Lo strano senso morale dell'algoritmo di Facebook
Il social blocca chi usa la parola frocio. Ma ci sono cose ben peggiori che si possono fare senza rischiare di essere sbattuti al confino per trenta giorni. Eccone dieci
Qualche giorno fa, tornando a casa dopo tre settimane di lavoro e una breve parentesi di sfinenti pseudo-vacanze nell’urban sprawl pisano, mi sono ritrovato davanti a uno spettacolo agghiacciante. I tre faretti Flos, che avevo chiesto di sistemare durante la mia assenza, erano ancora lì come li avevo lasciati: fulminati, inutili, orrendi. Uno di loro, addirittura, penzolava senza vita dal controsoffitto, come un parlamentare inglese dopo una sessione di asfissia autoerotica. Inorridito da una visione così disagiata, sono corso a sfogarmi sui social. Dopo una breve diretta Instagram in cui ho lasciato trasparire tutta la mia indignazione (finalmente per una giusta causa), ho deciso di fare lo stesso su Facebook, postando una foto di quello scempio all’interior design che, come ho scritto nelle due righe che accompagnavano l’immagine, “per un frocio equivale al Vajont”. Ho avuto giusto il tempo di raccogliere qualche meritato messaggio di sostegno psicologico e, pochi minuti dopo, la mia indignazione online ha ricevuto un’ulteriore dose di argomenti per salire di livello e intensità: sono stato bannato da Facebook. Per un mese.
“Per quale motivo?” vi chiederete. Be’, a quanto pare, secondo gli standard dell’allegra e ultrasensibile comunità di Menlo Park, l’uso della parola “frocio”, nonostante fosse chiaramente (e orgogliosamente) rivolta a me stesso, non è accettabile perché denota omofobia. Dentro di me è scattata una battaglia spietata tra gli spiriti che da sempre convivono, con non poche difficoltà, in quel che resta della mia coscienza: quello di Laura Boldrini e quello di Leigh Bowery. Da una parte mi sentivo dire: “Costantino, non prendertela… L’algoritmo ha le sue ragioni. Pensa a quanti usano quell’orribile parola per insultare e umiliare dei poveri ragazzi indifesi”, dall’altra il mio ego ruggiva: “Hai il diritto di sfoggiare tutta la tua queerness! Questo algoritmo non distinguerebbe un omofobo populista da un paio di orecchini Nuage di diamanti e zaffiri di Graff! Tu puoi dirti frocio quanto ti pare”. Dopo ore di conflitto interiore, ho deciso di dar retta a Leigh Bowery e di andarmi a cercare quante cose ben peggiori che dirsi frocio si possono fare su Facebook senza rischiare di essere sbattuti al confino per trenta giorni. Ce ne sono una valanga, ma per ragioni di spazio io mi sono fermato a dieci:
1) diffondere xenofobia a qualsiasi livello, inventandosi invasioni di pericolosi criminali stranieri con l’hobby per lo spaccio compulsivo e lo stupro seriale;
2) inneggiare alla violenza di qualsiasi genere ai danni di una donna, e poco conta che si tratti di una personalità celebre e potente (cioè fornita di avvocati) o di una anonima signora (cioè una che le minacce se le deve tenere e dormire con un occhio aperto);
3) augurarsi che un omosessuale venga picchiato/violentato/sfigurato/eccetera per il semplice motivo che si è permesso di non restare chiuso in casa a pregare in un intervento divino che lo converta alla sorca. Quel che conta è non dargli del frocio, in quel caso è omofobia;
4) sostenere sistematicamente un regime militare come quello di Duterte, per la cui ascesa al potere Facebook è stato strumentale (se non addirittura indispensabile, così come per i suoi equivalenti italiani);
5) fare apologia di fascismo mascherandolo (ma neanche tanto) da nostalgia per un tempo in cui i Veri Valori Italiani erano patrimonio della nazione tutta. Veri Valori Italiani come il menare tua moglie e il rinchiudere in casa i figli con problemi mentali;
6) fare ridicole (tanto infondate quanto efficaci) campagne di killeraggio politico ai danni di chiunque si permetta di dire che sarebbe carino avere un treno ad alta velocità o un parcheggio sotterraneo in centro;
7) blastare la gente approfittando della propria posizione di potere e di una corte di fan che giudicheranno geniale qualsiasi sfiatatissimo gioco di parole che ti inventerai per umiliare la vittima di turno e gonfiare il tuo ego;
8) postare classifiche di fine anno;
9) postare le foto dei figli (per i più hardcore, le ecografie);
10) alimentare le catene di sant’Antonio.
Queste e molte altre cose orrende vanno benissimo per gli standard della community di Facebook. Non so voi, ma io le trovo assai più riprovevoli dell’immagine di un capezzolo.