La festa è finita anche a Milano
Inutile continuare a fingere: cari amici romani, anche nella capitale morale sono finiti i soldi
Cari amici romani, dopo tutte le volte che ci siamo scornati, vi do un motivo per gioire. Da milanese butto giù la maschera per darvi una notizia che pochi miei concittadini hanno il coraggio di dire: anche a Milano ormai non c’è più una lira.
Nonostante la commovente idea di ricchezza che la proloco della movida meneghina si ostina a propinare, le cose vanno male anche nella capitale morale. Voi romani avrete le strade con le buche e un sistema di gestione comunale devastato, ma anche noi abbiamo i nostri problemi. Solo che, contrariamente a voi, noi siamo costretti a mantenere le apparenze, a far finta che Milano è alla guida dell’economia nazionale. Siamo delle americane che si vestono bene per andare in chiesa.
Ma ne vale ancora la pena? Un mio caro amico mi ha confessato che, se non fosse per leva obbligatoria, tornerebbe a casa sua in Siria – un Paese in piena guerra civile – per quanto è deprimente Milano.
No, non c’è più una lira. Bisogna ammetterlo, perché la tenacia con cui teniamo in piedi questa farsa ci rende ancora più meschini umanamente, oltre che, come al solito, più falsi.
Pur di mantenere ’sta facciata siamo disposti a tutto: riesumiamo per una settimana il cadavere della moda italiana e lo sventoliamo come una sindone e abbracciamo con senile entusiasmo culti arcaici come quello del decoro urbano. E quando sulle nostre strade desolate scende la sera, ci scopriamo sempre più arroccati in casa, tristi e aggressivi. In poche parole, moralisti.
Come eravamo prima che Milano ci entrasse nel sangue? Una manica di ragazzi di belle speranze che hanno avuto la disavventura di ritrovarsi poveri nella città che dovrebbe portare avanti l’Italia. Giovani che sognavano la deboscia cosmopolita, ridotti a incarnare ventiquattr’ore su ventiquattro un modello esemplare di operosità e virtù. Individui che hanno dovuto rinnegare le loro naturali inclinazioni al punto di diventare falsi come Giuda.
Il gioco poteva valer la candela quando ancora c’erano i soldi, ma adesso chi ci crede più? Certo, a Milano ci sono sempre state realtà difficili e periferie con i classici problemi da pomeriggio televisivo, ma il disagio ormai è da tempo radicato anche lì dove non te lo aspetteresti, nelle categorie simbolo della milanesità. Spesso penso a tutti gli omosessuali che si stanno preparando per il Salone del Mobile: io non so sinceramente di cosa stiano campando nel 2019. Scarti di lavorazione di comodini? Della betulla non si butta via nulla?
E i giovani architetti? Nonostante la loro drammatica situazione questi adulti iperqualificati, capaci di teorizzare quartieri a impatto zero anche se non hanno mai progettato una veranda fatta e finita, continuano a lavarsi, pettinarsi e cambiarsi i vestiti. Ammiro la loro dignità nella miseria. Nei loro panni mi lascerei subito andare senza alcun riguardo. Nel giro di qualche giorno mi ritrovereste davanti al Castello Sforzesco, a chiedere l’elemosina come un santone indiano, in orange-face.
E’ ufficiale, cari amici romani, potete stappare quella bottiglia di champagne che avevate tra il ratticida e la provola: Milano ha finalmente le pezze al culo. E se vi stanno ancora raccontando il contrario, che a Milano la gente se la gode, che Milano continua a progredire, sappiate che sono solo menzogne. Menzogne che vivo sulla mia pelle, giorno dopo giorno. Vi basti sapere che non vado in via Monte Napoleone da almeno due settimane.
Il sogno dei soldi è finito, il tappeto di Verner Panton ci è stato strappato da sotto i piedi, e direi che è arrivato il momento di adeguarci alla nostra povertà. Dite ai grillini che possono finalmente liberare le galline dai pollai dove sono imprigionate, hanno vinto loro.