Le talpe contro il califfo
Una fonte ci racconta la caccia all'uomo che ha decimato i capi dell'Isis
Dal nostro inviato nel nord dell’Iraq. Una fonte militare curda a Erbil racconta al Foglio come funziona la caccia all’uomo contro i capi dello Stato islamico. Le operazioni per identificare, localizzare e uccidere o catturare i capi dello Stato islamico sono in corso da molto prima dell’inizio dell’offensiva per riprendere Mosul, che ieri ha subìto un’evoluzione dopo che le forze speciali dell’esercito iracheno sono entrate per la prima volta nella parte est della città. A entrare sono state le truppe del Counter terrorism service (Cts), che hanno affrettato l’operazione rispetto all’ordine di attendere che tutte le forze fossero posizionate per iniziare l’assedio. La fonte curda, che non desidera essere identificata in questo articolo, spiega che alcuni contatti dentro il territorio ancora in mano allo Stato islamico sorvegliano cosa succede e passano informazioni preziose all’esterno. Non sono militari o comunque non hanno addestramento specifico, sono semplici civili a cui è toccato in sorte di convivere negli stessi luoghi con gli uomini dello Stato islamico. Lo fanno per motivi diversi: alcuni per vendetta, perché il gruppo estremista ha ucciso parenti o amici e spesso lo ha fatto in modo umiliante, con esecuzioni in pubblico; altri lo fanno perché rimpiangono il tempo e lo stile di vita precedenti all’ascesa al potere della guerriglia islamista, in cui si poteva fumare, telefonare e guardare la tv satellitare. Queste fonti sono sparse in tutto il territorio dello Stato islamico che conta, ovvero quello in cui è più probabile si muovano i capi del Califfato: Mosul, nord di Mosul, sud di Mosul, la zona vicino a Sinjar e Tal Afar, che assieme formano un corridoio verso la Siria che è anche il luogo dove – secondo il Pentagono – il gruppo estremista è più forte. Il numero delle fonti sparse in ogni settore non supera la decina. Come è possibile sapere se una fonte ha visto qualcosa di importante oppure no, o se sta mentendo? “Ogni informazione non è presa per vera automaticamente, viene prima verificata. Di solito si chiede a qualche altra fonte nell’area di dare un’occhiata nello stesso posto, senza spiegare di cosa si tratta: se e soltanto se le informazioni combaciano, allora cominciano a essere interessanti”. Come fanno le fonti a comunicare con l’esterno? “Via telefono oppure in chat su Facebook, con alcuni accorgimenti. Per esempio una parola d’ordine che garantisce che lo Stato islamico non ha catturato la fonte e non la sta usando per spargere disinformazione. Il tutto è reso molto difficile dal fatto che nelle zone in mano allo Stato islamico mostrare di essere in possesso di un telefonino equivale a una sentenza di morte e che la linea è debolissima”. Il gruppo terrorista è consapevole dell’esistenza di questo nemico interno, uccide in piazza persone accusate a torto o a ragione di essere spie e mette su internet i filmati delle esecuzioni.
La fonte curda mostra una serie di chat che contengono avvistamenti di capi dello Stato islamico e segnalano movimenti. Sono messaggi di questo tenore: “Sette uomini dello Stato islamico adesso all’incrocio X”, oppure “avvistato l’emiro di (omissis) su una Land Rover bianca con targa (omissis) e quattro auto di scorta vicino al punto Y”, oppure ancora “diciotto uomini dello Stato islamico sono stati ricoverati nell’ospedale di (omissis)”. Quando le informazioni sono ritenute credibili, sono passate a un ufficio dei servizi segreti francesi dentro l’aeroporto militare di Erbil – un settore inaccessibile del più vasto aeroporto internazionale – che ospita i contingenti occidentali, inclusi quelli americani, francesi, tedeschi e anche italiani. I francesi hanno cominciato questo tipo di operazioni, dice la fonte, dall’anno scorso, prima del massacro di Parigi del novembre 2015. I francesi passano le informazioni agli americani, che mandano i droni di sorveglianza a studiare e riprendere la situazione. Se il filo afferrato è quello giusto, l’operazione si conclude con uno strike aereo di precisione.
La fonte non fa nomi, ma la lista dei capi dello Stato islamico uccisi nella zona di Mosul è lunga: tra gli altri Abu Muslim al Turkmeni, che per conto del capo al Baghdadi dirigeva tutte le operazioni in Iraq; Abu Aswad al Jubouri, che si occupava della sicurezza di Baghdadi; e Abu Leith al Ansari, governatore dello Stato islamico a Mosul. In alcuni casi, dice la fonte al Foglio, gli americani non puntano all’uccisione ma alla cattura e negli ultimi mesi hanno compiuto almeno due raid con elicotteri e forze speciali scese a terra, uno a Mosul e l’altro più a sud, a Hawija. Di questi due raid non si sa nulla, ma si sa per certo che i commando americani hanno fatto operazioni simili a febbraio vicino Tal Afar, dove lo Stato islamico è fortissimo, e in Siria nel maggio 2015.
Questa vulnerabilità agli informatori è il paradosso dell’organizzazione terroristica segreta che vuole diventare governo: non puoi essere entrambe le cose, o ti muovi nella segretezza o amministri i territori che hai conquistato, volere entrambe le cose senza esporsi è pressoché impossibile. Vale anche per il numero uno sulla lista degli obiettivi, il capo dello Stato islamico Abu Bakr al Baghdadi, che secondo la fonte curda è già stato avvistato dai suoi contatti sul campo almeno tre volte.
Dalle piazze ai palazzi