Beppe Grillo (foto LaPresse)

L'aula del Senato è sorda e grigia, dicono gli sfascisti a Cinque Stelle

David Allegranti

L’efficacia dei grillini, semmai vi sia mai stata, è ridotta agli strepiti di un comizio a uso di Facebook, alle bende sugli occhi e ai paragoni con Mussolini, condivisi da Mdp

Roma. “Poca roba, erano più efficaci ieri (martedì, ndr)...”. Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, noto anche come “Treccani dei regolamenti parlamentari”, ha appena finito di presiedere e presidiare l’aula, con i grillini a dar avanspettacolo. Robetta per uno come lui, abituato all’occorrenza a bloccare le leggi elettorali con milioni di emendamenti generati via software (non stavolta, la Lega è a favore del Rosatellum 2.0, quindi lo è anche il Calderoli). L’efficacia dei Cinque Stelle, semmai vi sia mai stata, è ridotta agli strepiti di un comizio a uso di Facebook, alle bende sugli occhi e ai paragoni con Mussolini, condivisi invero anche da Mdp. Un po’ poco per chi minacciava di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e poi deve accontentarsi di giochi di parole a sfondo scatologico sul “Merdellum”.

 

Il pubblico fuori, in piazza al Pantheon, è pronto a spellarsi le mani contro i “ladri” che stanno in Parlamento. “Un Parlamento che partorisce una, due o tre leggi incostituzionali – garantisce il senatore Vincenzo Santangelo – non è un Parlamento degno di questo nome. I senatori e i deputati che fanno parte di questo Parlamento non sono degni di essere chiamati onorevoli. Questo è un Senato dove se hai la cravatta entri, se non hai la cravatta – non la tolgo altrimenti il Presidente mi blocca – non entri. Se in questo momento mi tolgo la cravatta mi bloccano! (il senatore Santangelo si allenta il nodo della cravatta). Però se c’è una legge incostituzionale – e tutti sappiamo che è incostituzionale – non c’è un modo democratico di poterne discutere!” (Calderoli: “Senatore Santangelo, si raddrizzi il nodo della cravatta”). Vincenzo D’Anna, senatore verdiniano di Ala-Sc, racconta a Radio1 lo “spettacolo circense” cui ha assistito. “Hanno fatto di tutto”, dice lui che pure ha modi pittoreschi e linguaggio, diciamo, forbito: “Chi si benda, chi tira fuori un preservativo, chi ci fa il gesto dell’ombrello. Stiamo assistendo a un voto sceneggiato...”. A fare il gesto del vaffanculo è stato il senatore Mario Michele Giarruso, che peraltro è pure avvocato. E il preservativo? “Il profilattico lo ha tirato il senatore Ciampolillo. Evidentemente usa i preservativi, era di dimensioni abbastanza consistenti”. Il senatore Ciampolillo smentisce, dice che “era la benda annodata con cui stiamo protestando contro il ‘Rosatellum’”.

  

 

Denis Verdini, costretto a trascorrere sei ore blindato al Senato (i verdiniani servono per il numero legale, sicché nessuno può allontanarsi da Palazzo Madama), viene omaggiato dal gesto di Giarrusso e dalla senatrice Paola Taverna: “Sono indignata nel vedere Verdini passare lì sotto, votare la fiducia, guardarci e ridere. Questi hanno messo cinque fiducie...Mussolini era un pivello al confronto. Questa è dittatura: toglierci la possibilità di votare”. Ma il premio del giorno lo vince Davide Barillari, consigliere regionale del Lazio del M5s, ex candidato alle primarie contro Roberta Lombardi: “Mentre ci distraggono con AnnaFrank, in Senato oggi votano la porcata antidemocratica Rosatellum”. Poi arrivano le scuse, “la mia voleva essere una provocazione”, ma come nota su Twitter un suo follower “vabbè tanto de cazzate ne dici tante, una più una meno”. La gazzarra grillina ha un unico momento di stop, ed è quando parla Giorgio Napolitano prima dei cinque voti di fiducia, tutti favorevoli alla legge (oggi ci sarà il voto finale sul Rosatellum). L’intervento del presidente emerito, che non può stare in piedi e resta seduto e ha i fogli dell’intervento scritti a caratteri cubitali, è sufficientemente duro, riserva anche un passaggio ai rapporti fra Pd e governo e tra Renzi e Gentiloni: “Singolare e sommamente improprio ho trovato il far pesare sul presidente del Consiglio la reponsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti. Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire – e me ne rammarico – a quella convergente richiesta, proveniente da quanti avrebbero potuto chiedere il ricorso alla fiducia non già su tutte le parti sostanziali della legge, ma su punti considerati determinanti, che non ebbero e la lucidità e il coraggio di fare”. Tuttavia, nonostante le criticità, Napolitano annuncia il sì alla legge “per salvaguardare il valore della stabilità”. Accanto a lui, il senatore Ugo Sposetti lo guarda malinconicamente. Pure a lui la legge elettorale non pare granché, anche per l’iter a colpi di fiducia con cui è stata approvata. Ma neanche Sposetti può votare contro. Resta solo la malinconia.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.