Mafia chi? L'unica cupola che esiste a Roma è quella di San Pietro
A Roma arrivano le condanne per Mafia Capitale ma la mafia non c’è. Analisi di un processo, e di tutti i suoi flop
Roma. Dalle prime parole pronunciate dalla presidente Rosaria Ianniello, nel momento in cui ha premesso che le condanne per associazione erano riferite a due associazioni diverse, nel banco della pubblica accusa hanno capito di aver perso. Niente Mafia Capitale. L’associazione a delinquere di tipo mafioso non è stata riconosciuta come tale dal tribunale che ha invece sanzionato gli aderenti a due diverse associazioni a delinquere di tipo, diciamo così, semplice. La questione delle due associazioni che diventano una era l’impalcatura sulla quale si reggeva l’ipotesi della accusa. Il ragionamento dell’accusa partiva anch’esso da due gruppi distinti, le cooperative di Buzzi dedite a truccare gare d’appalto e a contabilizzare in nero parte degli utili e Carminati e i suoi amici che, avendo per quartier generale una stazione di servizio, si dedicavano alle estorsioni e all’usura. Quando Carminati diventa socio in alcuni affari di Buzzi, hanno sostenuto i pm, il gruppo della cooperativa 29 giugno può giovarsi dell’apporto del gruppo del distributore di benzina. Nasce così una organizzazione che condiziona e trucca alcuni appalti comunali valendosi di una “riserva di violenza” che può anche non usare e nemmeno minacciare. Basta che gli interlocutori sappiano che c’è. Sono le caratteristiche di una organizzazione che il codice qualifica come mafiosa. Il tribunale non ha accolto questa tesi. “La sentenza ci ha dato ragione solo in parte”, ha commentato il procuratore aggiunto Paolo Ielo. L’eufemismo è ammirevole ma è evidente che la parte mancante è quella decisiva. Bisognerà aspettare l’autunno, quando le motivazioni della sentenza verranno depositate, ma si può forse azzardare che il problema possa non essere di tipo giurisprudenziale o dottrinario. E’ vero che ci sono sentenze di Cassazione che riconoscono piccole mafie in ambienti anche molto ristretti e lontani dai luoghi di radicamento delle organizzazioni tradizionali ed è altrettanto vero che l’articolo 416 bis non menziona l’uso delle armi come condizione necessaria per definire mafiosa una associazione a delinquere, ma il rigetto della tesi innovativa e fondamentale dell’accusa può benissimo basarsi su di una considerazione di merito, ovvero la non avvenuta saldatura fra i due gruppi. In parole povere, il tribunale potrebbe aver ritenuto insufficiente l’ingresso di Carminati, da solo, negli affari di Buzzi per ritenere provata la fusione in una unica associazione composta da una ventina di persone che nemmeno si conoscevano tutte fra loro. Fermo restando la sconfitta della tesi principale della procura, per capirne i motivi bisognerà comunque aspettare. Restano alcune considerazioni sulle pene erogate, comunque alte.
La prima pagina con molti condizionali, molte sfumature e molti dubbi, ehm, pubblicata da Repubblica il 3 dicembre del 2014, all'indomani dei primi arresti di Mafia Capitale
Carminati non ha preso i 28 anni chiesti dalla procura ma 20 anni non sono pochi: è una pena cinque volte maggiore di quella che gli fu inflitta per il famoso furto al caveau di piazzale Clodio.
Le altre pene sono ridotte rispetto alle richieste della procura che però contenevano la pesante zavorra del reato di mafia per diciannove dei quarantasei imputati dei quali solo cinque sono stati assolti. Viene da pensare che il tribunale abbia voluto compensare la derubricazione del capo di imputazione relativo al 416 bis con una estrema severità nel computo relativo alle altre imputazioni.
La sentenza è stata particolarmente severa per alcuni imputati, non di mafia, eletti nelle liste del Pd o vicini al partito, condannati a pene superiori a quelle richieste dalla procura. In attesa dell’appello si apre per alcuni degli imputati detenuti la possibilità della scarcerazione per decorrenza termini.
Per i pochi detenuti in regime di 41 bis dovrebbe secondo logica scattare il ritorno al regime ordinario.
Così come per Roma che da ieri non è più una capitale della mafia.
L'editoriale del direttore