più partiti che regioni
Regionali, in Lazio e in Lombardia peseranno più le logiche interne
Se in una o in ambedue le regioni la giunta cambiasse di segno questo rappresenterebbe un fatto politico di prima grandezza. Ma le preoccupazioni dei singoli partiti hanno prevalso persino sulla volontà di superare gli avversari
Domenica e lunedì si vota per eleggere il presidente e il Consiglio delle due regioni più popolose d’Italia e questo naturalmente, oltre al rilievo locale, ha un evidente effetto d’immagine a livello nazionale. La Lombardia è attualmente governata dal centrodestra, che ripresenta come candidato il presidente uscente Attilio Fontana, mentre nel Lazio, attualmente governato da Nicola Zingaretti del Pd, che si è dimesso per passare al Parlamento nazionale, il candidato del Pd è l’assessore uscente alla Sanità Alessio D’Amato. Se in una o in ambedue le regioni la giunta cambiasse di segno questo rappresenterebbe un fatto politico di prima grandezza.
In Lombardia il dato nuovo è la presenza di Letizia Moratti, già sindaco di Milano, già titolare del ministero della Istruzione, che era vicepresidente e responsabile della Sanità nella giunta uscente; ma ha deciso di candidarsi in alternativa a Fontana dopo che il centrodestra aveva scelto di confermare il presidente leghista e ha ottenuto il sostegno del Terzo polo. Il Partito democratico doveva scegliere se sostenere Moratti, che secondo i sondaggi avrebbe superato il centrodestra, oppure presentarsi in alleanza con i 5 stelle. Ha prevalso la seconda opzione, probabilmente in base alla considerazione che il sostegno a una esponente storica del centrodestra, per giunta di una famiglia di petrolieri, avrebbe appannato l’immagine di sinistra che il partito sta faticosamente cercando di recuperare. Ha scelto di evitare una condizione di subalternità, si vedrà se la scelta sarà premiata dall’elettorato.
Il candidato del Pd sostenuto anche da sigle della sinistra e dai 5 stelle, Pierfrancesco Majorino, insiste nell’appello al “voto utile”, ma è difficile che l’elettorato di Moratti si sposti a sinistra, e che i sostenitori del Terzo polo si uniscano a una coalizione che comprende il M5s. Le opposizioni al centrodestra lombardo, che pure nell’insieme sarebbero maggioritarie, avranno difficoltà a sfruttare l’evidente appannamento dell’immagine di Fontana. Il centrodestra, da parte sua, sembra più interessato a verificare i rapporti di forza interni, con il timore di Lega e Forza Italia di essere surclassate dal partito di Giorgia Meloni proprio nella regione in cui ambedue sono nate e hanno a lungo primeggiato.
Nel Lazio il quadro è diverso: è stato il Terzo polo a lanciare per primo D’Amato, immediatamente accettato dal Pd, che è il suo partito, il che rende coesa l’alleanza di centrosinistra, alla quale non ha aderito il M5s che ha candidato alla presidenza la conduttrice televisiva Donatella Bianchi. Il centrodestra ha scelto un candidato indipendente, Francesco Rocca, già presidente della Croce Rossa, sul quale hanno convenuto tutti i soci della coalizione.
C’è un po’ di malcontento nel gruppo dirigente locale di Fratelli d’Italia, che avrebbe preferito l’affermazione di un candidato di partito in una regione in cui esprime una forza elettorale nettamente prevalente. L’esito del confronto tra Rocca e D’Amato dipende dall’esito del terzo incomodo, i 5 stelle: il candidato del centrosinistra diventa competitivo solo se una quota degli elettori grillini voterà per lui, magari utilizzando il voto disgiunto. Un cambiamento di governo nel Lazio sarebbe meno dirompente di un analogo esito in Lombardia, dove il centrodestra governa ininterrottamente da quando è nato, quindi lo sfratto di Fontana sarebbe un colpo politico di prima grandezza; mentre nel Lazio si sono alternate giunte di segno diverso. Basta questo sguardo d’insieme per capire il peso quasi prevalente che in questa vicenda hanno avuto, e hanno, le preoccupazioni dei singoli partiti, persino prevalenti in certi casi sulla volontà di superare gli avversari.