Ma che fine hanno fatto le startup?
L'iPhone X, la crisi politica della Silicon Valley, la mappa delle automobili che si guidano da sole. Tutte le notizie e le novità della settimana nella newsletter tech del Foglio
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MA CHE FINE HANNO FATTO LE STARTUP?
Il concetto basilare del mondo della tecnologia moderna è "disruption". Se non sapete cosa significhi non so cosa ci facciate qui, ma velocemente: "disruption" è quel processo per cui una compagnia innovativa (tendenzialmente piccola, spesso una startup) rimpiazza una più grande e obsoleta. Uber è (o meglio: avrebbe voluto essere) il disruptor dei taxi. Fino a qualche anno fa, questa specie di legge della giungla dominava nella Silicon Valley: nuovi predatori si avvicendavano ogni mese, il mercato era dinamico, sembrava che bastasse avere una buona idea e un amico smanettone per (o essere smanettoni con una buona idea, meglio ancora) per fare i miliardi e conquistare l'Olimpo della tecnologia.
Ma adesso vi chiedo: qual è l'ultima startup di cui ricordate il nome? Quando è stata l'ultima volta in cui possiamo dire di aver assistito a un vero processo di disruption, come quello tentato da Uber nel mondo dei trasporti cittadini, quello di Airbnb nell'ospitalità turistica, Spotify nella musica? Mezzo mondo si sta attrezzando per accogliere l'innovazione, grandi città europee e americane, da Berlino a Denver, fanno i salti mortali per diventare un nuovo hub di startup, ma ecco: ci sono buone ragioni per pensare che l'èra delle startup sia vicina alla fine.
Se ne sono accorti di recente due bravi giornalisti tecnologici, Jon Evans su TechCrunch e Farhad Manjoo sul New York Times. Evans ha usato un argomento empirico particolarmente convincente per raccontare la crisi delle startup: prendete il più grande e celebre incubatore del mondo, Y Combinator. Le startup più famose uscite da Y Combinator sono Airbnb, Dropbox e Stripe. Tutte sono state incubate prima del 2010. Negli ultimi anni Y Combinator ha raddoppiato sforzi e investimenti, ma non è più riuscita a ottenere gli stessi successi. Di tutte le sue startup, nessuna ha raggiunto lo stesso successo delle prime.
Ci sono due ragioni di questa crisi delle startup. La prima riguarda lo strapotere di quelli che Manjoo chiama i Frightful Five, i terribili cinque. Sono le cinque aziende che oggi dominano il panorama tecnologico mondiale (Amazon, Apple, Google, Facebook, Microsoft), e che ormai hanno raggiunto un livello di pervasività nel mercato e una potenza di fuoco economica e innovativa che è quasi impossibile per una startup, per quanto grintosa e di talento, soppiantare uno dei giganti. Lo vedete un motore di ricerca innovativo a fare le scarpe a Google? E quanti social network hanno provato a sostituire Facebook, fallendo?
La seconda ragione è che le idee innovative semplici sono finite. Se nel 2010 dire: creo una piattaforma che consenta a chi ha una stanza vuota a casa di affittarla, ancora poteva funzionare, oggi le direzioni dello sviluppo tecnologico sono complesse e costose, richiedono una capacità di fare ricerca, possibilità economiche e un'economia di scala che ormai sono proprie solo dei terribili cinque (a cui bisogna aggiungere i tre grandi dell'industria cinese: Alibaba, Baidu e Tencent).
Le nuove sfide riguardano l'intelligenza artificiale, la realtà virtuale, la macchina che si guida da sola, ma sono tutte imprese che richiedono centinaia di scienziati sul tuo libro paga, miliardi di dollari pronti per essere bruciati, grandi network commerciali già impiantati. Una startup può fornire contributi, può aiutare un un aspetto specifico, ma nessuno dal garage di casa sua può più battere i giganti a questo gioco. Così i grandi diventano sempre più grandi, ed è necessario che lo siano affinché lo sviluppo tecnologico prosegua.
L'innovazione è diventata un gatto che si morde la coda, e questo provoca problemi giganteschi, non solo nell'ambito della tecnologia.
COSA È SUCCESSO QUESTA SETTIMANA
• È uscito il nuovo iPhone X (promemoria: iPhone ICS, no iPhone 10), e sono uscite le prime recensioni. Tutte positive, se non fosse per quel bozzo nero che rovina lo schermo. Le migliori recensioni sono qui, qui, qui, qui. Ecco anche una recensione video, qui sotto. Poi passiamo alle cose serie.
• La crisi politica della Silicon Valley è arrivata al momento clou questa settimana, quando i rappresentanti legali di Facebook, Google e Twitter sono stati convocati davanti a tre diverse commissioni d'inchiesta del Congresso per rispondere delle accuse di essere stati strumenti del piano politico russo per disgregare il tessuto sociale americano. Qui c'è un bel resoconto di come sono andate finora le prime audizioni. Risposta veloce: non molto bene.
• Facebook e gli altri hanno un gigantesco problema politico, lo abbiamo visto, ma questo, almeno per ora, non si traduce in un problema economico, anzi.
• Questo non vuol dire però che le controversie non esistano. E' uscita di recente tutta una serie di sondaggi su cosa pensano gli americani della Silicon Valley e su quanto si fidino di Big tech. Qui c'è il sondaggio di The Verge e qui quello del Guardian. I risultati sono contrastanti.
• Per rispondere alle accuse, sia Facebook sia Twitter stanno adottando nuove misure che favoriscono la trasparenza su chi compra annunci a tema politico, ma evidentemente si tratta di palliativi.
• Twitter ha perfino annunciato di aver bandito RT e Sputnik, i due network controllati dal Cremlino, dallo sponsorizzare i loro tweet perché hanno interferito con il processo elettorale americano. RT ha risposto à la RT, per così dire.
• Basta con la crisi politica della Valley, parliamo di Cina. Il prossimo Steve Jobs, per esempio, potrebbe non essere californiano ma pechinese.
• Tesla ha raggiunto un accordo per costruire una fabbrica in Cina, e questa è una grande notizia per la diffusione di automobili elettriche (e per Tesla).
• Anche Google ha un grosso piano di investimento per (indovinate?) la Cina.
• Tra poco dovrebbe diventare possibile cancellare i messaggi su Whatsapp dopo averli inviati.
• C'è un gran parlare di automobili che si guidano da sole, ma quante sono? E dove? Pochine, sparse in appena 35 città in tutto il mondo. Bloomberg le ha mappate.
• A proposito: come vanno le macchine che si guidano da sole nella neve?
• Nel frattempo, a Pechino ci sono già dei vigili urbani robot.
• Google è nel bel mezzo di uno scandalo che riguarda la sua emoticon dell'hamburger.
• Snapchat ha lanciato sul mercato quest'anno degli occhiali da sole molto stilosi con fotocamera incorporata. Avrebbero dovuto essere un successo planetario, sono rimasti tutti nei magazzini.
• Canon, la compagnia giapponese di macchine fotografiche (e non solo) ha avuto un gran anno.
• Ricordate Crispr, la tecnica genetica che permette agli scienziati di giocare a fare dio? Ce n'è una versione molto più aggiornata a precisa, da super-dio.
• Una startup vuole calmare l'ansia dei giovani nerd vendendo loro medicine cardiache da buttar giù come fossero mentine.
• Jeff Bezos potrebbe essere il nuovo uomo più ricco del mondo, e Amazon ha oltre mezzo milione di dipendenti, più di chiunque altro in America eccetto Walmart.
VIDEO BONUS
Dopo quasi dieci anni, Sony ha ricominciato a produrre e commercializzare Aibo, il suo cagnetto robot da compagnia. Rispetto alle vecchie versioni è migliorato molto, usa l'intelligenza artificiale e ha una strana e inquietante espressività meccanica.
Il gran disastro delle cosiddette fake news nasce da un problema di base: troppe persone non hanno le nozioni per distinguere ciò che è finzione da ciò che è notizia. Il New York Times cerca di capire com'è possibile che ancora così tanta gente ancora caschi nella trappola dei troll.
Ma se pensate che le bufale su Facebook siano pericolose in occidente, andate a vedere in Birmania, dove per la maggior parte dei cittadini Facebook è l'unica fonte di informazioni e internet è arrivato così in fretta che nessuno ha avuto nemmeno il tempo di abituarsi all'idea che sui social possano girare falsità. Qui il problema non è elettorale. Secondo il Times, le notizie false circolate su Facebook hanno avuto un impatto notevole nel genocidio dei Rohingya.
Mother Jones ha pubblicato un report dettagliato e ben argomentato su come i robot e l'intelligenza artificiale si mangeranno la gran parte dei posti di lavoro nei prossimi decenni. Il tema è molto dibattuto – i lettori di Silicio lo sanno – ma messa così la questione fa decisamente paura.
L'Economist è da un anno su Snapchat. Come fa un magazine inglese paludatissimo e fondato nel 1843 ad andare bene tra un pubblico giovane e molto difficile? Lo spiega l'esperto di social media del giornale.
Pochi numeri fa abbiamo parlato di quanto siano interessanti gli audiolibri. Adesso Audible in America sembra aver trovato una nicchia perfetta: quella dei consumatori di romanzi rosa. Ha creato un abbonamento apposta per loro e ha sviluppato uno strumento che, usando l'intelligenza artificiale, ti fa sentire direttamente le scene di sesso.
E' strano che la crisi politica della Silicon Valley non abbia ancora provocato vere proteste da parte di chi nella Silicon Valley ci lavora tutti i giorni. Il Guardian cerca di metterci una pezza, proponendo una specie di manifesto della lotta dal basso degli ingegneri informatici.
Il ransomware, vale a dire quella forma di virus che chiede riscatti agli utenti infettati, è diventato eccezionalmente popolare negli ultimi mesi. Una nuova ricerca (qui in pdf) mette insieme tutti i numeri del fenomeno, con qualche dato peculiare: per esempio, chi sviluppa ransomware guadagna mediamente di più di chi sviluppa software legale.
Gizmodo fa una bella inchiesta sul futuro delle relazioni amorose al tempo dell'algoritmo, e i risultati sono deprimenti e un po' spaventosi.
Se c'è un paese che potrebbe essere la patria del bitcoin nell'immaginario comune, quello è la Russia. In realtà, il paese ha un rapporto di amore e odio con le monete virtuali.
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