La post verità del calcio tra fake news e giornalisti ultrà
Come contrastare la diffusione di notizie false e non verificate sullo sport? Parlano giornalisti ed esperti
“La post verità è l’interpretazione della realtà da un punto di vista emotivo piuttosto che su fatti oggettivi”, dice al Foglio Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratorio di Computational Social Science all’Istituto IMT Alti Studi di Lucca e autore di ‘Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità’. E la prima cosa che viene in mente è che il calcio, per contiguità l’informazione sportiva, sia il regno della post verità: dal tifo alla governance, dagli episodi da moviola al calciomercato, un misto per eccellenza di post verità e bufale. Al momento, però, non esiste un sistema di siti che producono metodicamente notizie false come accade per la politica, l’economia, ecc., almeno non ancora: “Un processo che non era partito in malafede fino a che non ha iniziato a generare un circuito di business. E, comunque, non possiamo dividere il mondo tra fake news e informazioni reali, nel mezzo c’è un buco grande dieci volte tanto, con tutti gli spettri del grigio”, sottolinea Quattrociocchi.
“Nella rivalità tra la Brignone e la Goggia (sci alpino, ndr) le affermazioni allusive della prima sono un fatto, così come in tutti gli sport il risultato è una verità. Nel calcio, però, l’alone di mistero che oramai aleggia dentro i club, accresciuto dal muro opposto dagli uffici stampa, favorisce un filone di notizie non ancorato alla realtà”, afferma Massimiliano Gallo, direttore responsabile de ilnapolista.it. Bufale e post verità sono una risposta all’incapacità di comprendere la complessità del mondo circostante e sui social, ricorda Quattrociocchi, c’è una fortissima polarizzazione della comunicazione, dove gruppi omofili (in sociologia: la tendenza degli individui di associarsi e creare legami con altri considerati simili per alcune peculiari caratteristiche), paragonabili alle curve degli stadi, ignorano tutte quelle informazioni che contraddicono il loro credo e danno per buone quelle a favore, anche se palesemente false, con l’intento di motivare la truppa: “Il tifoso la verità non la vuole sentire, la verità è catalogata alla voce destabilizzazione e si punta il dito contro i giornalisti che, però, in tutto questo hanno molti demeriti”, conferma Gallo. Più severo Antonio Corsa, fondatore di tre progetti editoriali di successo, Uccellinodelpiero.com, Juventibus.com e AterAlbus.it, definito da Christian Rocca “Il più bravo giornalista sportivo in circolazione (forse proprio perché giornalista non è)”: “Ci sono le invenzioni, notizie completamente inventate, la cronaca, racconto dei fatti avvenuti e giornalisticamente verificati, e la narrativa, l’interpretazione della cronaca. Nella migliore delle ipotesi, sui giornali, troviamo quest’ultima, più o meno credibile”.
Stabilito che contrastare le fake news è empiricamente impossibile, che siamo dentro questo periodo storico, mediatico se preferite, e che l’unico modo è produrre anticorpi attraverso il ragionamento, la risposta che arriva dai colleghi, mainstream e no, per contrastare il fenomeno si basa su tre elementi cardine: l’autorevolezza (reputazione), la qualità e il linguaggio, con alcune differenze. “Come mi ha fatto notare uno studioso dell’Accademia della Crusca, il nostro parlato si sviluppa principalmente in termini di vittoria e sconfitta, ho vinto, ho perso, dimenticando tutto il percorso, la fatica, che si è fatto per raggiungere un obiettivo. Non c’è educazione alla sconfitta e diventa questione semantica”, sostiene Antonio Montanaro, vice caporedattore del Corriere Fiorentino (edizione toscana del Corriere della Sera), che da tempo si occupa di linguaggio giornalistico, sportivo in particolare. Questo tipo di comunicazione, nel calcio, si è polarizzata al punto tale da non essere più soddisfatti della vittoria in sé e sfociando nel desiderio di vedere completamente annientato l’avversario, nemico: guerra combattuta, in particolare sui social, a suon di fake news e post verità. Vittoria e sconfitta, inoltre, sono oramai diventate paradigmi del linguaggio quotidiano, che occupa ogni ambito della nostra vita, politica e sociale in primis.
Scarico, transizione, la squadra che sale, cioè va all’attacco, sono solo alcuni vocaboli di un linguaggio tecnico che negli ultimi anni ha preso piede, soprattutto in televisione: “Per me ha ragione Pizzul, si vuole fare diventare scientifico ciò che scientifico non è, perché nel calcio non tutto corrisponde a regole matematiche o statistiche, l’imprevedibilità ha un ruolo e può capitare che vinca chi gioca peggio”, evidenzia Montanaro. “La capacità di analisi tattica di Lele Adani è straordinaria e ascoltarlo è un piacere. Ritengo sia un plus poterne parlare in televisione, oggi molto più di un tempo, anche se a volte si viene accusati di adattarla a seconda del risultato, ma ritengo questa una distonia perché si tratta di calcio non di ballo, chi segna vince. Giocare bene non da alcun diritto alla vittoria, perché se costruisci palle gol ma non segni e gli altri si difendono bene e segnano vuol dire che hanno attaccanti più bravi. Se vincesse sempre il più forte sai che noia, a volte l’astuzia e l’ingegno, quindi la tattica, riescono a prevalere sulla superiorità tecnica e fisica”, rimarca Paolo Condò, giornalista di Sky Sport e presenza fissa di Sky Calcio Show. Daniele Manusia è direttore responsabile (senza tessera dell’Ordine) de l’Ultimo Uomo, magazine online di sport e cultura che oggi conta un milione e mezzo di lettori il mese: “Il calcio è tecnico, perché non dovrebbe esserlo il linguaggio? Lo diceva pure Gianni Brera, che per spiegarlo coniava parole nuove. Il giornalismo sportivo italiano ha rinunciato a una collaborazione col mondo professionale, così le domande sono solo provocatorie o retoriche, sottintendendo l’errore dell’allenatore e creando un clima tossico. Alle fake news io non contrappongo la verità bensì la voglia di conoscere l’argomento di cui si parla, sia per il giornalista, che per il lettore. Noi cerchiamo di fare giornalismo gli altri intrattenimento, che però è un modello economico non giornalistico”.
Manca, secondo Manusia, la fiducia nel lettore, nella sua voglia di approfondire, convinto (i numeri gli danno ragione) che la qualità informativa paghi, piuttosto che pubblicare tutto il peggio su Juventus-Napoli (di Coppa Italia) come hanno fatto i quotidiani sportivi, cercando di essere accondiscendenti con la tifoseria target e provocando quella che non lo è, surfando sulla post verità dell’una e dell’altra: “I lettori hanno una pessima idea dei giornalisti, i manager dei lettori, ma alla fine vogliamo tutti la stessa cosa: dialogare e conoscere”. “Il lettore è attento, ti segue, e gli è abbastanza chiara tutta la realtà che c’è intorno al calcio, poi esiste la dittatura dei click, tremenda”, ribadisce Gallo. “Invidio quei colleghi capaci di rispondere agli insulti sui social a me mettono tristezza. Posso accettare che tu non la pensi come me, che addirittura mi dica che non capisco niente ma non che sono venduto, perché io sono onesto”, garantisce Condò. Ma è evidente che nella declinazione vittoria-sconfitta, amico-nemico, sia più semplice comprendere una realtà intrisa di passioni personali, piuttosto che argomentare, senza contare che in questa interazione pare ripetersi quella tra popolo e élite: “Si fa largo l’idea che l’esperienza o l’espertismo sia paragonabile alla scienza e alla preparazione scientifica, passando dall’élite all’èra degli incompetenti. Il problema si pone anche perché le élite non mollano l’osso, parlano di Internet, visto come Satana, usando paradigmi dell’Ottocento e non abbracciano l’innovazione perché sottovalutano il cambiamento radicale in atto” dichiara Quattrociocchi. Curioso che nello sport, nel calcio, questa contrapposizione sia soprattutto tra lettori-tifosi da una parte e giornalisti-casta dall’altra, con la vera élite chiamata(si) volutamente fuori, quando invece si ha la netta percezione che proprio l’industria calcistica alimenti le bufale e nemmeno in buona fede.
“Raccontare il calcio attraverso i giornalisti-tifosi (‘giornultrà’, ndr) lo trovo senza senso, trovo orrendo come si fa giornalismo in certe radio e in certe televisioni dove si applica la par condicio della pancia senza sviscerare seriamente l’argomento”, asserisce Corsa. “Conosco colleghi che alla radio di Napoli sono tifosi del Napoli, a Roma della Roma o della Lazio, a Firenze della Fiorentina, e stiamo parlando della stessa persona”, rincara Montanaro. “Il giornalista che si occupa di una squadra deve sempre stare dalla sua parte, ma così è come appendersi un cartello al collo con la scritta: non sono credibile”, aggiunge Gallo. Tutti concordi sul fatto che il giornalismo sportivo italiano era più autorevole trent’anni fa e che manchino figure nobili della professione come Brera, Caratelli, Mura, capaci di tenere la barra dritta e anche le giuste distanze. “L’autorevolezza e la reputazione sono importanti, con una differenza, una volta avrei detto della testata oggi preferisco dire del singolo giornalista: più una testata ha giornalisti autorevoli più lo sarà a sua volta”, conclude Condò. L’impossibilità di assistere agli allenamenti, sempre più segreti e secretati, l’impossibilità, di fatto, di poter fare interviste senza il filtro della società non aiutano né l’autorevolezza del giornalismo né la lotta alle fake news e alla post verità. Senza dimenticare che i club, negli ultimi anni, si sono impadroniti dei mezzi d’informazione mainstream col meccanismo dei diritti televisivi e utilizzano siti e social per comunicare direttamente col tifoso-lettore, facendo tacitamente a meno dell’intermediazione giornalistica, come ha fatto l’Inter con la presentazione di Gagliardini.
Il closing del Milan, l’emiro che avrebbe dovuto acquistare il Napoli da De Laurentiis e la narrativa della tragica finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina, dove è stata rendicontata solo la trattiva con la curva napoletana e non quella con la curva fiorentina, sono tre esempi di eventi raccontati oscillando tra post verità e fake news. Senza contare la moviola, gli episodi dubbi di una partita (con diatribe infinite sui precedenti giudicati diversamente, lì dove l’evoluzione inciampa) e quella che Condò definisce, tristemente, autopsia di un match. “Lo sport è passione, ci mancherebbe altro. Il problema è la manipolazione della percezione della notizia, confezionata per provocare una determinata reazione nel lettore, cambiandone l’umore. Se il tifo per una squadra di calcio cambia la vita delle persone è un problema sociale non giornalistico, ma i media quanto contribuiscono?”, si chiede Manusia che sottolinea come l’approccio italiano al tifo sia diverso rispetto all’estero, tanto da contaminare anche l’appassionato di Nba piuttosto che di altri sport, meno arrabbiato riguardo a una disputa sul derby Roma-Lazio ma sempre polarizzato, aspetto quest’ultimo che resta però comune a tutte le lingue social del mondo (Quattrociocchi dixit). “Lo spirito critico” replica Gallo “provoca nel tifoso dolore e fastidio, ma l’unica salvezza è fare il giornalista”, scansando bufale e post verità, con o senza tessera.