Alla conquista araba della Bosnia, un resort alla volta
Dopo la guerra in Bosnia, molti foreign fighter provenienti dal Nord Africa e dal medio oriente rimasero nel paese, ottenendo la cittadinanza bosniaca dal riconoscente governo di Sarajevo. Ora sono i capitali del Golfo a scalare Sarajevo. Progetti stellari di imprenditori arabi desiderosi di sfruttare il boom turistico bosniaco e fondamentalismo strisciante.
Roma. Durante la guerra di Bosnia, centinaia di volontari arabi radicali, finanziati dai sauditi e provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, si unirono all’esercito regolare bosniaco nella sua lotta contro le forze serbe e croate. Questi combattenti vennero formalmente inquadrati nella struttura militare della giovane repubblica nel battaglione El Mudzahid, spesso operante come unità autonoma. Dopo la guerra, molti foreign fighter rimasero nel paese, ottenendo la cittadinanza bosniaca dal riconoscente governo di Sarajevo e, in alcuni casi, stabilendo comunità in zone rurali dove praticare e predicare i loro principi wahabiti. Queste comunità, come quella di Gornja Maoca nel nord-est del paese, sono attualmente ritenute le basi di indottrinamento e addestramento dei vari terroristi islamisti responsabili della serie di attentati (e di piani falliti) condotti nel paese negli ultimi anni.
Oggi, gli arabi stanno ritornando in gran numero in Bosnia, stavolta non imbracciando kalashnikov e vestendo uniformi militari, ma con valigie piene di soldi e di progetti immobiliari. I turisti middle-class del Golfo – soprattutto kuwaitiani, emiratini e qatarini – scelgono sempre di più il paese balcanico, specie l’area intorno a Sarajevo, come meta per le loro vacanze, attratti dalle bellezze naturali, i resort termali e gli impianti sciistici; l’instabilità nella loro regione, i prezzi concorrenziali e la comune fede islamica contribuiscono a tale scelta. Questa tendenza ha inoltre attirato vari imprenditori arabi desiderosi di sfruttare il boom turistico bosniaco: ma dato che la legge locale impedisce agli stranieri di acquisire direttamente proprietà, molti di essi hanno fondato compagnie immobiliari per comprare, affittare o vendere residenze turistiche ai propri connazionali. Mentre alcune di queste compagnie hanno capitali di partenza discutibilmente limitati, altre rappresentano i più ingenti investimenti esteri mai arrivati in Bosnia.
La Gulf Estate Company, di proprietà del kuwaitiano Ahmed al Kanderi, ha appena realizzato il primo resort finanziato esclusivamente da denaro arabo nel paese, un progetto da 25 milioni di euro a Osenik con 160 ville, supermercati, campi sportivi e piscine intorno ad un lago artificiale vicino alle montagne che circondano Sarajevo. Un progetto impressionante che però impallidisce se paragonato a Buroj Ozone, un piano edilizio da 4 miliardi di euro su un altopiano di 1,3 milioni di metri quadrati ai piedi dei monti Treskavica, Bjelasnica e Igman, a soli 15 chilometri dall’aeroporto della capitale bosniaca. Il progetto – una vera e propria città nuova di zecca con 2.000 ville, 60 hotel, 186 edifici residenziali, un ospedale e centri commerciali – è il fiore all’occhiello della Buroj Property Development, una compagnia di Dubai. Una dei fattori chiave nell’attirare gli investimenti arabi nel paese è la Bosna Bank International, fondata a Sarajevo nel 2000 da istituti del Golfo sulla base di principi di finanza islamica, che organizza ogni anno una conferenza per attrarre questo tipo di capitali nei Balcani.
Sarajevo (foto di Flickr)
Se le autorità e i circoli economici bosniaci hanno accolto con ampio favore un afflusso così massiccio di turisti e investitori dai paesi del Golfo, molti – sia dentro che fuori il paese – temono che i capitali arabi arrivino accompagnati da “condizioni” ideologiche e religiose, esponendo la Bosnia al rischio di un’ulteriore radicalizzazione islamista. Il numero di matrimoni celebrati illegalmente secondo la sharia – ricchi arabi che sposano donne locali come seconde o terze mogli, che restano poi nel paese in attesa delle visite occasionali dei mariti – è in costante ascesa. Recentemente, il dipartimento Immigrazione del ministero della Sicurezza ha lanciato un’indagine sulle 108 compagnie a capitale arabo presenti in Bosnia, che ha mostrato come molte di esse siano soltanto una copertura per attività di riciclaggio: alcune, partite con un capitale di 1.000 euro, hanno finito per acquisire terreni e proprietà del valore di 350.000 euro. Il boom turistico arabo rappresenta un’arma a doppio taglio per la Bosnia. I semi di una rinnovata spinta islamista, che potrebbe arrivare insieme ai soldi di investitori e turisti, renderà altamente probabile una ripetizione di quanto già accaduto con il battaglione El Mudzahid: uno scenario che Sarajevo sembra troppo fragile per contrastare efficacemente.
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