l'intervista
Pagnoncelli: "Salvini insiste sull'immigrazione? La sua è una coazione a ripetere"
"Il tema della sicurezza è in crescita ma molto lontano dal picco del 2018. Le prossime elezioni si giocheranno sul Pnrr e sulle disuguaglianze. La pandemia ha ridato peso alle competenze: è la fine dell'uno vale uno". Parla il presidente di Ipsos Italia
È un tormentone estivo, lasciato suonare in sottofondo da giugno a settembre. Eppure siamo ancora sicuri che dopo la pandemia deprecare la gestione degli sbarchi, alimentando le paure in tema di sicurezza, possa davvero servire a racimolare consenso? È il tasto su cui sembra sia tornato a premere Matteo Salvini, quando accusa il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese di "non saper fare il suo lavoro". Querelle agostana a parte, segnala forse il tentativo di tornare a presidiare un certo elettorato disorientato dall'appartenenza a un governo che sul tema ha posizioni molto diverse rispetto all'intransigenza del Conte I. "Nelle ultime settimane stiamo rilevando una ripresa di attenzione da parte degli italiani, con le contraddizioni di sempre", racconta al Foglio il presidente di Ipsos Italia Nando Pagnoncelli. "Il tema migratorio ha avuto accentuazioni diverse. Nel settembre del 2018, pochi mesi dopo la nascita del primo governo Conte, ha raggiunto un picco: il 45 per cento degli italiani ce lo segnalava spontaneamente come il principale problema. Questo però a livello nazionale, perché a livello locale la quota di chi viveva il tema con preoccupazione non ha mai superato l'8-9 per cento". Poi cos'è successo? "Con l'arrivo del Covid la percentuale si è abbassata a livello nazionale fino al 13 per cento di gennaio 2021. Vuol dire che la paura per la pandemia ha sostituito quella per la sicurezza. Ma poi quest'ultima è tornata lentamente a crescere fino al 24 per cento di oggi".
È per questo che il leader della Lega torna ad agitare gli sbarchi di queste settimane come un cavallo di battaglia da campagna elettorale? Secondo Pagnoncelli "la particolarità del governo Draghi, che contiene forze politiche antagoniste, è stata quella di mettere un po' la sordina ai partiti. I quali hanno fatto una sorta di patto di unità nazionale e che però non possono rimanere del tutto silenti. Ecco che così a un certo punto riaffiorano i temi identitari. Da qui la coazione a ripetere della Lega, che ha avuto il maggior fulgore quando i temi dell'immigrazione e della sicurezza erano più elevati. Se poi si vanno ad analizzare le aree geografiche, si vede che il nord-est fa segnare un 35 per cento delle citazioni spontanee sul tema dell'immigrazione, il 9 per cento in più rispetto alla media nazionale”.
Alla base, quindi, ci sono sia ragioni di contatto con la propria base elettorale sia un po' l'ansia di Salvini di essere superato a destra dalla Meloni, in una posizione più comoda di lui perché all'opposizione. "All'interno del centrodestra i flussi sono quasi sempre un travaso all'interno delle tre principali forze. Non stanno quindi acquisendo voti dall'esterno della coalizione, o dagli astensionisti. Il punto semmai è un altro – puntualizza ancora il presidente di Ipsos Italia – È mai possibile che i partiti, dopo essere entrati in una fase nuova che io ho definito un big bang, ricomincino a puntare su temi identitari. In vista di che cosa? Delle elezioni amministrative? Abbiamo visto che a livello locale il tema non è così sentito. Per certi versi è comprensibile che si muovano utilizzando le parole d'ordine. Ma non stanno forse sottovalutando che ci troviamo di fronte a una cesura enorme rispetto agli ultimi 20-25 anni? Forse il tema dei migranti lo si poteva cavalcare quando prevedeva risposte immediate come il "chiudiamo i porti". Ma quel tipo di politica non risponde a quello che sono chiamati a fare i partiti in occasione del Recovery plan, in cui c'è bisogno di provare a immaginare il futuro e non vivere nel presentismo esasperato. Credo che sia l'occasione per distinguere gli statisti, indifferenti ai dividendi elettorali, da chi fa politica per interessi di parte".
Anche perché pure sull'euroscetticismo, i leader della destra sovranista cascano male. "Nell'aprile 2020, nel mezzo della diatriba con i cosiddetti paesi frugali, la fiducia nell'Europa era al 29 per cento. Ora invece un italiano su due si fida di Bruxelles, e per il 72 per cento degli elettori l'Italia dovrebbe rimanere salda all'interno dell'Unione", rimarca ancora Pagnoncelli. "La Lega è stata abile negli ultimi anni a intercettare il cosiddetto voto di opinione. Ma quello è un consenso volatile, più incerto del radicamento territoriale al nord, fatto soprattutto di piccoli e medi imprenditori, che hanno sempre sofferto la postura euroscettica assunta dal partito. E poi il Covid ha soverchiato la ricerca di consenso tra le diverse nicchie di riferimento".
Esercizio di scenario: su quali priorità si vinceranno le prossime elezioni politiche? "È presumibile che i progetti legati al Pnrr, i temi economici e del lavoro saranno al centro dell'attenzione, ma non solo. La sostenibilità ambientale, le disuguaglianze. E poi tre grandi effetti collaterali che ci ha lasciato il Covid: la riassegnazione di valore alla gestione del tempo, alla delega e alle competenze. Con la pandemia è finita la stagione dell'uno vale uno in ogni sfera pubblica. Non solo nella politica. È tempo che i partiti ne tengano conto".