Foto via Getty Images

L'editoriale del direttore

La guerra unica per preservare le nostre democrazie

Claudio Cerasa

Ucraina e Israele sono un solo fronte che bisogna difendere contro gli stessi nemici. Dalla Russia e dall’Iran colpiscono 
le medesime armi. Chi nega questo offende la libertà di tutti

Pensateci. Che cosa succederebbe se i suoi confini non dovessero tenere? Che cosa succederebbe se i regimi illiberali dovessero prevalere? Che cosa succederebbe se un paese democratico dovesse cadere dinnanzi alla furia di un paese non democratico? Che cosa succederebbe se le più importanti democrazie mondiali dovessero mostrare un cedimento concreto nel sostenere una democrazia aggredita? Che cosa succederebbe se si decidesse di chiudere un occhio di fronte a chi alimenta il terrorismo? E che cosa succederebbe se dovesse essere lasciato solo contro chi ha l’obiettivo giurato di cancellare un popolo dalla mappa geografica? Se non avete capito di chi stiamo parlando, se vi state chiedendo a quale paese stiamo facendo riferimento, se vi state chiedendo se i punti interrogativi riguardano Israele o l’Ucraina, la risposta al vostro quesito è semplice: quel che vale per l’Ucraina, oggi, vale anche per Israele, e quel che vale per Israele, oggi, vale anche per l’Ucraina. È una questione ideale, una questione di visione, una questione di difesa dei princìpi non negoziabili di una democrazia, ma è anche una questione pratica, fatta di obiettivi militari, di strategie politiche, di nuovi assi del male che cercano di scardinare i vecchi equilibri delle società aperte.
 

Quello che vale per Israele vale anche per l’Ucraina perché oggi la difesa dei due paesi coincide semplicemente con la difesa dei confini delle democrazie liberali. Accettare una sconfitta dell’Ucraina, come vorrebbe qualcuno, come vorrebbe la quasi totalità dei partiti presenti in Parlamento, come vorrebbe la Lega per Vannacci premier, come vorrebbe il Movimento 5 Putin, come vorrebbe la Tarquinio Associati, così come accettare un isolamento di Israele, come vorrebbe la quasi totalità dei partiti presenti in Parlamento, come vorrebbe la Tarquinio Associati, come vorrebbe l’Internazionale degli utili idioti di Hamas, significherebbe accettare di offrire ai nuovi totalitarismi un messaggio drammatico: quello di potere agire anche nel futuro senza dovere pagarne le conseguenze. Sembra retorico dirlo ma non lo è. E vale la pena ricordarlo. Il futuro della democrazia occidentale, oggi più che mai, dipende dalla vittoria di Israele e dalla vittoria dell’Ucraina, come per fortuna ha compreso anche il Congresso americano. E le ragioni sono divergenti ma sovrapponibili. Una vittoria della Russia sull’Ucraina, come ha scritto l’Economist, sarebbe un episodio umiliante per l’occidente, un nuovo momento di Suez, e dopo aver fornito sostegno morale, militare e finanziario al proprio alleato ormai da due anni, l’America e l’Europa hanno messo in gioco la propria credibilità: una sconfitta dell’Ucraina, molto semplicemente, sarebbe anche una sconfitta dei difensori delle democrazie liberali. E simmetricamente, un isolamento e una incapacità di vincere la sua guerra da parte di Israele significherebbero abolire la linea rossa, significherebbero considerare normale avere un paese libero assediato da terroristi che vogliono cancellarlo dalla mappa geografica. Significherebbero considerare normale sparare impunemente centinaia di droni e missili contro uno dei suoi vicini, significherebbero considerare normale avere un governo in grado di  finanziare in modo indisturbato il terrorismo, lo stupro, la tortura e l’omicidio su scala industriale.
 

“Noi in Ucraina – ha detto il presidente Zelensky lo scorso 14 aprile esprimendo solidarietà a Israele per gli attacchi ricevuti dall’Iran – conosciamo molto bene l’orrore di attacchi simili da parte della Russia, che utilizza gli stessi droni ‘Shahed’ e missili russi, le stesse tattiche di attacchi aerei di massa. È necessario compiere ogni sforzo per prevenire un’ulteriore escalation in medio oriente. Le azioni dell’Iran minacciano l’intera regione e il mondo, proprio come le azioni della Russia minacciano un conflitto più ampio, e l’ovvia collaborazione tra i due regimi nella diffusione del terrore deve affrontare una risposta risoluta e unita da parte del mondo. Il suono dei droni Shahed, strumento di terrore, è lo stesso nei cieli del medio oriente e dell’Europa. Questo suono deve servire da campanello d’allarme per il mondo libero, dimostrando che solo la nostra unità e risolutezza possono salvare vite umane e prevenire la diffusione del terrore in tutto il mondo. Il mondo non vede l’ora che le discussioni continuino. Le parole non fermano i droni e non intercettano i missili. Solo l’assistenza tangibile lo fa. L’assistenza che stiamo anticipando. Dobbiamo rafforzare la sicurezza e contrastare con determinazione tutti coloro che vogliono fare del terrorismo una nuova normalità”. Zelensky ha ragione.
 

Le due guerre sono collegate per questioni morali, culturali, democratiche e anche militari. Quel che si sa, di carattere generale, è che nella guerra in Ucraina Cina, Iran e Corea del nord hanno fornito un aiuto cruciale alla Russia. Che Iran e Corea del nord hanno inviato armi. E che la Cina ha permesso all’economia russa di superare le dure sanzioni. E che questo aiuto economico offre anche vantaggi militari: la Cina sta aiutando la Russia a ricostruire la sua base militare-industriale dopo due anni di guerra (gli houthi hanno elogiato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia come un punto di svolta globale. Ali al Qahoum, un leader houthi, ha affermato che l’invasione ha indebolito “l’unipolarità” – un riferimento al potere americano – e ha promosso il “multipolarismo”). La dipendenza della Russia da Cina, Iran e Corea del nord per sostenere la sua campagna in Ucraina, ha detto qualche giorno fa  il generale dell’esercito Christopher G. Cavoli, comandante del comando europeo degli Stati Uniti, è un problema enorme: “Questi paesi stanno formando partenariati strategici interconnessi nel tentativo di sfidare l’ordine esistente. E ciò è profondamente contrario agli interessi nazionali degli Stati Uniti”. L’intreccio è evidente e persino mostruoso. Negli ultimi due anni, Teheran non ha esitato a diventare il principale fornitore di armi di Mosca e, a oggi, ha venduto migliaia di droni kamikaze e centinaia di missili balistici che hanno devastato le città e le infrastrutture critiche dell’Ucraina. In cambio, la Russia ha fornito all’Iran aerei da combattimento ed elicotteri d’attacco che in precedenza erano invece destinati all’esportazione in Egitto, una potenza allineata all’occidente.
 

Come ha riportato un articolo molto informato del Washington Post pubblicato dal Foglio qualche giorno fa, nel marzo scorso una delegazione iraniana ha visitato in Russia la fabbrica Npp Start, nella città di Ekaterinburg, sottoposta a sanzioni statunitensi per l’appoggio alla guerra contro l’Ucraina. Tra i suoi prodotti ci sono lanciatori mobili e altri componenti per batterie antiaeree, tra cui l’S-400 russo, che secondo gli analisti militari è in grado di rilevare e distruggere i caccia Stealth di Israele e degli Stati Uniti. L’Iran, non bastasse, aveva aperto un nuovo pericoloso capitolo nelle sue relazioni con la Russia, accettando nel 2022 di fornire migliaia di droni e missili per aiutare Mosca nella sua guerra contro l’Ucraina. Funzionari dell’intelligence dicono che la Russia ha fatto un “avanzamento” negli accordi, negoziati in segreto, per fornire all’Iran i Su-35, uno dei cacciabombardieri più efficaci della Russia e un aggiornamento potenzialmente drammatico per una forza aerea iraniana che consiste principalmente di aerei statunitensi e sovietici ricostruiti e risalenti a prima del 1979. La Russia si è anche impegnata a fornire assistenza tecnica per i satelliti spia iraniani e assistenza per la costruzione di razzi per portare più satelliti nello spazio. La Russia ha schierato gli S-400 per proteggere le sue basi militari in Siria e le batterie costituiscono una minaccia potenzialmente letale per gli aerei militari statunitensi e israeliani che occasionalmente operano nello spazio aereo siriano. Oltre alle migliaia di droni acquistati dall’Iran, alla fine dello scorso anno la Russia ha concordato l’acquisto di altri prodotti militari per un valore di circa due miliardi di dollari, tra cui sistemi difensivi anti drone che sono diventati una priorità assoluta per i generali russi in Ucraina. E infine, come segnalato da Zelensky stesso, la Russia, che all’inizio della guerra possedeva pochi droni da combattimento, ha iniziato a utilizzare due tipi di droni Shahed di produzione iraniana nell’autunno del 2022: lo Shahed-131 a lungo raggio e a traino e lo Shahed-136. La lezione è dunque semplice e drammatica e lineare.
 

Non si può essere a favore dell’Ucraina ed essere contro Israele. Non si può essere contro Putin e non essere contro la deriva iraniana. Non si può difendere una democrazia assediata e fischiettare di fronte all’assedio di un’altra democrazia. Non si può non capire che la guerra che si sta combattendo in medio oriente è una guerra in cui sono coinvolti già paesi di mezzo mondo (Israele, Stati Uniti, Regno Unito, Giordania, Arabia Saudita, Portogallo, Argentina, Filippine, Polonia, Francia, Germania, Austria, Australia, Italia, Canada, Ucraina, Brasile, Ungheria, Irlanda, Iran, Siria, Libano, Turchia, Cina, Yemen, Sudafrica). Non si può non capire che le stesse domande che riguardano Israele riguardano anche l’Ucraina, e viceversa. Non si può non capire che sanzionare fino in fondo la Russia senza sanzionare fino in fondo l’Iran significa non sanzionare nessuno dei paesi canaglia. E non si può capire che non è possibile difendere le democrazie a metà. Le libertà, diceva Filippo Turati, sono tutte solidali, cara Lega per Vannacci premier, caro Movimento 5 Putin, cara Tarquinio Associati, e molto semplicemente non se ne può offendere una senza offendere tutte le altre. Viva l’Ucraina, viva Israele.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.