Dichiarazioni di voto
Mieli sta con Potere al Popolo, Fontana con l’uomo forte Cairo, Joe fa harakiri in onore di Matteo
Grandi firme, grossi endorsement. Tutte le più autorevoli firme del giornalismo italiano non si sottraggono alle dichiarazioni di voto e comincia, da par suo, Paolo Mieli. L’illustre giornalista, titolare della cattedra di storia in Via Solferino, comunica ai lettori del Corriere della Sera, ben più che il suo semplice voto, bensì “una militanza, una convinta adesione, una strenua battaglia per la lista Potere al Popolo”.
Grandi firme, grossi endorsement. Col fazzoletto rosso al collo, come neppure Silvio Berlusconi durante la giornata di Onna, il più volte direttore, alla testa di numerosi alunni di Giovanni Sabbatucci, in una villa vista mare di Polignano ha cantato a squarciagola Contessa, con Paolo Pietrangeli alla chitarra, per sostenere la candidatura di quest’ultimo nel collegio uninominale Capalbio 1.
Grandi firme, grossi endorsement. Lucianino Fontana, il direttore del Corriere, elettrizzato dal travolgente successo di “Un paese senza leader” (Edizioni Longanesi) non si sottrae al dovere di dare un’indicazione ai suoi lettori e dichiara il suo voto e la sua preferenza esclusivamente all’uomo solo al comando. In coerenza con l’assunto del suo libro si porta a Largo Treves, e con un megafono ben potente, con un solo nome svela il suo endorsement: “Urbano Cairo”.
Grandi firme, grossi endorsement. Uomo sola al comando, Joe Servegnini, direttore di 7, non perde certo l’occasione per rinnovare la sua indiscussa fedeltà a Matteo Renzi e come Yukio Mishima nel campo di Marte della caserma fa harakiri in omaggio all’Imperatore, così lui, accovacciato nell’atrio di via Solferino annuncia un gesto eclatante (vero, Irene?).
Grandi firme, grossi endorsement. Joe slaccia il suo proverbiale impermeabile bianco, denuda il petto villoso e dal pelame candido, bianco come la sua nobile frezza, strappa, depilandosi, tutti i post it cui sono segnate le devozioni verso Matteo. Tipo, non avrai altra Etruria al di fuori di Etruria, onora babbo Tiziano accompagnandolo ai giardinetti, porta la biada al cavallo di Luca Lotti in corsa al Palio…
Grandi firme, grossi endorsement. Fontana, assennato come sempre, tenta di convincere l’imprendibile Servegnini a schierarsi con l’uomo solo al comando – Urbano Cairo, va da sé – ma quello, cieco nel suo totale amore per Renzi, non vuole saperne, anzi, accusa l’editore Cairo di voler dare la volata ai Cinque Stelle per far sfasciare il Nazareno, accompagnare Silvio Berlusconi in Congo e così arrivare lui a cavallo di un caval, e non certo il quadrupede di Luca Lotti.
Grandi firme, grossi endorsement. “Niente male come idea”, si lascia scappare Irene (vero, Irene?) ma Joe con uno sguardo da cuculo indispettito fulmina anche lei e mette fine, con un harakiri, alla sua frangetta. Se la taglia con un colpo secco di liccasapone, trattasi di lama affilatissima offertagli nottetempo da Gianni & Riotto detto Johnny, affiliato alla misteriosa setta dei Beati Paoli Gigli del perfettissimo cuore Magico di Maria Elena.
Grandi firme, grossi endorsement. Tutti primi, al Corriere, al traguardo della dichiarazione di voto. Aldo Cazzullo, patriottico e sabaudo, vota Stella e Corona; Paolo Valentino, sempre elegantissimo, vota – accompagnando il suo endorsement con un bagno nell’acqua gelida del Baltico, per Vladimir Putin; Francesco Verderami, acuto osservatore della politica, sceglie Tommaso Campanella, e non solo per rispetto al sangue calabrese mentre Antonio Polito, sensibile al grido di dolore che si leva da ogni parte d’Italia, va sull’usato sicuro: Democrazia proletaria mentre Pierluigi Battista, pur turandosi il naso, vota Potere al Popolo.
Grandi firme, grossi endorsement. Marione Calabresi, direttore di Repubblica, sente l’urgenza di dare la propria indicazione di voto. Carlo de Benedetti, si sa, vota per Tommy-Tommy Cerino all’anagrafe Cerno, Eugenio Scalfari – il Fondatore – vota e fa votare per Marco Minniti ma i lettori e Repubblica, cosa faranno?
Grandi firme, grossi endorsement. Durante la riunione di redazione Calabresi annuncia, manco fosse un disbrigo di pura formalità, l’arrivo della copia staffetta di “Un Paese senza leader”, il fortunatissimo saggio di Lucianino Fontana e ovunque, anche da Radio Capital, come dal Venerdì (per non dire dei vulavà ai semafori della Cristoforo Colombo) è un solo grido: “Scrivo io la recensione, faccio io!”. E il fatto, va da sé, è ben chiaro. Anche Repubblica si schiera per l’uomo solo al comando, e anche Repubblica, come Fontana, ha un solo mito: Urbano Cairo.
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