Essere o non essere Massimo Ranieri
"Le rose non si usano più” di Jacopo Cirillo non è un diario è un insieme di ricordi e di sensazioni, di date e di eventi per capire e scoprire l’uomo, l’artista e il mito
Da Milano a Roma in treno. Jacopo Cirillo, autore e collaboratore di Topolino, ghost writer di Paperinik, fondatore di Finzioni e scrittore, si siede al suo posto e comincia a ricordare. È in viaggio, premette, per incontrare Massimo Ranieri, il suo mito, l’uomo a cui, forse, è più affezionato da quando era bambino. Lo deve intervistare.
Tutto il libro, “Le rose non si usano più”, un mezzo verso di “Rose rosse” di Ranieri, è incentrato su questo. Sull’attesa. Su “che cosa gli chiederò?”. Non è il tipico diario, ma quasi. L’esperienza umana di chi scrive si unisce all’esperienza trascendentale di chi ama, segue, apprezza. Lo scrittore e il fan insieme. Una combo micidiale. Non nuova, perché di certe riproposizioni se ne trovano ovunque anche nel giornalismo contemporaneo, ma piacevole. Fresca. Talvolta, forse, troppo indulgente.
Il librettino che Cirillo scrive (156 pagine, 13 euro, edito da Add editore) è un insieme di tante cose, come si dice; un insieme dello Jacopo bambino, quello che passava le domeniche pomeriggio insieme a sua nonna, “una vecchina dall’età indecifrabile”, a cantare le canzoni di massimoranieri (scritto così, tutto minuscolo e tutto attaccato); e dello Jacopo adolescente, che dopo un periodo di disaffezione razionale – se ascolti Massimo Ranieri vieni preso in giro; se non l’ascolti, forse, hai un minimo di possibilità di sopravvivenza sociale – torna a raccontarlo a tutti, spiegandone i testi, traducendone il napoletano e decantandone la mitologia.
Chi è Massimo Ranieri, dove nasce, di chi è figlio. La Napoli delle sue canzoni e quell’altra, meno luminosa e promettente, della sua infanzia. In alcuni momenti, Cirillo esagera. Ma è normale: tutte le lettere d’amore, specie se così lunghe e sentite, sono ricche di esagerazioni. E lui, di Massimo Ranieri, è innamorato: non può farne a meno. “E tu da grande che cosa vuoi fare?”, gli chiedevano i parenti, i grandi delle tavolate della domenica. Lui tentennava, ci pensava e poi alla fine, tutto d’un fiato, diceva: “Massimoranieri!”
Il viaggio da Milano a Roma, quello a cui accennavamo prima, diventa una metafora - come, del resto, lo sono tutti i viaggi. E nelle tre ore e mezza che il treno ci mette per raggiungere la capitale italiana, Cirillo rivive la sua personalissima crociata, si fa conti, s'appunta domande, si addentra tra storie e storielle di Massimo Ranieri, ne sceglie qualcuna, ne scarta qualcun'altra, e ci rende partecipi, a noialtri, i lettori, della sua maratona sentimentale.
Nel fanatismo dell’autore, si incontrano inediti, storie di cui si era completamente persa la memoria; e poi si scoprono fatti e antefatti, si capisce qualcosa di più di lui, di Cirillo, e anche di Massimo Ranieri. Non è una biografia, questa. Decisamente non è un’autobiografia, perché l’oggetto – o il soggetto – del racconto non è mai presente in prima persona. E però c’è. È difficile da spiegare il perché (o meglio: non è così facile come, invece, potrebbe sembrare) ma Cirillo riesce a fare le scelte giuste perché quello che leggiamo, alla fine, non sia solo il vademecum del fan, l’adorazione su carta del sommo conoscitore del cantante – e attore e intrattenitore – napoletano. Ma pure (e anzi, forse soprattutto) il profilo dell’artista, una serie di date e di momenti compressi nella grandezza ridicola di un volumetto tascabile, rosso e azzurro, metà mito e metà storia. Ed è bello proprio per questo: perché siamo trascinati in due esperienze. Una, primaria, di chi legge. L’altra, secondaria ma ugualmente importante, di chi condivide.