Mario Draghi (foto LaPresse)

La Bce ancora in trincea

Così l'inflazione spunta le armi retoriche di Draghi per più stimoli

Alberto Brambilla

Scompare lo spettro deflazione come alibi per il Qe. Restano le frustate ai governi inerti e il “rischio divergenza”

Roma. Il recupero dell’inflazione in Eurozona lascia la Banca centrale europea esposta, come mai prima d’ora, alle critiche dei politici e degli economisti tedeschi, i quali sono tornati a invocare con toni esasperati un rallentamento o una cessazione anticipata degli stimoli monetari inaugurati quattro anni fa da Mario Draghi alla presidenza dell’Eurotower. L’inflazione annua in Eurozona è arrivata ai massimi livelli dal 2013, all’1,1 per cento a dicembre, secondo l’Eurostat. La lettura del recente dato, che ha sorpreso gli analisti, unita all’aumento dei prezzi in Germania – l’inflazione raddoppiata da novembre a dicembre passando dallo 0,8 all’1,7 per cento – ha allarmato commentatori e politici tedeschi che sulla stampa nazionale hanno nuovamente bersagliato Draghi. Wolfgang Steiger, segretario generale dei consiglieri economici della Cdu, partito della cancelliera Angela Merkel, candidata alle elezioni federali quest’anno per il quarto mandato consecutivo, ha detto al Financial Times che “il supposto spettro della deflazione non può più servire come giustificazione per una politica monetaria dagli effetti dopanti (per l’Eurozona)”. Da alcuni rispettati centri studi come l’Ifo di Monaco – il quale aveva appena suggerito all’Italia di uscire dall’euro se vuole salvare le sue fragili banche – e il IfW di Kiel, sentiti dalla Faz, sono arrivate invocazioni verso la Bce a interrompere anzitempo (anche a marzo) gli stimoli monetari, nonostante il Consiglio direttivo della Bce abbia annunciato nell’ultima riunione del 2016 che già dal prossimo aprile inizierà la riduzione degli acquisti mensili di titoli pubblici (da 80 a 60 miliardi), il “tapering”, che però proseguiranno per tutto il 2017 almeno.

 

Come fa notare al Ft il consigliere della Cdu, Draghi non potrà sfruttare nei suoi discorsi l’argomento della deflazione incombente che è stato uno dei motivi più comprensibili sottesi all’acquisto di titoli pubblici, il Quantitative easing (Qe), che quest’anno arriverà a 780 miliardi di euro. Senza contare che l’inflazione galoppante negli Stati Uniti e la Fed, influenzata dalle promesse di stimoli fiscali e sviluppisti di Donald Trump, si trova, all’opposto della Bce, a ponderare un’accelerazione della stretta monetaria attraverso un aumento dei tassi a un ritmo più rapido di quanto annunciato un mese fa. Tuttavia Draghi è abituato agli attacchi tedeschi e potrebbe farseli scivolare addosso, come ha detto alla Cnbc Claus Vistesen, economista di Pantheon Macro. Inoltre l’analisi della dinamica inflazionistica della zona euro offre validi spunti difensivi. La Bce stima infatti che non raggiungerà il target statutario del 2 per cento nemmeno nel 2019 quando si avvicinerà all’1,7 per l’intera Eurozona. E nonostante il target sia basato sul dato complessivo, se si guarda all’inflazione core (cioè depurata dai prezzi dell’energia e degli alimenti) si capisce che l’aumento è stato solo dello 0,1 per cento da novembre (0,8) a dicembre (0,9) – quindi non così impressionante come il più 0,6 per cento dell’aumento medio dei prezzi.

 

Non a caso Benoit Coeuré, membro francese del Consiglio direttivo Bce (sostituì Lorenzo Bini Smaghi) sodale di Draghi, ha detto alla Börsen-Zeitung che il tasso d’inflazione è ancora “sottotono” e che la domanda di beni e servizi in Eurozona è debole. Non che per gli interessi tedeschi basti: Handelsblatt scrive che poiché in Germania aumenta fortemente l’inflazione e la Bce tiene i tassi vicini allo zero, il patrimonio dei risparmiatori rischia di ridursi drasticamente di 5.000 miliardi di euro, un tasso d’inflazione dell’1 per cento annienta 50 miliardi l’anno. Ora la “divergenza” può diventare un’altra arma retorica per Draghi, anche perché l’Eurozona è pur sempre un’unione economica che ripudia l’unità: la dinamica dei prezzi in Germania e in Italia è divaricata, inflazione all’1,7 contro lo 0,5; il tasso di disoccupazione in Germania, Francia, Spagna e Italia prima della crisi era simile ora è vario; il pil assoluto in Germania e Francia recupera, la Spagna cresce ma deve riprendersi, l’Italia è ai livelli del 1999. Le riforme economiche e la riduzione della pressione fiscale – spesso invocate da Draghi – possono ricomporre una divaricazione rischiosa per la stabilità dell’euro che è la ragion d’essere della Bce. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.