Matteo Salvini a Piazza Duomo

Opzioni possibili in caso di peggior scenario dopo le elezioni

Costantino della Gherardesca

Salvini che sventola il Vangelo in piazza e un pensiero: che ne sarà di me?

Nonostante sia fiero delle mie idee progressiste, non sono mai riuscito a farmi allarmare dalle sparate fascistoidi del conservatore di turno. Ho sempre creduto che più grosse sono le puttanate reazionarie che un politico è disposto a dire, più alta è la probabilità che stia recitando per raccattare consensi tra le fasce più diseredate della popolazione, cioè in quel segmento demografico in cui l’inbreeding e l’analfabetismo funzionale si uniscono per dar vita al pubblico del pomeriggio di Canale 5.

 

Per quanto si sforzino di farmi vomitare, tutti questi surfisti della paranoia collettiva non hanno mai lasciato un segno indelebile nella mia memoria. Sono troppo vecchio e troppo milanese per credere che i politici brutti e cattivi, quelli che nella mia filter bubble sono considerati l’equivalente umano della fimosi, siano crudeli come vorrebbero dipingersi.

 

Per esempio, un paio di settimane fa – per puro caso – ho incontrato Matteo Salvini. Ero al “Corriere della Sera” per girare una breve intervista e, mentre aspettavo che mi chiamassero, non ho potuto fare a meno di notare un via vai febbrile lungo i corridoi. Non serviva l’ipersensibilità di un focus group del Moige per accorgersi che, nascosto da qualche parte nel palazzo, c’era un pezzo grosso in visita.

 

“Scusi” ho chiesto a un tipo che scarpinava trafelato, “ma dove correte tutti?”.

 

“Be’, sa” mi ha risposto, con gli occhi rapiti e la vocina da cospiratore, “nella stanza lì in fondo c’è Salvini”.

  

Sarà stata la curiosità o un latente desiderio di farmi bullizzare da un portatore sano di felpe personalizzate, fatto sta che appena ho saputo di ritrovarmi a due passi da Salvini non ho saputo resistere: dovevo vederlo.

 

Mi sono infilato in una piccola sala riprese e l’ho visto. Era da solo, nel bel mezzo di un set pieno di attrezzature e si fissava in piedi, attento a non inciampare tra i cavi delle telecamere e dei faretti. Non credo avesse voglia di parlare con qualcuno e forse percepiva una certa ostilità tra la gente che lo circondava. A vederlo così, mi ha quasi fatto tenerezza: annoiato, un po’ gonfio, provato dalla campagna elettorale. Visto che ci trovavamo in un mini-studio televisivo, era come se giocassi in casa, quindi mi sono fatto coraggio e l’ho avvicinato.

  

Tutto è andato come previsto: una chiacchierata breve, informale e piacevole, mentre il mio agente, come uno zoologo davanti a due unicorni in amore, documentava lo storico incontro con il suo smartphone. Se mai un giorno ci sarà una nuova Norimberga, spero con tutto il cuore che quelle foto non vengano mai a galla: farei la fine di Hermann Göring.

 

Insomma, quei minuti di conversazione sono stati sufficienti a confermarmi quanto ho sempre pensato a proposito di questi populisti: fanno tutti la voce grossa contro gli stranieri, ma nessuno di loro – ottenuti i voti e la poltrona che tanto brama – avrebbe il coraggio (o il potere) di ricorrere alle ruspe e alle deportazioni di massa.

 

O, almeno, questo è quel che ho creduto fino al 24 febbraio, cioè fino a quando non ho visto Matteo Salvini sventolare il Vangelo durante il suo comizio in piazza del Duomo.

 

La stessa cosa mi era capitata anni prima con Beppe Grillo. Per molto tempo l’ho considerato uno dei tanti ricchi annoiati che, stanchi di comprare yacht, un giorno decidono di comprarsi l’opinione pubblica di un’intera nazione. Fino a quando qualcuno mi ha mostrato un video in cui Grillo sosteneva che l’Aids era una bufala. Il tutto tra gli applausi scroscianti di un pubblico che con ogni evidenza crede che i tumori si curino con la preghiera e l’urinoterapia.

 

Ecco, diciamo che negare l’esistenza dell’Aids e sventolare libri religiosi in pubblico sono lo spartiacque tra “viviamo in un Paese di pagliacci in cui certi politici dicono delle cose razziste e reazionarie per ramazzare voti” e “vado in banca a prelevare i miei smeraldi dalla cassetta di sicurezza e chiedo asilo politico ad Al-Sisi”.

 

Quando ho visto Salvini impugnare quel Vangelo, ho capito come poteva sentirsi Farah Diba durante i comizi di Khomeini. Allora mi sono chiesto: “Che cosa succederà se questi personaggi (magari tenendosi per mano in una coalizione da incubo) conquisteranno Palazzo Chigi dopo le elezioni di domenica? Che ne sarà di questo Paese? E, soprattutto, che ne sarà di me?”.

 

Non essendo ricco e orfano come Batman, le mie possibilità di sopravvivenza sono pericolosamente esili. L’inutile istruzione che ho ricevuto in Inghilterra mi ha insegnato Shakespeare per quattro anni e Kant per altri quattro: otto anni in cui avrei potuto imparare il cinese e l’arabo alla perfezione. Ecco perché, se avete i fondi necessari per avere dei figli, vi consiglio di far loro imparare delle lingue, oltre ai meccanismi della finanza e dell’economia. 

 

Non permettete che facciano il mio stesso errore: ora sono costretto a lavorare per mantenermi. A lavorare in Italia.

 

Dopo aver visto Salvini usare il Vangelo come un ventaglio, ma soprattutto dopo aver assistito all’ascesa dei 5 Stelle, mi sarei trasferito a Mayfair. E l’Italia me la sarei ricordata una volta alla settimana, al ristorante di pesce Assunta Madre a Blenheim Street, scambiando due parole col cameriere.

 

“Giovanni caro, mi puoi portare sei ostriche irlandesi?” e in un impeto di patriottismo interclassista gli avrei chiesto: “Come sta la famiglia? Sei tornato in Italia a Natale?”.

 

Dopo aver appreso che Giovanni è rientrato in Italia per Natale, toccato dal dramma umano, gli avrei lasciato almeno 50 sterline di mancia.

 

Ma questi sono solo sogni e in realtà io non ho un posto dove fuggire.

 

Per mia somma sfortuna non parlo arabo e non sono bello, quindi non posso trovare un lavoro a Physique Tv di Dubai, l’unico canale HD che offre 24 ore su 24 consigli di fitness, salute e lifestyle in arabo e in inglese. Mi tocca restare qui e sperare che la nuova terrificante classe dirigente mi tenga come pagliaccio da prendere a torte in faccia durante il discorso di fine anno. O magari potrebbero vestirmi da Soros e bastonarmi come una piñata alle feste dei loro bambini svaccinati.

 

L’unica cosa che non mi preoccupa di questi spaventosi populisti è il loro inconfessabile desiderio di sottoporre gli omosessuali alla castrazione chimica. Per quanto mi riguarda, possono star tranquilli. Sotto quell’aspetto, io mi sono già portato avanti.

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