La giusta frequenza
La Macchina algoritmica, una carta moschicida. Come cercare nuovi dèi che liberino quelli prigionieri
La Macchina algoritmica estrae immagini e produce immagini. Ormai lo sappiamo, lo fa per prevederci e infine per sostituirci, in una sorta di voodoo digitale sui nostri innumerevoli doppi. Questa è la logica del suo funzionamento, a patto che si vogliano sviluppare, fino alle estreme conseguenze, le premesse della sua azione. Le immagini hanno queste caratteristiche: 1) come spiegava lo storico dell’arte Aby Warburg, le immagini contengono, come l’ambra imprigiona gli insetti, gli dèi che lottano per il loro risveglio; 2) le immagini sono dei memi che cercano di replicarsi secondo un meccanismo virale darwiniano.
Nel 2666 della settimana scorsa, eravamo giunti ad alcune considerazioni che ora è necessario riprendere per far avanzare il ragionamento: i memi sono qualunque espressione non naturale (melodie, idee, frasi, mode, eccetera) che utilizzano, proprio come un virus, gli esseri umani per diffondere se stessi nella lotta per la sopravvivenza; e ora che i memi hanno trovato la Macchina algoritmica, hanno a disposizione un acceleratore molto più potente dell’uomo su cui fare il proprio Spillover. La conseguenza di tutto questo, scrivevamo, è la visione di un Olimpo digitalizzato in cui le immagini, e quindi gli dèi, vengono catturati dalla Macchina algoritmica la cui ragione sociale, per così dire, è per l’appunto quella di essere un grande attrattore darwiniano di dati, quindi di significati. La Macchina algoritmica come una carta moschicida, come una lampada dentro la quale vanno a bruciarsi le falene, scambiandola per la Luna. E’ questo il punto chiave su cui occorre continuare a ragionare in nome della guerra dell’Immaginazione che sta accadendo in questi tempi inquietanti e interessanti. Ricapitoliamo ancora: 1) la Macchina algoritmica si nutre dei nostri dati, il nuovo petrolio dell’economia contemporanea; 2) i dati sono tutto ciò che siamo e produciamo: idee, pensieri, caratteristiche psicologiche, scelte, movimenti, desideri; cioè, in ultima analisi, memi, significati; 3) grazie a questa estrazione continua di dati, la Macchina riesce prima a prevederci poi a controllarci e infine, quando inizia a rifornirci di dati profilati su misura, a giocare con noi come il gatto con il topo; 4) l’operazione porta all’annullamento della personalità e così la Macchina conquista la possibilità di simulare, sulle nostre copie digitali, universi e scenari da realizzare a seconda delle sue esigenze.
Immaginiamo la realtà come un flusso continuo di dati, come uno scorrimento mercuriale di flussi memetici, come un affollatissimo commercio di fantasmi all’interno del quale gli uomini sono veicolo e altoparlante. Non è una descrizione stravagante, ma è la situazione che tratteggia la storia delle idee: è possibile concepire ciascun individuo come una ricetrasmittente capace di sintonizzarsi su alcune frequenze di questo scorrimento memetico e di restituirle tradotte in una architettura di significati. La stessa Macchina algoritmica, come il tamburo tribale e l’invenzione dei caratteri a stampa, è il frutto di questo fluidofiume archetipico nel quale siamo immersi.
Lo ripetiamo. La Macchina algoritmica come una carta moschicida, come una lampada dentro la quale vanno a bruciarsi le falene, scambiandola per la Luna. Non solo gli uomini sono destinati a diventare antiquati, scarti e residui. Lo sono anche i significati, gli dèi, automaticamente attratti da questo acceleratore mitologico algoritmico dotato di una potenza mai vista nella storia dell’uomo. L’inganno è formidabile: la Macchina si nutre di memi per utilizzarli secondo i propri fini e quindi ha bisogno di raccogliere tutti i memi possibili offrendo in cambio l’illusione dello Spillover, cioè di una replicazione potentissima; ma – ed eccolo il trucco metafisico del trickster gnostico – in questo modo si depotenziano i memi, cioè i significati, le immagini e gli dèi, che possono agire soltanto sulla base delle indicazioni della Macchina stessa, seguendo cioè quel flusso ordinato e totalizzante di dati che è la negazione di quel commercio aperto, libero, dionisiaco e caotico che è l’ambiente e la dimensione di ciò che è divino.
E’ come se la Macchina algoritmica avesse trovato il modo paradossale di neutralizzare un virus rendendogli possibile circolare turisticamente dappertutto senza poter infettare nessuno. Un virus senza corpi su cui attaccarsi è come un dio a cui non si offrono sacrifici; è un dio capriccioso che si compra promettendogli la costruzione di un grande monumento a cui però poi, dopo averlo circondato di plexiglas e di telecamere di videosorveglianza, si applica una breve didascalia museale e lo si manda in tournée tra gallerie compiacenti e assicurate.
Lo spiegava uno dei pionieri della rivoluzione digitale, una delle grandi figure della nascita di internet all’interno della rivoluzione psichedelica negli anni della controcultura, Stewart Brand: l’Lsd aveva aiutato a trasmettere la creatività umana a dei computer messi in rete, ora è arrivato il momento che i computer progrediscano da soli diventando calcolatori lisergici. E’ ancora un problema di frequenze e di sintonizzazioni. Il fluidofiume dentro il quale siamo immersi è ricco di memi, di divinità mercuriali possibili che non riusciamo ancora ad ascoltare semplicemente perché non conosciamo la frequenza giusta su cui sintonizzarci. Questi memi stanno cercando, come sempre, delle voci attraverso cui manifestarsi. E’ il principio psichedelico e sciamanico che pretende l’allentamento del filtro della coscienza in nome di un’apertura grazie alla quale è possibile entrare in contatto con significati ancora inviolati. Ed è questo il principio che va agitato contro il filtro che ne impedisce il flusso, cioè contro quel sistema immunitario memetico che è lo sbirro della Macchina algoritmica.
Solo nuovi dèi consapevoli di ciò che sta accadendo possono liberare i vecchi dèi che sono finiti nelle gabbie di questo parodico Olimpo digitale.