Va bene tutto, pure l'eliminazione fisica dei poveri, tanto non ce ne accorgiamo
Prendiamo il caso di un paese immaginario, in cui si stabilisce, legittimamente, un governo autoritario, classista, sessista e dichiaratamente razzista. Una cronaca distopica ed estremamente verosimile
In democrazia è molto facile farsi belli parlando in difesa dei diritti dei più deboli, ma come si possono imporre le ragioni dei più forti?
Prendiamo il caso di un paese immaginario, in cui si stabilisce – legittimamente, grazie al voto popolare – un governo autoritario, classista, sessista e dichiaratamente razzista. L’indomani i social, la stampa e la televisione farebbero a gara a chi spezza più lance in favore dei poveri, dei migranti, delle donne e di qualsiasi sfumatura della comunità Lgbtq.
Molti pensatori, giornalisti, opinionisti e influencer si scontrerebbero per ribadire chi tra loro è più amorevole, tollerante e accogliente. Ben pochi, invece, avrebbero la faccia tosta di schierarsi apertamente a favore di leggi che colpiscono con scientifico accanimento le categorie più fragili. In particolare, nessuno avrebbe il coraggio di schierarsi apertamente con le posizioni di un ministro dell’Economia che suggerisce di eliminare il debito pubblico infierendo brutalmente sui poveri, cioè quella gente che paga le stesse tasse di un cittadino svedese, ma in cambio riceve servizi paragonabili a quelli disponibili alla periferia di Kiev.
Prendiamo allora proprio il caso di questo ipotetico ministro, esponente di questa nuova destra che secondo tutti va lasciata lavorare, un economista visionario che un giorno si sveglia con un’illuminazione e trova il modo per combinare in una sola legge ben due delle più grandi paure dell’essere umano: la povertà e la morte (qui elencate nel mio personale ordine di priorità). Arrivato davanti ai suoi colleghi, il ministro – trattenendo a stento l’orgoglio – espone la sua idea.
“Si tratta di una misura molto semplice”, dice. “Mi è venuta leggendo un libro di fantascienza”. I colleghi alzano di colpo gli occhi dai loro smartphone, chiudono Grindr e cominciano ad ascoltarlo. “In pratica”, riprende il ministro, “si potrebbero radunare tutte quelle persone che in banca hanno meno di cinquemila euro…”. Alla parola radunare, i colleghi si fanno ancora più interessati. “… Insomma, le prendiamo e prosciughiamo i loro conti. I soldi finiscono nelle casse dello Stato e il debito pubblico sparisce in un paio di settimane”. “Ma scherzi?”, risponde un sottosegretario di lungo corso. “Il giorno dopo ci ritroviamo appesi per gli alluci in piazza San Giovanni”. “Aspetta”, lo tranquillizza il ministro, “non hai sentito la parte più bella. Per tutti questi morti di fame, eutanasia obbligatoria”. Tutti si voltano verso il sottosegretario, in attesa della sua reazione. “Mmm… è una grande trovata”, dice, e i colleghi annuiscono felici, “ma inapplicabile. Sei il solito sognatore. Sai benissimo che ci darebbero tutti contro”. I colleghi, che prima sembravano rapiti dalla discussione, ora cominciano a prendere per il culo il povero ministro sognatore e, uno per uno, riaccendono gli smartphone.
Mettetevi nei panni di questo politico: un uomo preparato, pieno di belle idee, ma costretto a scontrarsi con una realtà spietata. Come potrebbe imporre la sua visione futuristica a un paese gretto come quello in cui gli è toccato nascere?
“Però…”, dice il sottosegretario, riportando la sala al silenzio. “Una soluzione ci sarebbe”. “Ah sì? Quale?”, dice il ministro, speranzoso. “Semplice, diciamo che vogliamo togliere ai gay il diritto di sposarsi. Faranno un tale casino che nessuno darà troppo peso ai nostri rastrellamenti”. Si sente un colpo secco, seguito da altri colpi identici. Sono gli smartphone che i colleghi, presi dallo stupore, lasciano cadere sul tavolo, uno dopo l’altro. Un secondo dopo, parte un coro di “Genio!”, coperto solo dagli applausi.
Il giorno dopo l’annuncio del dietrofront sui matrimoni omosessuali, il paese è stravolto dall’indignazione. Social, stampa e tg non parlano d’altro. In televisione anche personaggi insospettabili sfoggiano accessori arcobaleno, mentre i più militanti esibiscono magliette con su scritto “Siamo tutti froci”. Nessuno parla di crisi economica, nessuno si preoccupa dei tassi di disoccupazione, nessuno dà peso all’onda xenofoba che scuote le strade, nessuno piange i migranti che annegano in mare: tutti si vestono di rosa, srotolano gli striscioni iridati e si precipitano in strada a difendere il diritto di mettere su famiglia e battezzare i propri figli.
Nel frattempo, nell’indifferenza generale, il nostro ministro visionario riesce a far passare la sua legge ammazza-poveri e, un istante dopo, il suo collega al ministero della Famiglia convoca una conferenza stampa. Indossa una cravatta arcobaleno e ammette la vittoria della piazza: “Il paese ha parlato e io faccio un passo indietro. Il matrimonio gay non si tocca”. Poi, sorridendo dritto in camera, dà il colpo di grazia: “Siamo tutti froci”.
Le manifestazioni dei giorni prima, anziché fermarsi, aumentano. Solo che stavolta sono cortei gioiosi, pieni di promessi sposini Lgbtq che non vedono l’ora di coronare il proprio sogno d’amore. Nessuno dei manifestanti si accorge che gli agenti ai lati del corteo si fanno sempre più vicini. Tutti sorridono, agenti compresi. E’ una grande festa di popolo.
Fino a quando un giovane manifestante si sente prendere per un braccio. Avverte un bruciore. Un agente gli ha appena iniettato una dose di veleno letale. Il ragazzo aveva meno di cinquemila euro in banca.
“Ma come si permette”, dice il ragazzo. “Io ho i miei diritti!”. “Certo, tranquillo…”, lo rassicura l’agente, mostrandogli con orgoglio il suo manganello arcobaleno. “Come dice il ministro: ‘Siamo tutti froci’”. “Non può farmi questo solo perché sono gay!”. “Ma no, per chi mi hai preso! Lo faccio perché sei povero”.