A Capodanno dedicatevi all'arte. Ecco le mostre da non perdere
I consigli per finire il 2018 con un appuntamento culturale in Italia all'estero. E se non ce la fate non preoccupatevi, potete recuperare nel 2019
La prima scena del film che, ormai tanti anni fa, su di lui ha fatto Julian Schnabel, mostra il bambino Jean Michel accompagnato dalla madre a vedere Guernica di Picasso. La donna si commuove, poi si volta verso il figlio e vede apparire sul capo del piccolo una corona illuminata. Si tratta di un apologo che interroga l’opera di qualsiasi pittore del secondo Novecento. I pochi anni della carriera di Basquiat sono ripercorsi nella mostra di Parigi con capolavori che, in alcuni casi, non hanno mai attraversato l’Atlantico. E’ l’occasione per verificare con i propri occhi se la corona sulla sua testa si accenda davvero di luce.
Parigi, Fondation Louis Vuitton. “Jean Michel Basquiat”. Fino al 21 gennaio
info: fondationlouisvuitton.fr
L’opera di Mapplethorpe ci espone a due tentazioni opposte: quella di appiattirla al lato oscuro e proibito o quella di ridurla alla componente luminosa e colta. L’intreccio è inestricabile. Tuttavia, anche nelle immagini più disturbanti ed estreme, si palesa il suo maniacale controllo della forma. Mapplethorpe domina ogni centimetro quadrato dell’inquadratura come un regista spietato. Questa ferocia del controllo ha un che di titanico. E’ una sfida al caos: la volontà di ricreare un ordine dentro al vortice delle passioni. Un grido gelido. Disperato.
Napoli, Madre. “Mapplethorpe. Coreografia per una mostra”. Fino all’8 aprile
info: madrenapoli.it
“Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello ‘somigliano’; sono l’idea stessa, l’archè, della somiglianza”. Leonardo Sciascia rompe l’afasia che ci prende quando siamo di fronte a un’opera qualsiasi di questo numero primo della pittura. A Palazzo Abatellis arriva quasi la metà dei quadri che di lui si conoscono e vengono accolti dall’ineguagliabile intreccio di dolcezza e mistero dell’Annunciata di Palermo, conservata – scrigno degno per un diamante così puro – nell’allestimento di Carlo Scarpa. Da svenire. Portatemi i sali.
Palermo, Palazzo Abatellis. “Antonello da Messina”. Fino al 10 febbraio
info: mostraantonello.it
Il 2018 se ne va e stavamo dimenticandoci che sono ormai vent’anni che dobbiamo fare a meno di Mario Schifano. Il sottotitolo della mostra è “Al principio fu Vero amore” e fa riferimento al primo quadro del pittore romano esposto dalla galleria di Giorgio Marconi. Le altre mostre si intitolavano “Inventario con anima e senza anima”, “Tuttestelle”, “Compagni, compagni”, “Paesaggi TV”. Che bei titoli. Che bei quadri. Sono immagini arcinote, i suoi grandi capolavori. Torni a guardarli e non ti stanchi mai. Sarà per quella loro natura felina, come la definiva Goffredo Parise. La pittura del puma.
Milano, Fondazione Marconi. “Omaggio a Mario Schifano”. Fino al 14 febbraio
info: fondazionemarconi.org
Il visitatore è accolto da un trittico di marmi, e come potrebbe essere diversamente per una mostra sul Romanticismo, ad alto contenuto emotivo: lo “Spartaco” di Vincenzo Vela, il “Masaniello” di Alessandro Puttinati e dalla “Fiducia in Dio” di Lorenzo Bartolini. Attorno si snoda un percorso tematico che squaderna il contributo italiano al movimento che, un po’ distrattamente, si assocerebbe esclusivamente a Inghilterra, Russia e Germania. Sì, Friedrich e Turner ci sono. Ma la truppa italiana si scopre molto folta e ben equipaggiata. In testa c’è Francesco Hayez, gli altri nomi sono da scoprire e riscoprire.
Milano, Gallerie d’Italia. “Romanticismo”. Fino al 17 marzo
info: gallerieditalia.com
Immagine del vespro, Vesperbild. Così la chiamavano i tedeschi che l’hanno inventata nel XIV secolo. L’ora in cui, al calar del sole, la Madonna accoglie tra le braccia il corpo del figlio morto. Il momento del dolore per antonomasia, quello a cui non si riesce a dare il nome. Un’iconografia, come si vede in mostra, che ha attraversato la storia fino ai vertici, così diversi, toccati da Michelangelo. Della “Pietà” vaticana, si può vedere un gesso preciso al millimetro. La “Rondanini” è lì a pochi passi, con la sua scandalosa attualità. La sua ruvidezza balcanica. La sua eleganza siriana.
Milano, Castello Sforzesco. “Vesperbild. Alle origini delle Pietà di Michelangelo”. Fino al 13 gennaio
info: milanocastello.it
Assente nei nostri musei, rimasto un carneade a sud delle Alpi nonostante il suo amore per l’Italia, Max Beckmann è stato una scossa per la pittura del Novecento. Di lui scriveva Giovanni Testori: “Per quanto riguarda la figura umana, in tutta la metà del secolo, una simile pienezza noi la conoscevamo, seppure su opposti versanti, solo in Matisse e Picasso: ed è alle loro altezze che Beckmann domanda d’essere attribuito”. Forse, questa volta, vale la pena avventurarsi in questo angolo della provincia svizzera. E’ solo a un’ora di auto da Milano.
Mendrisio (Svizzera), Museo d’arte. “Max Beckmann. Dipinti, sculture, acquarelli, disegni e grafiche”. Fino al 27 gennaio
info: museo.mendrisio.ch
“Che bisogno c’è di piangere momenti della vita? La vita intera è degna di pianto”. La scritta, in inglese, citazione dal “De Consolatione ad Marciam” di Seneca, è composta da lettere di neon che occupano una grande parete della galleria milanese e la inondano di luce rossa. La forza di Alfredo Jaar, al netto di tutta la retorica politica, sta nel non ridurre il problema della vita in quanto tale. E’ così anche in “Shadows”, l’immagine di due contadine del Nicaragua del 1978 che, appresa la notizia della morte del padre, alzano le mani al cielo. La loro sagoma diventa una fonte di luce accecante.
Milano, Galleria Lia Rumma. “Alfredo Jaar. Lament of the Images”. Fino al 19 gennaio
info: liarumma.it
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