L'uso pornografico dei verbali della polizia
L’attualità rende misero il talento, ma i giornali trasformati nei mattinali ci rendono più miseri
Dall’altra notte i siti dei giornali, e da ieri anche le pagine di carta, sono piene dei particolari terrificanti degli stupri avvenuti dieci giorni fa sulla spiaggia di Rimini. Sapevamo già che era stata usata una ferocia assoluta, un accanimento spaventoso che la turista polacca e la transessuale peruviana non potranno mai dimenticare, e forse mai superare. Conoscevamo l’assenza di rimorso, il pentimento che dovrebbe mantenerci umani, dei presunti stupratori che adesso si scaricano addosso l’uno con l’altro le responsabilità dei loro reati, ma sono inchiodati dalle deposizioni di chi li ha riconosciuti nell’inferno di quella notte. Tutto il resto, tutti i particolari che adesso vengono rivelati allo scopo di intrattenere o di aumentare l’indignazione, è pornografia, è l’uso pornografico dei verbali della polizia.
Per mostrare la cattiveria del branco, e la brutalità non solo del suo capo, si stanno calpestando le vittime. Perché io devo sapere che cosa ha raccontato la turista polacca alla polizia, vincendo la vergogna e lo choc, e affidandosi all’Italia per essere protetta? Che cosa aggiunge a questa storia di orribile cronaca il fatto che l’abbiano trascinata dalla sabbia nell’acqua, e poi ancora nella sabbia, e poi di nuovo girata, e violentata in un altro modo? Certo dobbiamo sempre denunciare i carnefici, ma la certezza che finirà tutto, con i particolari e i numeri e le parti del corpo e le posizioni, nelle pagine di cronaca e in tutti i siti esistenti, non è rassicurante. Non è rispettoso. Quello che è successo alla ragazza e alla transessuale, che pure ha accettato di parlare alle telecamere, di spalle e coperta da una sciarpa, siamo purtroppo in grado di immaginarlo, dopo la quarta ginnasio, non è necessario indugiare sugli slip, sui “turni”, sulle domande brutali, e a pancia in giù e a pancia in su e di lato. Ci sono altri giornali e altri siti appositi, per questo.
Libero ha titolato: “Violenze disumane e doppia penetrazione”, e il Corriere della Sera ha pubblicato i verbali delle deposizioni sotto l’occhiello “Le carte” (che dà il permesso di fare tutto). Davvero sarebbe bastato: brutale aggressione e stupro. Non per reticenza, e nemmeno per inutile pudore, ma perché pubblicare quei dettagli è allo stesso livello di suonare alla porta di una madre a cui hanno appena ammazzato il figlio e chiederle: cosa prova?, ficcandole una telecamera in faccia. Un gesto insensato, guardone e compiaciuto, che non offre un’interpretazione né una soluzione, ma soltanto il piacere dell’orrore. Significa che non c’è interesse per le vittime, certo non quanto per gli aguzzini e il loro accanimento, e per la rabbia che va tirata fuori da lì. Non è la foto del piccolo Aylan sulla spiaggia di Bodrum, non sono le foto dei bambini uccisi dalle armi chimiche in Siria, il dipinto della fine del mondo che è necessario guardare perché non succeda ancora, perché ce ne assumiamo la responsabilità. È qualcos’altro e non ha nessun valore oltre alla morbosità, non ha nessuna utilità oltre a questa pornografia della realtà. La realtà, ha detto Philip Roth, “lascia sbalorditi, dà la nausea, fa infuriare e mette non poco in imbarazzo la nostra misera immaginazione. L’attualità non fa che superare il nostro talento”, e allora bisogna decidere che cosa farne: cercare un’altra strada o sdraiarsi lì sotto, chiudere gli occhi e farsi comandare dai mattinali. Philip Roth faceva narrativa, scriveva romanzi e non articoli di giornale, ma i giornali dovrebbero interpretare i fatti invece di lasciarsi camminare sopra dai fatti. E non lasciare che venga calpestato all’infinito chi è già stato infinitamente calpestato.
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