Foto di Thomas Galvez via Flickr

Le bufale sulla diseguaglianza nel mondo svelate con altri numeri poco noti di Oxfam

Luciano Capone

Ogni anno la notizia che pochi miliardari abbiano la stessa ricchezza di 3,75 miliardi di individui finisce sulle prime pagine dei giornali. Un esercizio per capire quanto distorte siano le affermazioni della ong britannica

Roma. Si dice che i numeri sono un po’ come gli uomini, se li torturi abbastanza a lungo, alla fine, confessano ogni cosa. Se poi siamo di fronte a dati di per sé un po’ bugiardi, con il minimo sforzo si può tirare fuori, come fa Oxfam, un rapporto che dice: “Otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità. E’ la natura stessa delle nostre economie ad averci portato a questa situazione estrema, insostenibile e ingiusta. La nostra economia deve smettere di remunerare eccessivamente i più ricchi”. Ogni anno la notizia che pochi miliardari abbiano la stessa ricchezza di 3,75 miliardi di individui finisce sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. E ogni anno bisogna spiegare – lo ha fatto ieri sul Foglio Carlo Stagnaro – che questo studio sulla disuguaglianza ha grossi limiti: i dati usati da Oxfam misurano la “ricchezza netta”, ovvero attivi meno debiti. Ciò vuol dire che tra i più poveri del mondo ci sono tutti quelli che hanno più debiti, ma avere debiti non significa di per sé essere poveri. Altrimenti bisognerebbe considerare un contadino o un bambino africano che non hanno di che mangiare più ricchi di uno studente di Harvard o finanziere indebitati.

Ma le discussioni sulla metodologia vengono puntualmente ignorate, perché molto più noiose e infinitamente meno potenti della post-verità al centro del messaggio di Oxfam: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. A questo punto, per capire quanto distorte siano le affermazioni della ong britannica, si può provare a imbastire una post-verità di segno opposto sulla base degli stessi dati usati da Oxfam: il Global wealth databook di Credit Suisse (che misura la distribuzione globale della ricchezza) e la classifica di Forbes sui più ricchi del mondo. Proviamoci.

 

Nel mondo i miliardari sono sempre di meno e sono sempre più poveri, ce ne sono 16 in meno rispetto all’anno scorso e il loro patrimonio complessivo si è ridotto di 570 miliardi di dollari in un solo anno: è la prima volta dal 2010 che la ricchezza media dei più ricchi del mondo scende, adesso è di 3,6 miliardi (300 milioni in meno in un anno). Bill Gates è più povero di 4,2 miliardi, Warren Buffett di 12 miliardi e Carlos Slim addirittura di 27 miliardi. Gli otto uomini più ricchi del pianeta hanno bruciato in un anno quasi 50 miliardi di dollari, circa il 10 per cento del loro patrimonio totale, e adesso posseggono 426 miliardi di dollari pari ad appena lo 0,16 per cento della ricchezza globale. Ma, a differenza di quanto sostengono le ong che alimentano l’invidia sociale, l’impoverimento dei più ricchi non ha migliorato le condizioni dei più poveri. Anzi. I ricchi sono più poveri e i poveri sono sempre più poveri. Quest’anno, parallelamente alla perdita di ricchezza dei super-miliardari, si è ridotta notevolmente la ricchezza del 50 per cento più povero della popolazione mondiale: se lo scorso anno la metà più povera del mondo possedeva lo 0,7 per cento della ricchezza globale, quest’anno la quota si è ridotta allo 0,2 per cento.

 

In pratica la redistribuzione della ricchezza non funziona. E la prova più evidente è rappresentata dai dati drammatici della Danimarca, il paese considerato come simbolo della socialdemocrazia e del welfare state. Con un indice di Gini che misura la disuguaglianza della ricchezza pari all’89.3 per cento, la Danimarca è il paese più diseguale al mondo: il top 10 per cento possiede il 73,7 per cento della ricchezza del paese, mentre il 40 per cento più povero della popolazione ha ricchezza negativa o nulla. Nella socialdemocratica Danimarca il 42,8 per cento della popolazione possiede meno di 10 mila dollari (meno di un’auto usata). Numeri diversi nel Regno Unito, dove l’effetto egualitario delle riforme neoliberiste di Margaret Thatcher è evidente: 16 punti in meno di disuguaglianza e la metà di famiglie possiedono meno di 10 mila dollari. Ma comunque non è abbastanza, anche in Inghilterra ci sono differenze insostenibili. Per una ong che ha come obiettivo la riduzione delle disparità, il modello non può essere né la socialdemocratica Danimarca né il neoliberista Regno Unito. Il punto di riferimento deve essere il paese che in Europa ha il livello di disuguaglianza più basso: la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko (Gini al 62 per cento). C’è il problema che il 99 per cento della popolazione ha meno di 10 mila dollari, ma l’uguaglianza prima di tutto.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali