Mario Draghi (foto LaPresse)

Draghi è pronto a chiudere l'ombrello

Claudio Cerasa

Nessuno ne parla ma l’Europa va come un treno e l’inflazione torna a salire. Bene, tranne per un dettaglio: a ottobre, secondo fonti del Foglio, la Bce può annunciare la fine del Qe. Cosa cambia per l’Italia, anche in vista del voto

C’è una notizia importante che da giorni fatica a trovare spazio sulle prime pagine dei giornali italiani e che meriterebbe forse qualche riga in più rispetto alle appassionanti strategie di Miguel Gotor e ai suggestivi piani di Roberto Speranza. La notizia è che l’Europa viaggia come un treno e cresce a un ritmo da sballo e negli ultimi mesi ha messo insieme risultati da record che vale la pena ricordare. Cominciamo? Cominciamo. Nel 2016, la crescita dell’area euro ha superato quella degli Stati Uniti (1,7 contro 1,6). L’Eurozona cresce ininterrottamente da 15 trimestri. Il suo tasso di disoccupazione è ritornato a una sola cifra (9,6). L’indice Pmi, che di solito anticipa l’andamento del ciclo economico, è in espansione da 43 mesi di fila. Il rapporto tra debito pubblico e pil è in calo per il secondo anno consecutivo.

 

Le aziende europee (inchiesta del Wall Street Journal di due giorni fa) hanno visto crescere i propri utili per la prima volta negli ultimi quattro anni e i loro titoli sono considerati oggi più a buon mercato di quelli delle società americane. E persino un paese con un debito pubblico come il nostro, come l’Italia, corre meno dei paesi più veloci dell’Eurozona, sì, ma dopo molto tempo è tornato a crescere: ieri l’Istat ha rivisto al rialzo il pil del 2016 (0,9, un decimale in più rispetto a quanto previsto), la produzione industriale cresce dell’1,6 per cento (miglior dato dal 2010), gli incassi ricavati dalla lotta all’evasione fiscale sono aumentati del 28 per cento rispetto al 2015 (seppure con la complicità della voluntary disclosure e del nuovo gettito ricavato dal canone Rai) e seppure a piccoli passi l’Italia sta provando a rimanere in scia della locomotiva europea. La crescita dell’Eurozona (ah, queste politiche di austerity…) è una buona notizia che come tutte le buone notizie non verrà raccontata dai giornali ma presenta una controindicazione importante che non si può capire senza mettere in luce un altro dato chiave che illumina meglio di qualsiasi retroscena sulle correnti del Pd il futuro del nostro paese e forse del nostro continente.

 

Le migliori condizioni economiche dell’Europa incrociate con il rialzo del prezzo del petrolio hanno permesso di riportare l’inflazione a una quota che non si vedeva dal febbraio del 2013: a gennaio ha superato ogni previsione ed è arrivata a quota 1,8, nello stesso periodo in Germania è arrivata all’1,9, e in Spagna al 3. Per molti, questi dati non saranno significativi ma lo sono invece – e qui arriviamo al succo del nostro ragionamento, che contiene una notizia importante – per la Banca centrale europea, la cui missione principale, per statuto, è mantere l’inflazione “sotto, ma vicino” al 2 per cento. Quando nel gennaio del 2015 Mario Draghi annunciò al World Economic Forum che la Bce avrebbe acquistato al ritmo di 60-80 miliardi di euro al mese – operazione che ha fatto risparmiare all’Italia qualcosa come 15 miliardi di euro all’anno per minori interessi sui titoli di stato – disse anche che lo avrebbe fatto fino a quando il tasso di inflazione non sarebbe tornato attorno al 2 per cento. Nelle ultime settimane il governatore (santo subito) della Bce ha detto che non bastano trentuno giorni di inflazione alta per tappare la bocca del cannone della Banca centrale.

 

Ma al di là delle parole ufficiali, la novità è che, secondo fonti del Foglio, per la prima volta a Francoforte il governatore sta studiando un’opzione che finora non era stata considerata neppure dai più pessimisti tra gli analisti: non una ulteriore riduzione (quest’anno il Qe passa da 80 a 60 miliardi), ma l’interruzione totale del Qe a partire dal 2018, accompagnata da un graduale rialzo dei tassi di interesse. Se la crescita economica dell’Europa dovesse essere costante, la scelta di Draghi potrebbe essere ufficializzata subito dopo le elezioni tedesche (24 settembre). A prima vista tutte queste potrebbero sembrare solo questioni tecniche ma è evidente che le mosse di Draghi potrebbero avere un effetto sulla vita politica dei paesi dell’Eurozona. La questione è semplice: senza l’ombrello della Bce, i paesi della zona euro hanno gli anticorpi per resistere in futuro a nuove possibili crisi e ad altri attacchi speculativi? L’invito rivolto ai governi di realizzare in fretta quelle riforme strutturali che potrebbero permettere ai paesi membri di crescere anche senza l’aiuto della Bce (e oggi come non mai andrebbe capito che il partito dei cialtroni tende a tradurre l’espressione “riforme strutturali” con la parola “austerità”) lo si comprende meglio utilizzando la chiave della fine del Qe.

 

Da questo punto di vista si capisce bene che anche la partita italiana è destinata a essere condizionata dalle dinamiche e dalle scelte della Bce. Fino a ottobre non si saprà nulla di ciò che deciderà Draghi, ma se le condizioni dovessero migliorare ancora la scelta della Bce diventerebbe obbligata e potrebbe avere un riflesso sulla vita del governo italiano. Il partito del voto – che in Italia sogna di arrivare alla manovra di fine anno con un governo stabile, nuovamente legittimato, capace di trattare sulla flessibilità con l’Europa con più forza rispetto a oggi – potrebbe avere un buon gioco a votare prima che si chiuda l’ombrello di Draghi e prima che il possibile aumento dei tassi di interesse possa far aumentare il costo del debito. Sintesi del ragionamento: meglio arrivare alla fine del Qe con un governo stabile e affrontare una fase di possibile instabilità senza aggiungere altra instabilità. La partita della scissione del Pd è importante, e avrà un suo peso, ma per capire i prossimi mesi dell’Italia e dell’Europa forse bisogna proprio partire da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.