Perché le parole del Papa sul fine vita non sono un'apertura all'eutanasia
Già Benedetto XVI nel 2008 disse no all'accanimento terapeutico. Dal clima alla morale c'è sempre il tentativo di trovare la rivoluzione nei discorsi di Francesco
Roma. Il Papa invia un messaggio alla ventitreesima sessione della Conferenza degli stati, parte della Cop23 sul clima, e dice che “molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati (per vari motivi che) vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche” e pare sia una novità assoluta, mai sentita prima d'ora.
Più tardi, in un messaggio alla Pontificia Accademia per la vita, spiega che “gli interventi sul corpo umano diventano sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute”. E poi, sono sempre parole di Francesco, “occorre un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”. A guardare i titoli delle versioni online dei giornali, sembrerebbe un evento epocale, con il Papa che aprirebbe in qualche modo all'eutanasia. Niente di più falso, basterebbe riascoltare quanto Bergoglio ha più volte detto su questo fronte.
In realtà, il Pontefice non ha fatto altro che ribadire la dottrina della chiesa sul tema. Nel 2008, intervenendo alla Conferenza internazionale sulla pastorale dei bambini malati, Benedetto XVI diceva che “la ricerca medica si trova di fronte a scelte difficili, ma serve un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza”. Insomma, niente di nuovo. Eppure, ogni volta sembra di essere dinnanzi alla rivoluzione, al cambiamento totale della dottrina della chiesa. Salvo poi nascondere gli interventi del Papa contro il pensiero dominante e alla moda, le sue intemerate contro il gender, definito nel suo viaggio in Georgia “una guerra mondiale contro il matrimonio”. Oppure quando, sul sagrato della basilica vaticana, si chiese “se la cosiddetta teoria del gender non sia espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”.
La responsabilità della diffusione di tali teorie, osservò Francesco, è anche “della cultura moderna e contemporanea che ha sì aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza”, introducendo però “molti dubbi e molto scetticismo”. O ancora quando incontrando i giovani a Napoli disse che “la famiglia è sotto attacco, c’è un secolarismo attivo, ci sono colonizzazioni ideologiche non solo in Europa. E’ una cultura che non vuole far vedere la famiglia, per la quale è meglio non sposarsi, rimanere a casa”. Concetti netti e chiari che però poco o nessuno spazio hanno ottenuto nel battage mediatico, a differenza di quel “chi sono io per giudicare?” riferito agli omosessuali, senza però riportare il resto della frase papale, che comprendeva anche un “se uno cerca il Signore e ha buona volontà” e il rimando a quanto da tempo dice il Catechismo della chiesa cattolica.