, studia con calma la Christologie du N. T. di Cullmann, che è esegeta di grande finezza.

Ma ormai io sono quasi un analfabeta di ritorno, e devi rivolgerti ad altri per i tuoi consigli culturali.

1 luglio 1977

 

Tra non-senso e suicidio della ragione

L’esperienza ravvicinata del dolore degli uomini e del male è uno spettacolo che supera ogni possibilità di sopportazione tanto che per sopravvivere penso che istintivamente ci si costringa a renderci almeno parzialmente insensibili e a ispessire per così dire la pelle del nostro spirito. Mi sono sempre chiesto come faccia il Padre (che è padre), che è onnisciente e non gli è data la facoltà di chiudere gli occhi, a reggere questa visione insopportabile. E come possa restare, almeno in apparenza, latitante da queste tragedie.

So che la risposta deve stare nel Figlio di Dio Crocifisso, e che in questo (che è il più incomprensibile dei possibili eventi) tutto l’enigma del soffrire umano si comprende. Ma si comprende oggettivamente, in se stesso, sul piano dell’essere; io, soggettivamente, non lo comprendo e, illuminato da una luce così alta, resto all’oscuro.

E mi confermo nella convinzione che siamo chiamati a scegliere tra l’assurdo e il mistero; tra il non-senso e il suicidio della ragione, e la resa a una verità che penosamente ci oltrepassa e ci eccede. E poi, se solo nel Figlio di Dio Crocifisso l’uomo si salva dall’insignificanza (perché ciò che è angosciante non è il dolore, ma il dolore senza significazione e senza finalizzazione), come mai di fatto non lo conoscono, come mai non si riesce a farlo conoscere? E come mai, in questo oscuro oceano di pene, si debba sperimentare l’inefficacia, e quindi l’inutilità, della preghiera che chiede sollievo?

Il Manzoni, che è sempre un po’ la “coscienza” di noi lombardi, ha scritto – nell’incompiuto Il Natale del 1833 – i versi più terrestri che siano usciti da una penna cristiana:

Vedi le nostre lacrime,

intendi i nostri gridi;

il voler nostro interroghi,

e a tuo voler decidi:

mentre a stornare il fulmine

trepido il prego ascende,

sordo il tuo fulmin scende

dove tu vuoi ferir.

Ma tu pur nasci a piangere;

ma da quel cor ferito

sorgerà pure un gemito,

un prego inesaudito.

22 agosto 1983

 

I miti e le ideologie al tramonto

La nostra epoca non è affatto post-cristiana. E’ “post” tutto: post-illuministica, post-risorgimentale, post-marxista, post-scientista, ma non post-cristiana. I miti e le ideologie sono tutti al tramonto. Nessuno può più illudersi. Ma Cristo è vivo, e il cristianesimo appare sempre più la sola alternativa all’assurdo. Certo, il regno dell’assurdo è vasto, ma tutto è accorgersi che è assurdo. Molti vivono senza scopo, ma sentono di vivere senza scopo. Perciò c’è molto accanimento contro la Chiesa – la sola che si ribella all’assurdità – ma c’è anche molta attenzione a quello che dice e quello che fa.

Il mondo assurdo non mi fa paura: è la controprova, giusta e necessaria, della verità della fede e della necessità di Cristo. Mi fanno paura gli uomini di Chiesa che non ritengono più importante distinguere tra il vero e il falso, e i cristiani (specialmente gli intellettuali cristiani) che ragionano in modo mondano.

19 aprile 1987

 

Il rapporto con don Dossetti

Don Dossetti è entrato nella mia vita intellettuale quando non avevo ancora vent’anni e non ne è uscito più. Fino alla conclusione della sua giornata terrena siamo stati vicini, legati da una stima reciproca che non ha avuto ombre. La Provvidenza ha disposto che fossi io a dare l’approvazione canonica alla sua comunità, alla quale ho anche affidato, a nome della nostra Chiesa, la custodia orante dei luoghi sacri di Monte Sole. Ho raccontato tutto ciò nel mio libro senza riserve e senza perplessità successive.

Sulla virtù personale di don Giuseppe, sulla sua ascesi, sulla sua rigorosa coerenza cristiana ho dato nelle mie pagine attestazioni convinte e inequivocabili. E ad alcune di queste mie espressioni hai dato spazio anche tu nell’articolo dell’Osservatore Romano. Tanto più è stato angosciante l’avvedermi che la sua visione teologica (e particolarmente la sua ecclesiologia) non mi pareva conforme alla Rivelazione ed era ideologicamente condizionata. E mi sono reso conto che toccava a me, prima del mio rendiconto davanti al Signore (quando confido che cadremo tutti “in grembo a un’immensa pietà), l’ingrato compito di un chiarimento che potesse almeno per il futuro limitare i gravi inconvenienti di una prospettiva non oggettivamente illuminata, anche se soggettiva- mente generosa.

13 gennaio 2008

 

Alienato, sradicato, inattuale

Anch’io, che pure ho finora una vecchiaia fortunata, mi sento più “sradicato”. Sono diventato straniero nel mondo di oggi: non riesco neppure più capire i giornali, pieni di parole che non conosco e di sigle per me indecifrabili.

Soprattutto mi rende quasi alienato ciò che (con poco senso) dicono, scrivono, sentenziano i nostri contemporanei.

Mi percepisco un po’ isolato anche nell’ambiente ecclesiale, pur se nessuno apertamente mi contesta. Ma la “inattualità” – una etichetta che talvolta apponevo alle mie pubblicazioni più che altro per civetteria – è diventata sul serio la caratteristica normale dei miei giorni.

16 febbraio 2009

 


 

Lettere a una carmelitana scalza. 1960-2013” (304 pp., 24 euro) è pubblicato da Itaca Edizioni. Il volume è curato da Emanuela Ghini, la prefazione è del cardinale Carlo Caffarra e la postfazione di mons. Matteo Maria Zuppi, entrambi successori di Biffi sulla cattedra episcopale bolognese.

  


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