Fango travestito da giornalismo di denuncia. Il caso Bonev (ricordate?)
Una sentenza conferma che le “dichiarazioni choc” dell'attrice contro la compagna di Berlusconi non erano vere né verosimili, ma false. E diffamatorie
Roma. Mentre le prime pagine dei giornali sono occupate dalle polemiche per uno stabilimento balneare nostalgico del Duce, ci sono notizie interessanti che occupano posizioni più interne e spazi più ridotti. “Si chiude con le scuse di Michelle Bonev a Francesca Pascale, insieme a un risarcimento danni di 50 mila euro, il processo nato dopo le dichiarazioni diffamatorie fatte dall’attrice bulgara nei confronti della compagna di Berlusconi”, si legge in un box a pagina sei della cronaca di Roma del Corriere della Sera. A fianco al risarcimento civile c’era anche un procedimento penale per stalking, ma la Pascale ha ritirato la querela contro la Bonev dopo che la showgirl ha chiesto formalmente scusa per aver dichiarato in una trasmissione tv di aver avuto con lei una relazione sentimentale. Ma chi è questa Michelle Bonev? Oggi non la ricorda nessuno, tanto che l’esito di questa causa viene riportato solo in un trafiletto, ma c’è stato un tempo non molto lontano in cui occupava le copertine, i giornali le dedicavano paginate e interviste. E tutto grazie a una trasmissione televisiva che ha amplificato a dismisura le diffamazioni ora oggetto della sentenza: “Servizio pubblico” di Michele Santoro.
Era l’ottobre del 2013, pochi mesi dopo le elezioni politiche, e la Bonev ridava lustro al “pentitismo delle lenzuola” per denunciare al mondo che Silvio Berlusconi non aveva cambiato stile di vita, era lo stesso dei tempi del “bunga bunga”. Lei, l’attrice che era scesa a compromessi con il Cavaliere per ottenere finanziamenti per i suoi film, svelava al mondo la perversione e la grande finzione che c’era dietro la relazione tra Berlusconi e la sua nuova e giovane compagna: “Vivono nella menzogna, vanno sui giornali dicendo che sono una coppia, ma Francesca Pascale è lesbica. Io sono stata con lei”. Non si trattava di guardare dal buco della serratura né di spiare sotto le lenzuola delle persone, dicevano Santoro e Marco Travaglio, ma di fare denuncia sociale e politica nei confronti del potere.
L’attrice bulgara – in maniera analoga a quanto si faceva con Massimo Ciancimino – veniva intervistata in video ed era presente in studio per commentare la sua intervista. Certo, il tema non aveva i contorni tragici e criminali della trattativa stato-mafia, ma come diceva Travaglio si trattava di temi di rilievo pubblico perché “è interessante sapere se l’immagine del Berlusconi fidanzato è vera o non è vera”. Anche se poi la stessa spalla di Santoro diceva che non era neppure importante che le cose che diceva la Bonev fossero vere o false, ciò che era rilevante era che “tutto è verosimile”. Pochi mesi dopo Santoro, in seguito a una transazione legale con la Pascale, fu costretto a chiedere formalmente scusa. Oggi una sentenza conferma che le “dichiarazioni choc” della Bonev non erano vere né verosimili, ma false. E diffamatorie. Tipo le ricostruzioni taroccate dal superteste e superpentito Massimo Ciancimino, divenuto famoso sempre grazie alla premiata ditta Santoro&Travaglio.
E a ben guardare lo schema era lo stesso, l’uno nell’ambito del pentitismo di mafia e l’altra in quello del pentitismo delle lenzuola, ma si trattava di persone ritenute credibili, perché avevano vissuto dentro al cerchio ristretto del potere e avevano tutto da perdere dal raccontare i segreti più indicibili. “Sarebbe stato più conveniente tenere la bocca chiusa”, era il ragionamento. E invece, come Ciancimino, anche la Bonev ha uno scatto di dignità e decide di svelare al paese la natura corrotta del berlusconismo. E per questo era importante indagare sulle presunte preferenze sessuali della compagna di Berlusconi. Perché in gioco c’era la democrazia: “Io sono preoccupata per il popolo italiano, io sono già morta – dichiarava con molto pathos l’attrice – La verità è più forte di qualsiasi menzogna”. E invece erano balle diffuse da una macchina del fango travestita da giornalismo di denuncia. La verità è più forte di qualsiasi menzogna, anche se spesso rimane in un trafiletto.