Il tribuno del nuovo gesuitismo che recupera con Lutero anche Pascal
Fu un grande scienziato, un giansenista che si mangiava i gesuiti a colazione, poi un apologeta della fede trascendente. Il Papa ora vuole beatificarlo
Eugenio Scalfari ci ha regalato una notizia sensazionale: il Papa gesuita vuole beatificare Blaise Pascal. Pascal, morto nel 1662 ancora giovane, fu un grande scienziato, un gentiluomo mondano, un convinto giansenista che si mangiava i gesuiti a colazione, poi un apologeta della fede trascendente, infine una coscienza cristiana chiusa nel silenzio. Un 23 novembre di non ricordo quale anno, a notte, decise per il Dio di Abramo, Giuseppe e Giacobbe, senza glosse teologiche, scrisse un suo testamento spirituale su un foglietto, se lo cucì nella giacca, e non se ne separò mai più nel suo tacito eremitaggio dal mondo, vissuto a Parigi in ambizione solidale di povertà. Beato è il minimo.
C’è un particolare. Scrisse da giansenista amico dei Signori di Port Royal diciannove “Lettere di un provinciale”, dette le Provinciali, per mettere alla berlina, con uno stile caustico, ironico, teologico-mondano, le famose deviazioni dei Reverendi Padri gesuiti dal rigore morale e spirituale che era proprio del cristianesimo portroyalista. Ora queste deviazioni sono il sale della predicazione di Francesco, beatificatore gesuita, e potrebbero essere riassunte nella sua famosa formula catechistica “chi sono io per giudicare?”. Di questo Scalfari e il Papa non hanno parlato, sarebbe stato interessante sentire che cosa pensano della casuistica seicentesca alla luce della nuova casuistica del XXI secolo inaugurata dal pontefice regnante in bella e dovuta forma. E sarebbe interessante se il futuro beato Pascal fosse chiamato dall’ombra lucente dei secoli moderni trascorsi dalla sua morte a giudicare, lui che giudicava in modo così brillante, le sottigliezze “divorziste” dell’Amoris laetitia e altri celebri lassismi del vescovo ignaziano di Roma.
Scherzo naturalmente. Le cose sono molto più complicate. Non si possono ridurre al conflitto tra i Reverendi padri e un cristiano giansenista che censurava quasi cinque secoli fa le autorizzazioni morali gesuitiche a comportarsi male secondo coscienza o intenzione, anche molto male, tipo rubare e uccidere. Il tempo, come dice il Papa argentino, è superiore allo spazio. E l’effetto comico, molieresco, delle Provinciali di Pascal è comunque sopravanzato dalla sua decisione finale per il silenzio mistico, che tanto dovrebbe piacere al magnifico cardinale Sarah, predicatore del silenzio come antidoto alla distorsione della parola di Dio e parola di Dio esso stesso.
Comunque, finché fu nel mondo, sebbene non del mondo, al futuro beato Pascal non piacevano gli accomodamenti con il tempo, gli sembrava che lo spazio infinito della volta celeste fosse superiore al tempo. Ma la chiesa di Roma è bella e universale per questo. I papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII, fecero un bel casino per difendere la civiltà italiana e la rinascita del paganesimo antico nel Rinascimento dalle grinfie di un monaco geniale che trovò il modo di liberare un bel pezzo di Europa dalla scolastica e dall’umanesimo imponendo una fede libera e di coscienza che abolì l’ordine ecclesiastico parecchio corrotto, come tutte le cose grandi, e lo sostituì con la religione di stato, fino alla figlia del pastore luterano che domina grandiosamente la Germania di oggi. Il Papa della famiglia Bergoglio, splendente tribuno del nuovo gesuitismo, recupera in un colpo Lutero e Pascal. Ben scavato, vecchia talpa.