My name is Ivanka Trump
La figlia preferita di Donald somiglia a un androide programmato per vivere all’interno dei desideri del padre. O forse è lei stessa un clone del nuovo presidente?
La domanda più scomoda a Hillary Clinton le è arrivata al secondo duello televisivo: la qualità dell’avversario. Siccome non poteva rispondere, nessuna, ha giocato una carta migliore: "Rispetto i suoi figli, incredibilmente capaci e devoti". Si è pensato subito a Ivanka Trump: bionda di famiglia e ricca naturale, avuta dalla prima moglie Ivana, sopravvissuta indenne a un’adolescenza da miliardaria, sposata a Jared Kushner e oggi first daughter, e first lady per procura, come scrive Vanity Fair. Quella che, come Trump ama ripetere in tv divertendosi a scioccare i presenti: “Se non fosse mia figlia, ci uscirei”. ("E chi credi di essere? Woody Allen?", gli rispondono).
Ivanka è la preferita. C’è un momento imbarazzante nell’intervista di Barbara Walters ai figli di Trump in cui la giornalista chiede chi è il favorito di Donald. Tiffany, la figlia del peccato (avuta in gran scandalo dall’amante Marla Maples, poi divenuta seconda moglie per sei anni) inizia a ridere nervosamente (la poveretta è cresciuta in California, lontana dal padre, dai fratelli, dalla carta di credito di famiglia). Non lei. I fratelli Eric e Donald Jr dicono il nome dell’unica fotogenica nella stanza. Ivanka.
Al Letterman show del 2007, David le fa notare subito l’affinità col padre nel modo in cui si esprime. “Me lo dicono in molti per il modo di parlare e di muovere le mani. Mi sto trasformando lentamente in lui”. A quel tempo Donald non è ancora il presidente ma è il presentatore di un reality show, "The Apprentice", lei è una giovane in carriera che va per Late Night Show a dire quanto sexy siano le costruzioni e a raccontar di quando i fratelli ricevevano i Lego e a lei le Barbie (e di come si vendicava incollando i Lego a forma di Trump Tower, facendo felice il padre e piangere i fratelli). Possedeva già il talento per far sembrare il padre migliore di ciò che è.
“Non ti chiederò quanti anni hai ma mi pare ovvio tu sia molto più giovane di me”, le dice Letterman. All’età di venticinque anni segue una trentina di progetti imprenditoriali. Alla classica domanda sull’infanzia con un padre così, Ivanka è preparata. Dice che lui c’è sempre stato per lei “quando lo chiamavo al telefono”. Racconta di come la mettesse in vivavoce in riunione per vantarsi di lei in quanto bellissima e dotatissima e insomma: tremendous daughter.
Ivanka sembra un androide scappato da Westworld. È Dolores, quella che sotto al candore nasconde furia omicida. Attenta a ogni posa, mai impulsiva: il contrario del padre. Cresciuta sotto l’occhio pubblico, si ha l’impressione che non dica mai quello che pensa, ma pensi sempre molto bene a ciò che dice. Al Wendy Williams Show del 2012 la conduttrice le chiede se la imbarazza mai quello che dice il padre. Ovviamente no, “mio padre dice quello che pensa!”. Ma è proprio quello che pensa il problema. E insiste a dire che lei lo conosce, che non è cattivo come lo disegnano. E poi, lei non ne è forse la prova vivente? Il ragionamento è: se il padre fosse così terribile come dicono i media liberal, come potrebbe aver fatto una figlia così? Lo ha ammesso anche Hillary.
Nessuno considera Ivanka Trump una femminista perché il femminismo serve solo se sei povera e single. Indosserebbe una berretta rosa solo se dovesse promuoverla per la sua linea su ivankatrump.com, un’alternativa americana a Zara per millennial. Ma quando, messa alle strette, le chiedono di commentare la tourette del padre su Twitter, o gli insulti alla faccia di Carly Fiorina, o di quando ha dato della mestruata a Megyn Kelly, Ivanka rimane calma e spiega che suo padre insulta e critica tutti, mica solo le donne. È un insulto democratico, o come direbbe Ivanka, an equal opportunity offender.
Nella gestione della propria immagine, uno potrebbe ipotizzare che essere figlia di Donald Trump sia la cosa peggiore. Mentre lui dichiara guerra commerciale ai cinesi, lei fa cantare gli auguri di buon anno in mandarino su Instagram alla figlia Arabella (insegnatole dalla tata cinese). Mentre lui irride le donne, Ivanka si occupa di politiche sulla maternità (proprio lei che è tornata al lavoro ad appena una settimana dal parto, proprio lei che di politiche sulla maternità non ne sapeva nulla e ha rubato il progetto a una del proprio team: per scoprirlo bisogna leggere uno dei pochi articoli non concordati che la ritraggono, su Fast Company).
Ivanka è un clone. Un androide programmato per vivere all’interno dei desideri del padre, o è esattamente come il suo creatore? Nel 2007 Ivanka pubblica uno di quei manuali per aiutare le donne ad aver successo, "The Trump Card", che secondo il New Yorker va letto più come ritratto dell’ethos famigliare. Eccone un esempio: “La percezione è più importante della realtà”, e anche “non correggete le false presupposizioni su di voi se vanno a vostro vantaggio”. Si era inventata la post verità e non lo abbiamo capito in tempo.
Il risultato di questa strategia comunicativa è sintetizzato da un amico di famiglia: "Suo padre è odiato da mezza America e amato dall’altra metà. La metà che lo ama la ama, e la metà che lo odia la ama – perché non è lui". Non ancora.